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Il Foglio Rassegna Stampa
20.08.2010 Torture in carcere, lapidazione, impiccagione, ecco il regime degli ayatollah
Commento di Fiamma Nirenstein, recensione del libro del giornalista iraniano dissidente Asadi di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 20 agosto 2010
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein - Giulio Meotti
Titolo: «Iran: lapidazione per adulterio e tutela delle donne all'Onu incompatibili»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/08/2010, a pag. I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Le mie prigioni in Iran ", preceduto dalla dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein (Pdl), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dal titolo "  Iran: lapidazione per adulterio e tutela delle donne all'Onu incompatibili".

Fiamma Nirenstein : " Iran: lapidazione per adulterio e tutela delle donne all'Onu incompatibili "


Fiamma Nirenstein

Aderisco all'appello lanciato oggi dalle pagine del Corriere della Sera dal filosofo Bernard Henry Levi per salvare la vita a Sakineh Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per adulterio.
Solo nel 2010, in Iran sono state eseguite già 160 condanne a morte. Nella prigione di Tabriz, la stessa dove è reclusa da ormai quattro anni Sakineh, si trovano altre donne in attesa della medesima condanna, e tra loro anche minorenni. Sakineh Ashtiani, come denuncia il suo avvocato, dopo aver subito la pena della fustigazione davanti a uno dei suoi figli, è stata costretta a una confessione pubblica anche in concorso in omicidio, per poter accelerare l'iter dell'esecuzione capitale, che potrebbe avvenire anche tra pochi giorni.
Alla luce di tutto cio' e' ancora piu' paradossale pensare che da maggio l'Iran, dopo aver fallito nell'ottenere un seggio nel Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu, è stato eletto membro della Commissione per lo Status delle Donne.
C'è da chiedersi fino a quando il mondo sopportera' le incredibili violazioni di diritti umani commesse quotidianamente dall'Iran e la sua aggressività, considerato anche che prosegue con velocità sempre piu' accettata la costruzione della bomba atomica.
www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Le mie prigioni in Iran "


Houshang Asadi , “Letters to my Torturer” (OneWorld Publications)

Houshang Asadi scherza dicendo di essere “l’unico al mondo ad aver visto le parti intime del grande ayatollah iraniano Ali Khamenei”. Il giornalista di Teheran nel cuore e nel fisico porta i segni delle terribili torture subite per sei anni nelle prigioni iraniane. Gli sono serviti anni di riabilitazione per riprendersi da ciò che ha passato nelle celle del regime. Asadi è infatti uno dei pochi sopravvissuti dello spaventoso massacro che nel 1988 culminò nella morte di quasi trentamila prigionieri politici in Iran. Erano riformatori, marxisti, dissidenti, religiosi. Molti di loro sono ancora desaparecidos. All’epoca il primo ministro con diretta responsabilità su quelle esecuzioni era Hossein Moussavi, che dall’estate del 2009 è il principale avversario di Mahmoud Ahmadinejad alla guida della Repubblica islamica. Le carceri iraniane nell’88 erano piene di studenti condannati per aver protestato contro l’ayatollah Khomeini nei primi anni 80. C’era anche Asadi. Il regime decise che avrebbero dovuto essere “debellati” in modo tale da non mettere in difficoltà il governo del dopoguerra iracheno. Khomeini emise una fatwa segreta che autorizzava l’esecuzione: “L’Iran ha purificato, imprigionato o eliminato bestie feroci che l’avevano aggredito satanicamente”. La buona coscienza internazionale ricorda il 1988 come l’anno di Halabja, quando Saddam Hussein sterminò col gas mostarda e nervino 5.000 cittadini curdi in un villaggio trasformato per l’occasione in una camera a gas a cielo aperto. Ma la strage dei prigionieri iraniani è maggiore nelle dimensioni. E’ stata definita la più grande carneficina di detenuti politici dopo la Seconda guerra mondiale. In quel luglio iraniano, le Guardie della Rivoluzione assalirono le carceri e i “comitati della morte” (un giudice islamico, un pubblico ministero rivoluzionario e un funzionario del ministero dell’Intelligence) identificarono ogni prigioniero, dichiarandolo “mohareb” (nemico di Dio), per indirizzarlo verso i patiboli eretti nell’auditorium del carcere, dove furono impiccati sei alla volta. Più tardi i loro corpi vennero cosparsi di disinfettante e trasportati verso le fosse comuni. Asadi è una vittima unica nella recente storia dell’Iran. Perché è stato torturato sia dallo Scià che dagli ayatollah. Ogni notte il dolore fisico della repressione si affaccia nella vita di quest’esule iraniano. Era un giovane scrittore che credeva in Khomeini, perché alle soglie del Terzo millennio aveva visto coniugare di nuovo la rivoluzione con la religione. I due concetti si erano separati, in Europa, verso il 1700, la rottura era passata fra Cromwell e Robespierre. Asadi vive a Parigi e ha appena pubblicato uno straordinario libro di memorie, “Letters to my Torturer” (OneWorld Publications). Un racconto di morte e di sopravvivenza che spazia lungo tutta la recente storia iraniana. Tragica, affettuosa, brutale è la scrittura di Asadi, che ci ha regalato il miglior testamento della resistenza iraniana. E’ stato detto che è una storia molto simile a quella di Jacobo Timerman, fondatore dell’Opinion, il giornalista ebreo argentino torturato per aver osato criticare la politica di brutale repressione durante la dittatura militare che devastò l’Argentina dal 1976 al 1983 e che ha poi raccontato tutto in un libro (“Prigioniero senza nome, cella senza numero”). In cella sotto lo Scià, Asadi condivideva i due metri di spazio con un futuro ayatollah, Ali Khamenei, attuale guida suprema dell’Iran. “E’ così triste che un prigioniero torturato abbia oggi centinaia di torturatori che lavorano per lui”, dice Asadi a colloquio con il Foglio. Ancora si ricorda della promessa che gli fece Khamenei in prigione: “Sotto un governo islamico, non una lacrima cadrà da un innocente”. Mai promessa fu più tradita. Decine di migliaia di morti e torturati sono un record che fa arrossire persino i ligi Guardiani della Rivoluzione. L’imam Khomeini aveva detto: “Il popolo ha voluto la Repubblica islamica e tutti debbono accettarla. Chi non ubbidirà, sarà annientato”. Comincia la repressione che travolge bambini e vecchi, giovani soltanto in odore di “deviazionismo” o, peggio, di ateismo. Le prove sono trascurate: basta il sospetto, la convinzione del giudice che l’imputato sia “un ipocrita”. “Ero un ragazzo che cercava la libertà, ero molto patriottico, un amante della letteratura”, ci dice Asadi, che dopo la fuga in occidente nel 2003 avrebbe poi fondato roozonline.com, il primo quotidiano iraniano solo on line e la cui redazione è formata da giornalisti in esilio in Europa. “Pensavo che il mondo potesse essere cambiato. Sostenni la Rivoluzione iraniana credendo che la dittatura sarebbe stata consegnata ai musei. Ma mi ritrovai all’inferno. Avevo un ‘fratello’, fratello Hamid, che si vedeva come il rappresentante di Dio e il difensore del ‘santo’ governo, aveva un controllo assoluto su ogni aspetto della mia vita. Dormire, medicarsi, mangiare, anche andare al bagno, nulla era possibile senza un permesso. Mi vedeva come un traditore, una spia, l’incarnazione della corruzione e del male. A ogni prigioniero chiedevano: sei musulmano e dici le preghiere? Rinunci al passato? Credi nella Repubblica islamica?”. Nel libro Asadi ricorda il “sorriso piacevole” e la “dolce risata” di Khamenei. Il dissidente ateo racconta che passava al famoso ayatollah la propria razione giornaliera di sigarette, che venivano spezzate in tre parti per farle durare di più. Asadi prestava al religioso anche la sua letteratura occidentale, da Steinbeck a Sartre. Asadi tornerà in quella cella da nemico di Khomeini e Khamenei. Dei cinquemila compagni di prigionia, Asadi è uno degli ottocento a cui fu risparmiata la vita. Si salvò ripudiando la fede comunista e promettendo di diventare un “buon musulmano”. “Sotto lo Scià ho visto i miei amici torturati e nelle prigioni della Repubblica islamica sono stato sottoposto a numerose sevizie. La differenza fra i due sistemi è fra un apparato ideologico e uno non ideologico. Sotto lo Scià, i servizi segreti facevano il loro lavoro. Nelle prigioni della Repubblica islamica lavorano uomini ideologici. Il loro primo dovere era ed è quello di distruggere il prigioniero per provare la propria superiorità ideologica. Ottenere informazioni per loro è secondario. L’uso della tortura nella Repubblica islamica ha raggiunto dimensioni spaventose. Non può essere paragonata al tempo dello Scià. Ripeto: gli interrogatori della Repubblica islamica fanno impallidire i tempi dello Scià”. Era il 17 gennaio 1981. Bussarono alla sua porta. Gli chiesero dove tenesse le armi della resistenza. “Mostrai loro libri e matite: ‘Ecco le mie armi’”. Lo portarono in una prigione di Teheran, la famigerata Moshtarek, dov’era stato già sotto la monarchia Pahlavi e poi, a notte fonda, in tribunale. Nei successivi tre mesi Asadi viene torturato nei modi peggiori. Spesso immobilizzato su un lettino di metallo, il giornalista viene picchiato ovunque e frustato con una cintura sulle piante dei piedi. I torturatori erano più d’uno, ma “ogni prigioniero ha una persona speciale, il suo torturatore”. A lui Asadi ha dedicato il libro di memorie. Si faceva chiamare “Fratello Hamid”. Gli dava un centinaio di colpi di cinghia al giorno. Gli aguzzini gli impedivano di dormire. “Mi gettarono in cella, coperto di sangue. Svenni. Appena mi addormentai, riaprirono la porta e ricominciarono da capo. E così una seconda e una terza notte. Mi osservavano dallo spioncino, se chiudevo gli occhi entravano a picchiarmi”. Asadi veniva ammanettato, con le braccia dietro la schiena, una corda era legata alle manette e al soffitto. Tirandola, i torturatori potevano sollevare le sue braccia e il suo corpo verso il soffitto in modo che solo le punte dei piedi toccassero il suolo. Ma con la cinghia colpivano le piante dei piedi. “Non ti lasciano molte speranze di sfuggire al dolore”. Una notte gli mostrarono una donna avvolta in una coperta. Dissero che era sua moglie e che l’avrebbero stuprata. Lo legarono per i piedi, con la testa che toccava il pavimento, finché dichiarò per iscritto di essere anche “una spia della Gran Bretagna”. Poi lo misero per un paio di giorni in isolamento: “Il pavimento era tutto sporco di sangue e di escrementi”. Un altro uomo lo visitò. Gli disse che poteva fare un bagno. Ma quando si spogliò nudo, entrarono nella stanza e lo picchiarono, dicendo che la sua confessione era appena iniziata. Lo riappesero a testa in giù. Uscendo, lasciarono accanto a lui una bottiglia di medicinale antibatterico usato per le ferite. Lui l’aprì coi denti e ne bevve il contenuto. Voleva suicidarsi. Ci proverà altre tre volte. Dopo dieci minuti entrarono. “Come stai Houshang?”. “Non potete farmi niente perché sono morto”. “No, non sei morto. Hai bevuto una combinazione di alcol e altre cose. Ma l’alcol è proibito nell’islam e perciò devi essere punito”. Gli hanno fatto mangiare cibo avariato e sporco per provocare vomito e diarrea, gli hanno poi detto che se non avesse confessato gli avrebbero fatto mangiare i suoi escrementi. E così fecero. Houshang “confessò” di aver complottato per un colpo di stato. Di nuovo gli fecero credere che era finita, ma lo portarono nei sotterranei. La stanza era piena di bare. Dentro vide le facce bianche dei suoi amici, morti. Gli dissero che fino a che non avesse detto i nomi, non gli sarebbe stato permesso di parlare. “Fratello Hamid mi ha trasformato da giovane idealista nella più bassa forma di vita sulla terra”. Di qualunque cosa avesse bisogno, Asadi doveva abbaiare. Come un cane. Ancora oggi Asadi ha incubi e dolore alle piante dei piedi. Gli chiediamo quale sia stata la maggiore distruzione arrecata dal regime. Asadi è laconico nel dire: “La brillante cultura dell’Iran, questa è la cosa più importante”. “Hanno usato ogni tipo di tortura. Non per ottenere informazioni, ero un giornalista, non avevo nessuna ‘informazione’. Scrivere questo libro è stata una battaglia dolorosa. Mi è venuto anche un attacco di cuore. Dovevo rimuovere ogni traccia di odio, riga dopo riga. Ho realizzato che migliaia di uomini e donne, prima di me, con me, dopo di me, erano stati torturati a morte. La cosa peggiore è stata la tortura psicologica, perché quella fisica scompare col tempo, mentre quella psicologica ancora mi angoscia. Resta nel corpo e nello spirito. Dicevano che avrebbero torturato mia moglie, che ero una sporca spia. Poi sentivo torturare i miei amici, ne sentivo le urla e i pianti, questo mi ha segnato più della tortura fisica”. Asadi resta un ottimista sul futuro dell’Iran. “Senz’altro, sono fiducioso sul movimento verde perché è organico a cento anni di storia di libertà dell’Iran. Nell’ultimo secolo, gli intellettuali iraniani hanno visto l’idea di rivoluzione come il più alto cambiamento sociopolitico. L’Onda verde è nata dall’oppressione, ma è basata sulla libertà, il movimento dipende dai desideri dell’élite iraniana, la sua nascita avviene nella middle class e i suoi sostenitori sono milioni di giovani che vivono in un paese dalla popolazione giovanissima. Il settanta per cento della popolazione è sotto i 35 anni. Il regime invece è guidato da anziani religiosi settantenni, sostenuti da leader militari ultracinquantenni. Credo che una democrazia costituzionale emergerà in Iran”. Quale sarebbe la prima decisione da prendere? “Cambiare la voce ‘rivoluzione’ in ‘riforma’”. E se potesse parlare di nuovo con il suo vecchio compagno di cella, Ali Khamenei, che cosa direbbe? “Gli direi che mi rattrista vedere un combattente della libertà trasformarsi in un torturatore”.

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