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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2010 E' possibile definire 'Mandela di Ramallah' Marwan Barghouti ?
Il terrorista palestinese è responsabile dell'assassinio di decine di israeliani

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2010
Pagina: 13
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il 'Mandela di Ramallah' tra Fatah e Hamas»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/08/2010, a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Il 'Mandela di Ramallah' tra Fatah e Hamas ".


Marwan Barghouti

Il titolo del pezzo è scorretto, fa intendere che anche Barghouti si sia battuto per l'uguaglianza dei diritti di ogni essere umano. Non è così. L'unica cosa per la quale Barghouti si è impegnato nella propria vita è assassinare cittadini israeliani. Per questo, dopo essere stato regolarmente processato e riconosciuto colpevole, si trova in carcere. Se l'accenno a Mandela contenuto nel titolo voleva fare un collegamento fra l'apartheid sudafricana e la società israeliana, peggio ancora. In Israele non esiste apartheid. Non esistono cittadini di serie B. Israele è una democrazia e, come tale, i suoi cittadini, senza distinzioni di sesso, religione ed etnia, godono degli stessi diritti.
Nella parte finale dell'articolo si legge : "
Da mesi si continua a parlare d’un possibile scambio di prigionieri tra lui e Gilad Shalit, il caporale di Tsahal catturato a Gaza nel 2006 ". Gilad Shalit è stato rapito in territorio israeliano e non a Gaza. Non è stato 'catturato', ma sequestrato dai terroristi di Hamas.
Paci, oltre a non specificare che Shalit è stato rapito dai terroristi di Hamas, omette anche che da quattro anni non si hanno quasi sue notizie. Hamas non permette nemmeno alla Croce Rossa Internazionale di visitarlo.
Ecco l'articolo:

Per il governo israeliano è un superterrorista più che meritevole dei cinque ergastoli che sta scontando nel carcere di massima sicurezza di Hadarim, a nord di Tel Aviv. Per i palestinesi è il combattente senza macchia né paura della prima e della seconda Intifada, il Mandela di Ramallah, l’unico leader in grado di rimettere insieme i fratelli coltelli di Fatah e Hamas. Da quando l’hanno arrestato, nell’aprile del 2002, la notorietà del cinquantunenne Marwan Barghouti è cresciuta in modo esponenziale, proiezione d’un profondo bisogno popolare ma anche urgenza estrema d’una alternativa politica.
Il curriculum di Marwan è la sua storia. Settimo figlio d’una famiglia del potente clan Barghouti, s’iscrive a Fatah all’età di 15 anni e a 18 varca per la prima volta la soglia d’una prigione israeliana, palestra politica dove si diploma e impara a perfezione l’ebraico, la chiave per entrare nella testa del nemico. Uomo d’azione più che oratore provetto, il giovane Marwan s’impone sulla scena palestinese negli Anni 80, quando nei campi profughi di Cisgiordania e Gaza monta la rivolta delle pietre e la vecchia guardia di Arafat e dell’attuale presidente Mahmoud Abbas comanda dall’esilio. Ma basta che all’indomani degli accordi di Oslo il padre spirituale torni trionfante in patria, perché il suo luogotenente cominci a scalpitare, sempre più insofferente, paleserà in ripetute occasioni, alle direttive di chi non è cresciuto in mezzo alla privazione della sua gente e governa dall’alto tra clientele e corruzione.
Alla morte di Arafat, Barghouti è in carcere da due anni, rispettato dai connazionali per il ruolo alla guida delle Brigate Martiri al-Aqsa ma anche per l’impegno a favore delle riforme maturato nella cella da cui, via cellulare, promuove i negoziati con Israele. Sarà però la guerra civile tra Fatah e Hamas, nell’estate 2007, a rovesciargli addosso tutte le speranze d’un popolo perduto.
Gerusalemme lo tiene d’occhio. Da mesi si continua a parlare d’un possibile scambio di prigionieri tra lui e Gilad Shalit, il caporale di Tsahal catturato a Gaza nel 2006: ma una volta libero, Barghouti avrebbe ancora tanto potere?

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