Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/08/2010, a pag. 10, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Dai fumetti a Youtube. La jihad si tuffa nel pop ".
Al Qaeda lancia la rivista in inglese Inspire con la ricetta per costruire una bomba in piena regola saccheggiando la dispensa della mamma. Hezbollah invita nel proprio parco tematico, sulle colline nel sud del Libano, i turisti interessati alla cultura della guerriglia. I palestinesi di Hamas sfruttano da anni la forza comunicativa del fumetto nello scontro per il cuore e le menti degli antisionisti di tutto il mondo.
Che n’è stato dell’archetipo dell’estremista, il pasdaran irriducibile alla ragione comune fino talvolta a violare con il terrorismo qualsiasi codice condiviso? Dov’è finito il militante severo e ideologicamente impermeabile alla contaminazione con il nemico? É sempre più raro imbattersi in rappresentazioni quasi lombrosiane del male tipo l’egiziano Abu Hamza, l’ex imam della moschea londinese Finsbury Park che esibendo l’occhio guercio e l’uncino minacciava all’occidente scenari spaventosi. Secondo molti analisti il cattivo che parla e agisce come un cattivo si è sciolto nella società liquida e, approfittando della semplificazione del linguaggio mediatico, confeziona per il fondamentalismo un nuovo abito pop.
«Alcuni gruppi estremisti hanno ormai accantonato le tattiche tradizionali e impiegano la cultura pop per farsi propaganda» osserva Paula Meija sulla rivista di politica saudita The Majalla. Prova ne sia l’ultima prodezza dell’Iran degli ayatollah, sorta di variante negazionista delle strisce stile Marjane Satrapi che narra ai lettori-bambini la «grande bugia» dell’Olocausto.
Inspire vuol chiaramente rifare il look alla guerra santa. Ma anche il target è cambiato, spiega l’ex agente della Cia Bruce Riedel: «Il magazine è un esplicito richiamo al reclutamento di jihadisti inglesi e americani, combattenti che domani potrebbero diventare il killer di Fort Hood e l’attentatore di Times Square». Un virus, probabilmente opera di hacker vicini al Pentagono, ha bloccato in poche ore il sito della testata con il reportage «La battaglia sulle montagne», l’inchiesta sulla crociata infedele contro il niqab, l’abc della chiamata alle armi criptata e una sessantina di pagine. Eppure basta navigare un po’ su Internet per capire dai supporters quanto l’idea abbia attecchito.
Nel numero dedicato alla Cyberwar il settimanale The Economist sostiene che il web sia per i fondamentalisti islamici «il quinto campo di battaglia della guerra moderna dopo terra, mare, aria e spazio». É a Youtube che Hamas ha affidato il trailer di tre minuti su Gilad Shalit, un cartone animato in cui si vede il padre del caporale israeliano rapito quattro anni fa al confine con Gaza invecchiare fino a ottenere indietro il figlio ma in una bara. Invece della colonna sonora, la voce del ragazzo registrata a ottobre come prova di vita accompagna le immagini in movimento, macabra prova generale del sogno cinematografico Madinat Asdaa, la Hollywood di Gaza che Hamas vorrebbe realizzare nell’ex insediamento ebraico di Ghosh Katif.
L’icona pop di Osama, uomo dell’anno 2001 secondo il Time, fa scuola. Non potendo vincere la guerra asimmetrica, gli estremisti tentano di utilizzarne al meglio le armi, compresa quella dell’egemonia culturale.
«Combatto Israele con la matita» ammette Omayya Juha, l’unica cartoonist donna del mondo arabo che ama Toy Story pur detestando gli Usa. Ha imparato la lingua del nemico per disorientarlo proprio come Hamas, che un paio d’anni fa su Al Aqsa tv arruolò Topolino nella «lotta all’occupazione sionista» prima di scomodare Re Leone per denigrare i fratelli coltelli di Fatah.
Tra i ruderi di Mleeta, dove negli anni ‘80 s’addestrava quell’Imad Mugnieyhe misteriosamente assassinato a Damasco nel 2008, Hezbollah conduce oggi i curiosi alla scoperta delle armi, dei bunker dov’è cresciuta la guerriglia libanese sotterranea come quella vietnamita nei tunnel di Cu Chi, del Museo della Resistenza che presto sarà attrezzato con motel, piscine, campi da gioco, perfino spa. Soft Power del mezzo di comunicazione anche quando il messaggio è hard.
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