Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2010, a pag. 24, l'articolo di Armando Torno dal titolo " Il cimitero ebraico di Praga e il creatore del Golem il gigante nato dall’argilla ".



Cimitero braico di Praga, la tomba di rabbi Judah Lew, la statua di un golem
A Praga c’è più magia che in ogni altro luogo del mondo. Perché? Difficile rispondere, ma è certo che con Rodolfo II d’Asburgo (1552-1612), che vi trasferì la corte da Vienna nel 1583, i sortilegi si moltiplicarono. Rinchiuso nel castello di Hradschin sulla collina Hradcany, l’imperatore si dedicò con una passione unica al culto di arti e scienze occulte. Da tutta Europa giunsero sulle rive della Moldava uomini di scienza, maghi, alchimisti, medium e qualche ciarlatano. Tra i molti basterà ricordare Tycho Brahe, Johannes Kepler, il consigliere di Elisabetta I d’Inghilterra John Dee. E ancora: Edward Kelly — diceva di possedere il segreto della trasmutazione dei metalli in oro — e Michael Sendivogius, un avventuriero considerato tra i precursori nella distillazione e scoperta di vari acidi e di altri residui chimici. L’elenco è infinito. Rodolfo II non conosceva requie nell’incontrare, nell’invitare. Il clima che si respirava potrebbe essere immaginato con un particolare della biografia di John Dee, accusato di stregoneria in Inghilterra nel 1551, al quale si rimanda per la fabbricazione della Mano di Gloria. Di cosa si tratta? I manuali di magia nera la descrivono come un oggetto costituito, appunto, dalla mano di un impiccato, tagliata al cadavere, poi disseccata e infine messa in salamoia per conservarla. Delle leggende, confluite con dolcezza nelle fiabe, assicurano che una candela realizzata con il grasso di un malfattore finito sulla forca o con il dito di un bambino nato morto, qualora si fosse accesa e infilata nella Mano di Gloria come in un candeliere, avrebbe paralizzato le persone a cui si mostrava. Sciocchezze? Forse e anche, ma nel XVII secolo non si contano i furti tentati con tale oggetto, in grado di «fermare» i padroni di casa. O gli omicidi di donne negli ultimi tempi di gravidanza, per disporre rapidamente di un nascituro morto. A Praga storie come questa circolano da quasi mezzo millennio. Se si volesse cercare il luogo che più ne ha conservate, occorre recarsi al Vecchio Cimitero Ebraico, in ceco Starý Židovský Hrbitov, sito nel cuore dell’antico Ghetto, tra le vie Brehová, Siroká e Maiselova. Qui riposano più di centomila persone. Nessun posto al mondo commenta meglio di questo l’urlo d’inizio del biblico Qohelet, quell’havel havalim che Gerolamo tradusse con vanitas vanitatum, che può essere inteso come il nulla che succede alle cose. Agli occhi appaiono improvvisamente centinaia di tombe. Tra di esse, per esempio, eccone una carica di scienza: è di rabbi David Gans (1541-1613), collega di Kepler nell’osservatorio astronomico presso Praga, diretto da Tycho Brahe. Il cimitero cominciò a essere attivo nel 1439 (la prima tomba è di Avigdor Kara) e per oltre trecento anni fu l’unica terra dove gli ebrei praghesi potevano seppellire i morti. Le dimensioni attuali sono, con insignificanti variazioni, ancora quelle del XV secolo. Si cercò di tesaurizzare lo spazio impilando, perché non si poteva varcare il perimetro esistente. Vi sono alcuni punti ove si sono accumulati nove strati di sepolture; le lapidi di arenaria o di marmo, di volta in volta, erano staccate e poste sopra l’ultima tumulazione, accanto al nuovo monumento. Oggi se ne contano circa dodicimila e qualcuna di esse si è perduta. Gli stili si sono sovrapposti, con i corpi, i ricordi e le storie. Si vedono blocchi tardogotici, rinascimentali, barocchi; sovente si puntellano a vicenda. L’area è ombrosa, piantumata con alti sambuchi. Il silenzio è interrotto soltanto dalle domande e dai sussurri di qualche visitatore. Nessun ritratto, solo piccoli segni che la pietà ebraica consiglia. L’ultima tomba del Vecchio Cimitero è di Moses Beck. Reca la data 29 maggio 1787, cinque mesi avanti il giorno in cui Wolfgang Amadeus Mozart diede in questa città, al Teatro Nazionale, la prima del suo Don Giovanni. Ma non è la più cercata, né quella che reca i molti segni delle visite, ovvero sassi, monete, biglietti. Quasi per incanto, questo avviene sul monumento ove è sepolto rabbi Judah Loew (con la moglie Perl), vissuto al tempo di Rodolfo II, quando gli ebrei a Praga vivevano nella paura per le aggressioni. Egli decise di proteggerli dando vita al Golem, un gigante che secondo la Kabbalah poteva essere generato dall’argilla. Seguendo i rituali prescritti, il rabbino lo fece e riuscì ad animarlo attraverso uno speciale incantesimo. La parola emet, verità, fu posta sulla sua fronte. Avrebbe obbedito ad ogni suo ordine. Con il tempo si fece sempre più grande, ma anche più violento; cominciò a uccidere, a terrorizzare. Si narra di un incontro tra Rodolfo II e il rabbi, al quale si promise che l’ostilità contro gli ebrei sarebbe cessata se la sua creatura fosse stata distrutta. Acconsentì. Allora eliminò la prima lettera dalla parola emet sulla fronte del Golem, facendola diventare met, morte. L’uomo d’argilla di Loew ci porta lontano, perché quello di Praga rappresenta una delle tante tradizioni. Gershom Scholem ne La Kabbalah e il suo simbolismo (Einuadi 2001) ricorda che in un Midrash (interpretazione della Scrittura) del II e III secolo, Adamo è inteso come un Golem di grandezza e forza cosmiche, al quale Dio ha mostrato, nella sua condizione senza vita e parola, tutte le generazioni sino alla fine dei tempi. E nel romanzo dell’austriaco Gustav Meyrink, intitolato appunto Der Golem (1915), lo si ricorda come un’immagine simbolica che rappresenterebbe «l’anima collettiva materializzata del Ghetto, con tutti gli aspetti del fantomatico...». Una leggenda narra che il Golem fu riportato di nuovo in vita dal figlio di rabbi Loew e taluni assicurano che sta vegliando ancora su Praga. Non era un dio, forse assomigliava a un angelo; la sua natura nella Kabbalah è segreta. Altri raccontano che vive in un nascondiglio della Sinagoga Staronova, nel cuore del vecchio quartiere ebraico. Dove, forse, un giorno qualcuno lo scoprirà.
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