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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.08.2010 Harvard boicotta Israele ?
Tagliati fondi per la ricerca a tre società israeliane per 35milioni di $ e gli odiatori esultano

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 agosto 2010
Pagina: 41
Autore: Antonio Ferrari - Francesco Battistini
Titolo: «Dietro il no di Harvard a Israele il fantasma del boicottaggio - Harvard disinveste da Israele. E i 'no global' esultano»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/08/2010, a pag. 41, il commento di Antonio Ferrari dal titolo " Dietro il no di Harvard a Israele il fantasma del boicottaggio ", a pag. 16, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Harvard disinveste da Israele. E i 'no global' esultano  ". Con valutazioni sul caso "Im Tirzù" decisamente parziali e scorrette. Pubblicheremo domani tutta la storia del movimento neo-sionista e la sua battaglia contro i 'nemici interni', del tutto diversa da come la racconta Battistini.
Ecco gli articoli:

Antonio Ferrari : " Dietro il no di Harvard a Israele il fantasma del boicottaggio "

Che possa trattarsi di un equivoco provocato dalla crisi finanziaria e dalla necessità di operare tagli dolorosi, è ovviamente possibile. Anzi, è probabile. Però quando c’è il sospetto di un boicottaggio nei confronti di Israele ecco che tutto si ingigantisce.

Mettete assieme la prestigiosa università americana di Harvard, ritenuta da sempre molto «rossa» con la decisione del management di fare economia, tagliando investimenti nella ricerca di tre società israeliane (farmaceutica, software e telefonia) per 35 milioni di dollari; moltiplicate con il ricordo che proprio Harvard punì la Cina e poi il Sudafrica per l’apartheid, aggiungendo che sono passate poche settimane dall’attacco israeliano alla flottiglia pacifista costato la vita a nove cittadini turchi; condite il tutto con l’esultanza dei palestinesi, che da tempo chiedevano boicottaggi, e il risultato è evidente.

Quello che potrebbe anche essere dovuto a «ragioni tecniche», leggi risparmi, come hanno sostenuto i vertici dell’università è diventato quasi vero, anzi talmente poco vero da essere considerato falso. Atteggiamento che ha fatto infuriare, al solo pensiero, Alan Dershowitz, prestigioso membro del senato accademico di Harvard, ebreo e amico del premier Netanyahu.

In un mondo che si nutre quotidianamente di teorie cospirative, spesso fondate, ci sta tutto. Ci sta che Harvard possa aver voluto lanciare, accanto ai problemi di bilancio, un segnale a chi è refrattario a riprendere il dialogo con i palestinesi, e che quindi i problemi finanziari sarebbero soltanto un pretesto. Certo le coincidenze fanno riflettere e le reazioni che arrivano da Gerusalemme — alcune stizzite — lo confermano.

È evidente che questo governo israeliano gode di un gradimento decisamente basso, e che settembre sarà il momento della verità per capire se il processo di pace può davvero ricominciare, come vorrebbe il presidente Obama. Ecco perché sarà difficile stabilire se i tagli di Harvard siano o no un boicottaggio politico. Esistono anche le certezze senza prove.

Francesco Battistini : " Harvard disinveste da Israele. E i 'no global' esultano "
Invitiamo i lettori di IC a leggere domani la cronaca completa della lotta tra "Im Tirzù" e il rettore dell'Università Ben Gurion del Negev.

GERUSALEMME — «Il nostro Cremlino», la chiamava Nixon. Aver dato all’America sette presidenti diversissimi, compresi Bush e Obama, o al mondo capitalisti come Tata e Rockefeller, più una quarantina di premi Nobel e una quantità infinita d’artisti, scienziati, preti e pure qualche criminale, tanto glorioso passato non riesce mai ad allontanare da Harvard quell’antico sospetto. D’essere, sotto sotto, un po’ troppo leftist. E di finire sempre sulle barricate rosse. L’ultima: venerdì scorso l’Harvard Management Company, braccio finanziario della più antica università americana, ha comunicato d’avere disinvestito quasi 40 milioni di dollari. E guarda caso, tutte partecipazioni azionarie in società israeliane.

Pecunia olet? «Hanno aderito alla nostra campagna di boicottaggio!», esultano i gruppi pro Palestina. «La politica non c’entra», tiene a chiarire l’ateneo. Il taglio finanziario è radicale: via le 484 mila quote farmaceutiche (30 milioni di dollari) della Teva, stop alle 103 mila azioni (3 milioni e mezzo) nei software della Check Point, basta coi 165 mila titoli (4 milioni) investiti nelle comunicazioni di Cellcom Israel, Partner Communications e Nice Systems... Di qui, l’entusiasmo dei no global: «Salutiamo la decisione di Harvard — dice Hind Awwad — e incoraggiamo tutte le università del mondo a fare lo stesso». In passato, per esempio con la Cina o col Sudafrica dell’Apartheid, «il Cremlino del Massachusetts» aveva deciso un vero boicottaggio economico. Ma l’annuncio in quei casi fu pubblico: perché stavolta è avvenuto tutto in silenzio? Perché è una balla, taglia corto Alan Dershowitz, giurista di famiglia ebraica, amico del premier israeliano Netanyahu e membro del senato accademico di Harvard: «C’è qualcosa d’irresponsabile e di vergognoso negli estremisti antisraeliani — dice — che fa perdere loro di credibilità. È stata una decisione puramente economica, dovuta a un periodo di crisi.

Da sempre, Harvard s’è pubblicamente impegnata a non partecipare ad alcuna campagna di boicottaggio della nazione ebraica». Che c’entri tutto questo con la libertà d’insegnamento, non è chiaro. Come non lo è ogni volta che le università — fra prof respinti, lezioni contestate, fondi tagliati — arrivano a confrontarsi su Israele. Anche in Israele: è di questi giorni la lettera aperta che un’organizzazione neosionista, Im Tirtzu, ha inviato al rettore della Ben Gurion University del Negev. I mittenti avvertono che non arriveranno più donazioni, neanche dall’estero, se non smetterà la «politica antisionista» degli accademici. Segue elenco dettagliato di 9 professori, 6 associati, 2 assistenti e 8 collaboratori «famosi perché militano nell' estrema sinistra e invitano gli studenti all’obiezione di coscienza».

Di uno, Neve Gordon, s’addita l’inaudito pensiero: «Non crede nei valori del nostro Stato». Parole stantie. Un po’ come s’usavano al Cremlino.

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