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Il Sole 24 Ore - Il Foglio - La Stampa - L'Unità Rassegna Stampa
19.08.2010 Obama impari l’islam da Bush
cronache e commenti di Christian Rocca, redazione del Foglio, Francesco Semprini, Marina Mastroluca

Testata:Il Sole 24 Ore - Il Foglio - La Stampa - L'Unità
Autore: Christian Rocca - La redazione del Foglio - Francesco Semprini - Marina Mastroluca
Titolo: «C'è un Obama per tutte le stagioni - Obama impari l’islam da Bush»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 19/08/2010, a pag. 11, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " C'è un Obama per tutte le stagioni ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Obama impari l’islam da Bush ". Dalla STAMPA, a pag. 9, due articoli di Francesco Semprini titolati " Si tratta per trasferire la moschea  " e " L’Imam dei misteri a libro paga degli 007 americani ". Dall'UNITA', a pag. 25, l'articolo di Marina Mastroluca dal titolo "  Moschea a Ground Zero. E se fosse un boomerang per i repubblicani?", preceduto dal nostro commento.
Ecco gli articoli:

Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " C'è un Obama per tutte le stagioni "


Christian Rocca

Barack Obama aveva la straordinaria capacità di entusiasmare i suoi e di ammaliare gli avversari. Predicava la necessità di una sola America e costruiva ponti per sanare lafrattura ideologica tra liberal e conservatori divorati dai sedici anni di Bill Clinton e George W. Bush. La sua biografia personale, i modi pacati e l'abilità quasi cinematografica di presentarsi come l'uomo nuovo confermavano il miraggio che l'America avesse finalmente trovato il suo redentore.
Due anni dopo Obama è diventato un presidente che fa torcere le budella ai sostenitori e schiumare di rabbia gli oppositori. Il profeta, il messia, il superman che avrebbe dovuto guarire i mali del paese è stato disarcionato. È diventato un politico normale, costretto a parare i colpi non solo dell'opposizione, ma anche della sua parte.
La parabola politica porta dritti al punto. Com'è possibile che riesca a scontentare tutti, sempre e comunque, di destra e sinistra, moderati e radicali, amici e nemici? Chi è Obama? Quanti ne esistono: uno, nessuno o centomila? In campagna elettorale le sue posizioni politiche non erano diverse da adesso, ma non erano considerate ambigue. La confezione in cui erano avvolte gli garantiva paragoni con John Fitzgerald Kennedy e Ronald Reagan, con Franklin Delano Roosevelt e Abramo Lincoln. L'America era innamorata di lui. La stampa lo raccontava come mito, fenomeno, icona. Ogni cosa che faceva o diceva era storica, epocale, profetica. Anche se in contraddizione con un'altra cosa sempre storica, epocale e profetica che Obama aveva pronunciato la settimana precedente.
Quei tempi sono finiti. I giornali rumoreggiano. La conservatrice FoxNews non gliene fa passare una. Ma fa ancora più male Msnbc, tv specializzata nel manganellarlo da sinistra. La destra lo accusa di essere un socialista, la sinistradi aver venduto l'anima a Wall Street. I conservatori dicono che è un estremista radicale, i liberal sostengono sia un moderato alla ricerca di compromessi. I falchi pensano abbia capitolato di fronte al nemico, le colombe dicono che è una copia carbone di Bush. Non si può dire che abbia tradito le promesse elettorali o non sia stato capace di realizzare il programma di governo. Sono pochi i presidenti che possono vantare in così poco tempo un bottino di riforme, interventi legislativi e attività internazionali come quelle di cui Obama è stato protagonista.
Eppure la magia è svanita. A ogni riforma perde consenso. A ogni intervento calano i sondaggi. A ogni posizione di principio segue una timida marcia indietro. Obama è semplicemente Obama, un abile politico di Chicago. Non un semi-Dio.Non un santo.Non un prestigiatore. La riforma sanitaria non piace né ai repubblicani né ai democratici. I primi la considerano il pilastro di un'incipiente rivoluzione statalista. I secondi credono che Obama abbia sprecato l'occasione di cambiare il sistema sanitario. Stessa cosa per l'intervento pubblico a sostegno dell'economia. I liberisti dicono che è stato un gigantesco spreco di denaro, i progressisti gli imputano di non averne speso abbastanza. A parole è il presidente che ha smantellato l'architettura ideologica, giuridica e militare della guerra al terrorismo. In realtà ne è il continuatore più rigoroso, se non addirittura chi ne ha ampliato il raggio. Il capo del Pentagono è lo stesso di Bush, così come i generali che guidano le truppe sul campo. Il disimpegno dall'Iraq lo ha stabilito il suo predecessore. Le truppe in Afghanistan sono state triplicate. I bombardamenti in Pakistan procedono a ritmi settimanali. La guerra segreta è stata estesa a dodici paesi. La Cia è tornata ad avere la licenza di uccidere. Guantanamo è ancora aperto, così come il carcere di Bagram, in Afghanistan. Alcuni detenuti non hanno diritti processuali e rimarranno a vita in galera. Gli altri saranno processati con le corti militari speciali volute da Bush. Continuano le rendition. Il Patriot Act è stato rinnovato. Il bilancio del Pentagono non è stato mai così grande.
Il Washington Post di tre giorni fa titolava: «Sull'istruzione, Obama è come Bush». Il Wall Street Journal, qualche settimana prima: «Obama ha screditato e poi usato alcune delle politiche di Bush sulle trivellazioni». Commenta il blogger Andrew Sullivan, suo elettore: «Obama è più conservatore del suo predecessore».
È Nobel per la pace, ma fa la guerra. È il paladino dei diritti civili, ma è contrario al matrimonio gay e licenzia dall'esercito gli omosessuali dichiarati. È l'alfiere della politica ambientale, ma ha rilanciato il nucleare. È il campione della trasparenza al governo, ma i giornalisti si lamentano più di prima. È laico, ma pontifica sul significato salvifico della preghiera e finanzia le associazioni religiose di carità. Avrebbe dovuto restaurare l'equilibrio tra potere esecutivo e legislativo, ma ha rafforzato i poteri della Casa Bianca. È il simbolo delle politiche pro-immigrazione, ma quest'anno saranno 400mila i rimpatri forzati di clandestini. È di sinistra, ma è favorevole alla pena di morte per gli stupratori di bambini, sostiene il diritto a portare armi e non firma il trattato contro le mine antiuomo. Obama ha i titoli per chiudere l'eradelle discriminazioni razziali, ma in pochi mesi ha erroneamente dipinto come razzista un poliziotto bianco e poi ha licenziato una funzionaria nera che era stata ingiustamente accusata di razzismo da un blogger conservatore.
L'ultimo esempio è quello della moschea di Ground Zero. Obama ha fatto un grandioso discorso di apertura culturale, di tolleranza religiosa e di rispetto del diritto a costruire la moschea, ma il giorno dopo ha precisato di non aver approvato il progetto. «È strano vedere Obama essere meno chiaro di Bush su questa cosa», ha scritto ieri Maureen Dowd sul New York Times. «Mi manca George W. Bush», «Obama è un codardo », ha scritto un altro suo sostenitore di sinistra, Peter Beinart. Obama ha cambiato il suo slogan, ha scherzato il comico Jon Stewart. Non è più "Yes, we can", ma "Yes, we can, but maybe we shouldn't".Sì,possiamo farlo.Ma forse è meglio di no. Il ritratto efficace di un politico che forse nel cuore è davvero radicale e nel cervello decisamente più conservatore, ma che nella pratica di tutti i giorni dimostra di essere accorto, moderato e centrista.

Il FOGLIO - " Obama impari l’islam da Bush "


Barack Obama, George Bush

Non può esserci una guerra efficace contro i terroristi se è una guerra con l’islam. Bush lo aveva capito. Ed è strano vedere Obama meno chiaro del suo predecessore”. A notarlo adesso è anche la columnist liberal del New York Times Maureen Dowd, intervenendo sulla moschea a Ground Zero. Perché sull’islam nutriva più moral clarity il presidente che ha portato due guerre nel mondo musulmano del presidente che ha tenuto il discorso del Cairo. Prima Obama ha sposato il progetto di Ground Zero; poi è tornato indietro, limitandosi a difenderne la libertà di costruzione. Ha generato sospetti, paure, passi falsi. Dopo l’11 settembre, Bush entrò in una moschea per elogiare la “religione di pace” dell’islam. Nel suo viaggio nel cuore del medio oriente, fra le malignità dell’arabismo, del dispotismo, del settarismo e dell’antimodernismo, Bush riuscì a far capire che quella al terrorismo è una “guerra giusta” contro “the evil”, il male, non una crociata antislamica. Riconobbe la necessità di separare il jihad dall’islam ordinario, la visione islamica tradizionale di un governo impostata sul patto sociale, come da lezione di Bernard Lewis. Sebbene parlasse spesso in termini aulici del Corano, il presidente repubblicano non ha mai ceduto alla tentazione di blandire l’islamismo. Ha sempre pensato che fosse necessario inserirsi negli affari interni delle terre islamiche, mentre Obama sta coltivando una rassegnata accettazione delle autocrazie straniere. Bush sapeva che, sebbene si nascondesse dietro a una forma primitiva di islam, chi aveva abbattuto le Twin Towers faceva parte di un movimento politico, militare e totalitario che non ha alcun rispetto per moschee, imam o fedeli. Obama invece sembra non credere alla possibilità di una riforma dell’islam separando le due sfere. Consegna la guida dell’occidente a un pessimismo inerte, impacciato. Dopo Ground Zero la guerra è stata tra chi vuole tagliare teste e chi vuole contarle, tra chi vuole la dittatura dell’imamato e chi coltiva la fede islamica in uno stato pluralista, tra chi esige di nascondere le donne sotto veli di feroce misoginia e chi vuole pari diritti per Marte e Venere, tra chi ama la morte più della vita e chi difende la vita rischiando la morte. L’occidente ha uno strategico interesse nel progresso dell’islam. Per questo lo swing politico e morale di Obama non aiuta né noi né loro.

La STAMPA - Francesco Semprini : " Si tratta per trasferire la moschea "


David Paterson, governatore dello Stato di New York
  

David Paterson si candida come mediatore nella vicenda della moschea di Ground Zero. Il governatore dello Stato di New York si incontrerà nelle prossime ore con i responsabili del centro culturale islamico nel tentativo di esplorare eventuali alternative sulla zona scelta per far sorgere la moschea a pochi passi da dove si trovavano le Torri Gemelle.
Tuttavia gli auspici di Paterson rischiano di scontrarsi con l’inflessibilità dei promotori della moschea secondo cui la sede non è in discussione e «non ci sono alternative a quella di Ground Zero». Secondo Sharif El-Gamal, uno dei principali investitori immobiliari coinvolti nel progetto, la missione del nuovo centro è quella di servire la comunità di Lower Manhattan e farla sorgere da un’altra parte farebbe venire meno il significato. Il luogo scelto per la moschea, la cui realizzazione costerà circa cento milioni di dollari, è un palazzo di tredici piani compreso tra il 45 e il 51 di Park Place, a meno di duecento metri da dove sorgevano le Torri gemelle. Il centro comprenderebbe, oltre alla moschea, un auditorium, strutture sportive, spazi per tenere lezioni e conferenze; e sarebbe aperto anche a persone di fede non musulmana. Ma è proprio la sua vicinanza ai luoghi dove persero la vita almeno tremila persone nel corso degli attacchi terroristici di nove anni fa ad aver sollevato una marea di proteste e spaccato l’opinione pubblica e la classe politica con divisioni che talvolta prescindono dai tradizionali steccati partitici.
Dalla parte degli oppositori ci sono due repubblicani di ferro come l’ex presidente della Camera dei Rappresentanti Newt Gingrich, paladino dei movimenti Tea Parties, e l’ex governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, ma anche il consigliere dell’ex presidente Bush Karl Rove. Anche alcuni democratici come Paterson o il capogruppo al Senato Harry Reid, un mormone del Nevada, hanno una posizione diversa rispetto a quella più netta assunta dal presidente Barack Obama, secondo cui i musulmani hanno il diritto di costruire la moschea in questione se verranno rispettate tutte le regole. E ieri, nonostante i sondaggi dicano che il 63% degli americani è contrario al progetto, il presidente Obama ha detto di «non avere alcun rimpianto» per la posizione assunta nei giorni scorsi.
Il sindaco di New York Michael Bloomberg, invece, ha applaudito Obama e ha preso le distanze dai tentativi dello stesso governatore di trovare una nuova sistemazione per il centro. Nelle ultime ore, comunque, Paterson è tornato alla carica: «Se si riuscisse ad arrivare a un’intesa per una proprietà che si trovi a una distanza maggiore da Ground Zero, e per questo in grado di creare meno fastidi alla comunità newyorchese, io farei di tutto per garantire tutta l’assistenza dello stato, finanziaria e logistica».

La STAMPA - Francesco Semprini : " L’Imam dei misteri a libro paga degli 007 americani "


Feisal Abdul Rauf

L’imam della moschea di Ground Zero era un uomo dell’Fbi. Feisal Abdul Rauf, fra i promotori del progetto per il nuovo centro islamico, predicatore religioso definito oggi dagli ambienti dell’intelligence americana un «radicale islamico» o un «militante islamista», ha collaborato a lungo con l’Fbi. «Il Bureau voleva preparare i propri agenti a operare negli ambienti arabo-americano e islamico senza creare tensioni culturali», spiega Kevin Donovan, direttore dell’ufficio newyorchese dell’Fbi. Ecco quindi che fu scelto proprio l’imam Feisal Abdul Rauf per impartire giuste nozioni, perché considerato una delle voci più eloquenti e rispettate della comunità musulmana. Anche perché durante i suoi sermoni nelle moschee della City era apparso come un moderato: «Per la maggioranza dei musulmani l’estremismo islamico era un ossimoro» diceva aggiungendo che il radicalismo è «una fondamentale contraddizione in termini».
Feisal ha tenuto una serie di seminari rivolti agli uomini dell’Fbi proprio nella sede del Bureau che si trova a due passi da Ground Zero, non lontano da dove oggi dovrebbe sorgere la nuova moschea. Ma non è tutto, perché quello che oggi è considerato un pericoloso esponente dell’Islam radicale ha anche «partecipato all’Aspen Institute in Muslim-Christian-Jewis working group», come spiega all’Huffington Post Walter Isaacson, capo dell’Aspen. «In ogni suo intervento denunciava il radicalismo islamico e il terrorismo», prosegue Isaacson il quale ha seguito Feisal sin dal 2004 partecipando a seminari e leggendo tutti i suoi libri. «E’ il tipo di leader che noi dovremmo rispettare qui in America e non colpevolizzare».
A pensarla allo stesso modo è John Bennett, il predecessore di Walter Isaacson come direttore dell’Aspen Institute, il quale è rimasto così impressionato dalle posizioni moderate dell’imam da diventare co-fondatore della Cordoba Initiative, la sua organizzazione. Nel 1997, sempre secondo quello che scrive l’Huffington Post, Feisal ha fondato l’American Society for Muslim Advancement, con l’obiettivo di promuovere una migliore integrazione dei musulmani negli Stati Uniti. Prima del 2001 era intervenuto in una serie di dibattiti geopolitici sulle relazioni tra Occidente e mondo islamico, al fine di rafforzare i rapporti tra i due mondi. E dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha cercato di portare avanti comunque il suo messaggio, spiegando che l’Islam vero non c’entra nulla con le azioni degli estremisti. Il suo impegno in questo senso aveva anche polarizzato le attenzioni di alcuni ambienti politici di Washington. Nel novembre 2004 ha partecipato a una lunga e approfondita discussione su religione e governo con il giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, mentre nel 2006 l’ex segretario di Stato Madeleine Albright ha nominato l’imam tra coloro dai quali aveva avuto ispirazione per il suo libro «The Mighty and the Almighty», assieme a Bill Clinton, Jimmy Carter e re Abdullah di Giordania. Ha stretto legami anche con esponenti repubblicani e rappresentanti dell’amministrazione Bush, come il sottosegretario di Stato Karen Hughes, con la quale è intervenuto in seminari pubblici. Tuttavia oggi di lui si ricordano soprattutto frasi più controverse come quella pronunciata subito dopo l’11 settembre nella quale spiegava che «la politica estera degli Stati Uniti è stata accessoria ai crimini avvenuti» ad opera dei terroristi. Il suo nome viene ricondotto quasi in automatico alle forme più pericolose di radicalismo islamico, e proprio per questo c’è chi sostiene che la Cordoba House sia un’operazione di copertura per raccogliere fondi a sostegno di gruppi terroristici. Conclusioni che alla luce del background dell’imam potrebbero sembrare affrettate e superficiali, ma che giungono nel clima rovente di una campagna elettorale dove è in ballo il controllo del Congresso.

L'UNITA' - Marina Mastroluca : "  Moschea a Ground Zero. E se fosse un boomerang per i repubblicani?"

Mastroluca cerca di collegare due cose che non c'entrano l'una con l'altra: la moschea a Ground Zero e le elezioni americane. Non c'entrano perchè la decisione di costruire un centro islamico a Ground Zero ha suscitato l'indignazione di quasi il 70% dei cittadini statunitensi (a prescindere dal loro orientamento politico) e questo indipendentemente dal fatto che l'indice di gradimento di Obama sia in calo perenne. Indubbiamente il fatto che abbia scelto di appoggiare la costruzione della moschea non gli sarà di aiuto alle prossime elezioni, ma Mastroluca ha torto quando crede che la gente stia protestando perchè mossa da presunti blogger anti islamici e leader repubblicani. Le proteste non nascono dal fatto che la popolazione americana è scontenta di Obama, ma dalla scelta del luogo.
Non tutti i democratici sono a favore della moschea, come non tutti i repubblicani sono contrari. La costruzione di una moschea a Ground Zero non c'entra con gli schieramenti politici. Se si farà, non sarà altro che un simbolo di vittoria del terrorismo islamico in Occidente, a prescindere dall'orientamento politico del Congresso e del Presidente Usa.
Essere contrari alla costruzione della moschea di Ground Zero non significa essere anti islamici. Non è la possibilità di costruire luoghi di culto a essere messa in discussione, ma la scelta del luogo.
Ecco l'articolo:

Forse alla fine la moschea di Ground zero, o meglio la moschea- non-esattamente- a-Ground-zero (definizione di Doug Feaver sul Washington Post) non si farà. A dispetto dei fiumi di inchiostro e delle parole definitive, tra chi grida al sacrilegio - molti repubblicani - e chi ha difeso il principio della libertà di fede, comeha fatto Obama. Tra i democratici serpeggia il dubbio che nonfosse ilmomento più adatto per impelagarsi in una simile bega. Pressato dagli avversari repubblicani, c’è stato chi come il leader della maggioranza al Senato, Harry M.Reid ha finito per dire che no, il progetto non gli piace. I blogger anti-islamici dettano la linea ai Tea party e danno ispirazione agli stessi leader repubblicani. Il prossimo 11 settembre preparano una grande adunata contro la moschea, ospite l’ex speaker conservatore della Camera, Newt Gingrich che con Sarah Palin sta fomentando in questi giorni i mal di pancia del paese. Ma nelle schiere repubblicane ci si comincia a chiedere se non sia un boomerang usare la moschea come materiale di propaganda per il voto di mezzo termine del prossimo novembre.
TEA PARTY ANTI-ISLAMICI
«Se è vero che si tratta di una questione che genera molta emozione, quando si tratterà di votare, le elezioni saranno decise sull’economia e sul lavoro», dice il sondaggista dei repubblicani, David Winston, che consiglia di gettare un bel po’ d’acqua sul fuoco. Perché nel fuoco della polemica si finisce per appiattire le sfumature e il messaggio che passa è né più né menoche una presa di posizione contro l’Islam in generale. E persino Bush, che aveva rispolverato la parola «crociate», prima di ribattezzare «Enduring freedom» la sua guerra al terrore, quando si arrivava al dunque delle elezioni diventava piuttosto cauto nel parlare di islam e di arabo-americani. Il cui voto valeva tanto quanto quello di qualsiasi altro cittadino Usa. Ecco perché mentre Palin parla di «coltellate al cuore degli americani» e Gingrich sulla Fox spiega la moschea con un «come se» fosse posto un simbolo nazista nel museo dell’Olocausto, tra i repubblicani c’è chi frena. E proprio perché è un’argomento che divide e che non si può risolvere emotivamente. «La moschea dovrebbe essere costruita precisamente perché l’idea di farlo non ci piace tanto. Non abbiamo bisogno di essere d’accordo con i principi costituzionali, dopo tutto», scrive Kathleen Parker, opinionista del Washington Post (e in un sondaggio estemporaneo il56%dei lettori si dice dello stesso parere). I principi sono regole di convivenza, non valgono solo se la maggioranza è d’accordo. Valgono sempre. E allora se anche la polemica sulla moschea è facile, la prudenza è opportuna. «Alla fine della fiera, le sole persone che se ne ricorderanno saranno quello che si sentono minacciate: non solo i musulmani, ma i sikh, gli ebrei, gli hindu, i buddisti e i mormoni», fa notare il conservatore Grover Norquist. Il che non vuol dire che Obamanon sia nei guai. La sua popolarità è scesa al 41% secondo un sondaggio Ap: non per le sue idee sulla moschea, ma perché l’economia è ferma.

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