Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 18/08/2010, a pag. 8, l'articolo dal titolo " Spari all’ambasciata turca ", l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " La soldatessa israeliana si difende".
Ecco i due articoli preceduti dai nostri commenti:
Michele Giorgio - " La soldatessa israeliana si difende"
Michele Giorgio sguazza nelle accuse contro la ex soldatessa israeliana che ha pubblicato sul proprio profilo di facebook immagini di detenuti palestinesi. Giorgio scrive : " incalza «Breaking the Silence», è l’atteggiamento che i militari israeliani adottano regolarmente. A poco servirebbero perciò le critiche rivolte all’ex soldatessa dal portavoce dello stato maggiore e dei giornali. Ben altro deve cambiare ". Come dimostrano le accuse rivoltele dai vertici militari e le distanze che sono state immediatamente prese, questo non è un atteggiamento approvato nell'esercito israeliano, nè è diffuso tra i soldati israeliani.
" Il direttore del Centro israeliano contro la tortura ne ha parlato come del frutto d’una mentalità di disprezzo dei detenuti, e dei palestinesi in genere, diffusa fra i ranghi delle Forze Armate. ". Giorgio è andato a interpellare addirittura il Centro israeliano contro la tortura. Ma non c'è stato niente che assomigli alla tortura. I detenuti nelle immagini sono bendati, è vero, ma perchè è la prassi quando vengono trasperiti da un ufficio all'altro o da un carcere all'altro. La mentalità di disprezzo dei detenuti non è cosa diffusa in Tzahal, tanto che quest'episodio è stato duramente condannato.
Il Centro contro la tortura, invece di occuparsi di casi inesistenti, perchè non fa sentire la sua voce contro Hamas che tiene prigionero da oltre quattro anni Gilad Shalit, il soldato rapito in territorio israeliano ?
Ecco l'articolo:
Una delle immagini
Le scuse non bastano, così come i provvedimenti apparentemente punitivi dell’esercito, avverte l’associazione «Breaking the Silence» formata da ex militari che vogliono «rompere il silenzio». Non sarebbe un caso isolato quello della ex soldatessa israeliana finita nell’occhio del ciclone per aver pubblicato su Facebook foto di scherno, che la ritraggono in posa dinanzi a ignari prigionieri palestinesi ammanettati e bendati. Piuttosto, incalza «Breaking the Silence», è l’atteggiamento che i militari israeliani adottano regolarmente. A poco servirebbero perciò le critiche rivolte all’ex soldatessa dal portavoce dello stato maggiore e dei giornali. Ben altro deve cambiare. A confermarlo è proprio Eden Abargil, la soldatessa che ha reagito alle accuse con espressioni di vittimismo e autocommiserazione. «Mi scuso se ho offeso qualcuno, ma posso assicurare di aver agito in tutta innocenza». Subito dopo ha scaricato la responsabilità dello scandalo sui media e su chi l’ha criticata: «Si trova sempre qualcuno pronto a ridire contro Eretz Israel, non siamo un popolo con molti amici e ci attaccano per la minima cosa», ha affermato, buttandola sul patriottismo. L’ex soldatessa aveva caricato su Facebook le immagini in cui sorrideva accanto a prigionieri palestinesi, in un folder intitolato «Il servizio militare: il periodo più bello della mia vita». Il direttore del Centro israeliano contro la tortura ne ha parlato come del frutto d’una mentalità di disprezzo dei detenuti, e dei palestinesi in genere, diffusa fra i ranghi delle Forze Armate. I palestinesi hanno espresso indignazione, descrivendo l’episodio come un esempio fra i tanti «dell’orgoglio con cui gli occupanti sono soliti umiliare i palestinesi».
" Spari all’ambasciata turca "
La notizia viene liquidata con una breve e definita 'incidente', una cosa di poco conto. Il terrorista palestinese è entrato enll'ambasciata turca e ha tenuto in ostaggio il console e sua moglie per un paio d'ore, non proprio un 'incidente'. Sarebbe stato definito così anche se a compierlo fosse stato un israeliano? Difficile crederlo...
Ecco la breve:
L'ambasciata turca a Tel Aviv
Misterioso incidente, ieri, all’ambasciata turca in Israele. Un uomo, palestinese o arabo israeliano, ha fatto irruzione nella rappresentanza diplomatica di Ankara a Tel Aviv, dove ha preso in ostaggio il console turco e la moglie per un paio d’ore. Nadin Anjas, questo il suo nome, sarebbe stato fermato con un colpo d’arma da fuoco alla gamba che lo avrebbe ferito (una prima versione lo dava invece per ucciso). Il console turco sarebbe stato preso in ostaggio perché l’uomo, che diceva di essere un informatore degli 007 israeliani, si sentiva minacciato dai servizi di sicurezza palestinesi. Le spie dello stato ebraico, a suo dire, lo avevano usato per i loro obiettivi e lo avevano quindi scaricato, lasciandolo alla sua sorte. I diplomatici turchi non hanno consentito l’ingresso in ambasciata di polizia e medici israeliani. Tra Israele e Turchia c’è molta tensione dopo il blitz dello stato ebraico contro la nave turca di attivisti filo-palestinesi dello scorso 31 maggio.
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