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Ugo Volli
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Ma che bel messaggio, Mr. President 15/08/2010

Ma che bel messaggio, Mr. President


Barack Obama

Cari amici, fare il presidente degli stati Uniti non dev'essere un mestiere facile. A parte le guerre, le crisi economiche, le catastrofi naturali e altre bazzecole del genere, c'è tutta la dimensione delle relazioni pubbliche, le feste, gli auguri, le visite. Bisogna ammettere che Obama, naturale uomo di spettacolo e PR di se stesso, in questo è bravissimo. Ha fatto organizzare una Seder di Pessach qualche mese fa alla Casa Bianca, non si è risparmiato l'albero di Natale a tempo debito, e ora si dedica con solerzia al Ramadan. Non dubito che si occupi anche delle festività induiste, giainiste, confuciane, buddhiste, scintoiste, baa'i, druse, mormone, ortodosse ecc., ma per fortuna non ne ho avuto notizie dettagliate. Ho letto invece con molto interesse il messaggio che Mr President ha mandato agli islamici per il Ramadan (http://www.america.gov/st/texttrans-english/2010/August/20100811153417su0.2690699.html#ixzz0wPmlE1tc) e che vi traduco in parte, perché confido che affascinerà anche voi col suo genuino entusiasmo:

Dopo gli auguri di rito a nome del popolo americano, Barak Hussein Obama scrive (o fa scrivere): "Il ramadan è il tempo in cui i Musulmani di tutto il mondo riflettono sulla saggezza e sul buon consiglio che viene con la fede e con la responsabilità che i fedeli hanno l'uno  rispetto all'altro e verso Dio. E' un tempo in cui le famiglie si riuniscono, gli amici ospitano banchetti" ecc. ecc. "tutti noi dobbiamo ricordare che il mondo che vogliamo costruire – e i cambiamenti che vogliamo ottenere -  devono iniziare dai nostri cuori e dalle nostre comunità. Questi rituali ci ricordano i principi che abbiamo in comune e il ruolo dell'Islam nel fare avanzare la giustizia, il progresso, la tolleranza e la dignità degli esseri umani. Il Ramadan è la celebrazione di una fede conosciuta per la sua grande diversità e uguaglianza razziale. E qui negli Stati Uniti il Ramadan è un ricordo che l'Islam è sempre stato parte dell'America e che i Musulmani americani hanno contribuito in maniera straordinaria al nostro Paese. Oggi voglio estendere i miei auguri al miliardo e mezzo di musulmani di tutto il mondo, come e a voi e alle vostre famiglie ". ecc. ecc.

A parte il solito svarione storico, già pronunciato al Cairo, dell'Islam sempre parte dell'America (non risultano musulmani nel sistema politico e culturale americano per i primi due secoli di esistenza degli stati Uniti), né si trova traccia dei loro straordinari contributi, quel che colpisce è il tono politico del discorso, la sua impostazione ideologica più che teologica ("cambiamento", "uguaglianza", "diversità" ecc.), che fa dell'Islam una specie di socialismo in salsa orientale. E naturalmente il silenzio più assoluto su islamismo, terrorismo e altri dettagli del genere. Nessuna meraviglia dunque che "in nome della libertà di religione" proprio al banchetto di Ramadan alla casa bianca Barak Hussein Obama abbia difeso il progetto di costruire un grande  centro islamico (non solo una moschea intesa come luogo di preghiera ma un luogo di organizzazione politica e sociale, un palazzo di quindici piani intitolata a Cordova, capitale dell'invasione araba di Spagna) affacciato su Ground Zero, quel che resta delle due torri abbattute dai terroristi islamici nove anni fa. (http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/08/13/AR2010081304357.html?hpid=topnews).

E credetemi, non sto scherzando, la mia impressione è che Obama sia sincero quando dice queste cose. Questo piccolo demagogo, povero di idee, ma ricco di parole, autore di bei discorsi ma incapace di governare crede davvero come quel parroco di Genova che mette la moschea nel presepe che basta sorridersi e volersi bene e il terrorismo islamico sparirà. Peccato che non gli credano nemmeno gli islamici. Un recente sondaggio (http://cgis.jpost.com/Blogs/rosner/entry/what_will_obama_do_without) mostra che il suo tasso di popolarità nel corso dell'ultimo anno è crollato in Turchia dal 33 al 23 per cento, in Egitto dal 41 al 31, in Libano dal 45 al 35 (in particolare per gli sciti dal 25 al 7), in Pakistan dal 13 all8 e così via. Non che un Presidente americano debba per forza essere popolare fra i cittadini stranieri, ma per uno che ha fatto delle masse islamiche il suo obiettivo privilegiato, è un risultato che dà da pensare: si possono nascondere con cuscini di raso rosa o con nuvole di zucchero filato, ma i conflitti reali restano ostinati e insensibili all'adulazione.

Ugo Volli

PS: La cosa più divertente è che Mr. President, essendo tutt'altro che un leone, ha trovato subito modo di smentirsi sul "Cordoba Center" vicino a Ground Zero: parlavo di diritti, ha pricisato, forse dopo aver visto che il 71 per cento degli americani si oppongono. L'opportunità politica della scelta è un'altra cosa. (http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=184785) Bravo Mr. President, questo sì che è il coraggio delle proprie idee!


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