Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/08/2010, a pag. 14, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " La guerra taleban ai media occidentali ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 9, l'articolo di Roberto Bongiorni dal titolo " Record di vittime civili in Afghanistan ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ahmadinejad vuole prendersi il processo di pace in Afghanistan".
Ecco i tre articoli:
Il FOGLIO - "Ahmadinejad vuole prendersi il processo di pace in Afghanistan"
Ahmadinejad
Roma. Il governo dell’Iran vuole organizzare al più presto una conferenza di pace sull’Afghanistan. Sarà la copia perfetta di quella che si è tenuta a Kabul il mese scorso con i paesi dell’occidente, la differenza è negli invitati: avranno diritto di parola soltanto i rappresentanti dei paesi che confinano con l’Afghanistan. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha in mente un’azione diplomatica che coinvolga Pakistan, Tagikistan, India e Iran. “Se non ci prendiamo cura gli uni degli altri, nessuno lo farà al posto nostro”, ha detto ieri, nel corso di un vertice con il collega afghano, Hamid Karzai, e quello tagiko, Emomali Rahmon. Ahmadinejad ha incontrato i colleghi alla conferenza dei paesi di lingua farsi, un appuntamento che ha usato per l’ennesimo attacco all’occidente: “I problemi dell’Afghanistan vanno risolti nella regione, gli altri non possono farlo, non ce la stanno facendo nemmeno in Iraq”. Ahmadinejad vuole allargare l’influenza dell’Iran sul territorio dell’Afghanistan, ma gli altri invitati hanno problemi diversi. Il Pakistan collabora con gli Stati Uniti e l’occidente, ma i servizi segreti del paese avrebbero legami forti con i terroristi. L’India teme che i talebani tornino al potere, il Tagikistan vuole evitare che gli uomini di al Qaida decidano di mettere in crisi altri governi della regione. Gli iraniani vogliono stabilire le basi di una collaborazione che sia vantaggiosa per tutti. La scorsa settimana, un viceministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Ali Fathollahi, ha tenuto lunghi colloqui con gli ufficiali indiani per costruire un piano che diventi “fondamenta e pilastro di ogni azione”. Le due parti hanno detto che tratteranno soltanto con le milizie che accetteranno la sovranità di Kabul. In passato, Teheran ha sponsorizzato anche vertici trilaterali fra i rappresentanti di Afghanistan, Pakistan e Tagikistan: con il progetto della conferenza di pace, spera di riunire tutti gli attori regionali attorno allo stesso tavolo. Fathollahi ha sottolineato l’importanza del contributo pachistano, conoscendo le diffidenze di Islamabad a collaborare con un paese a maggioranza sciita come è l’Iran. Gli ospiti si guardano con diffidenza. Un ufficiale pachistano ha detto che l’Iran, nel passato, “si è concentrato soltanto sui propri interessi”. Un punto di accordo potrebbe essere il gasdotto Ipi, un progetto milionario che permetterebbe di collegare i giacimenti persiani al mercato dell’India passando per il Pakistan e, forse, anche per l’Afghanistan. “Gli europei e la Nato non sono interessati al progresso dei nostri paesi, chi mette pressioni dall’estero è un ospite indesiderato e dovrebbe andarsene”, ha detto ieri Ahmadinejad a Karzai e Rahmon, chiedendo loro più cooperazione su trasporti, energia e commercio. L’India è più prudente, perché teme che la ritirata occidentale possa lasciare il paese nelle mani degli estremisti sostenuti da Pakistan e Iran. Ma il governo di Nuova Delhi deve difendere 978 miliardi di euro di investimenti in Afghanistan, perciò si è premurato di essere ben rappresentato nelle trattative con gli inviati di Teheran. Sul fronte internazionale, l’Iran continua a muoversi secondo un astuto gioco di specchi: massimo sostegno a Karzai e lotta ai talebani e accuse agli americani di fiancheggiare anche i miliziani per destabilizzare il paese. Le stesse parole, capovolte, che la comunità internazionale rivolge sempre più spesso a Teheran. Ieri, il ministero degli Esteri iraniano ha detto di essere disponibile a colloqui con l’Agenzia atomica internazionale, proprio nel giorno in cui, da Vienna, rendevano noto che Teheran ha raddoppiato le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. L’Iran si muove in fretta per migliorare le difese intorno ai siti sensibili. Il 3 agosto, alla centrale di Bushehr, tre aerei senza pilota sono stati abbattuti nel corso di un’esercitazione. Ieri è stato diffuso un video con cui l’Iran fa vedere di avere scavato migliaia di tombe nella provincia del Khuzestan per seppellire i soldati americani nel caso di un attacco.
La STAMPA - Francesco Semprini - " La guerra taleban ai media occidentali"
La parola penetra più delle pallottole, la propaganda è più potente delle bombe. Le guerre contemporanee non si combattono solo con le azioni militari, ma anche con la comunicazione, e di questo ne hanno preso coscienza persino i taleban. Tanto che al contrario di quanto fecero al governo dell’Afghanistan, quando chiusero giornali, radio e tv a parte quelle da loro strettamente controllate come Voice of Sharia, una volta divenuti «resistenza contro il nemico invasore», si sono convertiti alla cultura mediatica. Secondo Al Somood, magazine in lingua araba, la prima commissione media dei taleban si è formata il 23 settembre 2002 e a guidarla era l’ex ministro per l’informazione e la cultura, Quadratullah Jamal. Nonostante il mullah Omar rimanesse il leader indiscusso del movimento, di rado si faceva sentire delegando al braccio mediatico ogni azione di propaganda.
Omar è talmente convinto dell’importanza strategica della comunicazione che è lui stesso a designare con decreto ogni singolo portavoce, mentre secondo il codice mediatico dei taleban, la morte o la cattura di un addetto alla comunicazione non viene mai dichiarata per non offrire il fianco al nemico. Di questo ne è consapevole il presidente Barack Obama che avrebbe voluto una nuova unità del dipartimento di Stato di contropropaganda in Afghanistan e Pakistan. In realtà non è chiaro se questo progetto abbia mai avuto esecuzione e se questa squadra sia operativa.
Appare certo invece che dal 2004 la comunicazione dei taleban è divenuta assai più frequente e solida grazie a Ustad Mohammad Yasir, ideologo e membro del governo taleban, e Mufti Latifullah Hakimi, il primo vero portavoce full-time della resistenza. Hakimi si è prodigato con una serie di comunicati di diverso genere che per la prima volta abbracciavano quasi tutti i canali di comunicazione. La sua cattura nell’ottobre 2005 ha assestato un brutto colpo ai taleban che da allora hanno deciso di avere due portavoce, uno per le province meridionali e occidentali, l’altro per il centro, l’est e il nord. Oggi a ricoprire gli incarichi sono rispettivamente Qari Mohammad Yousuf Ahmadi (Qari Yousuf) e Zabjullah Mujahid, le due voci che di recente hanno smentito sia l’uccisione della vedova incinta, sia le mutilazioni di Aisha riportate dal Time. I loro comunicati sono tradotti in cinque lingue, pashto, dari, arabo, urdu e Inglese.
Ma Ahmadi e Mujahid non sono gli unici, perché all’interno delle formazioni ribelli vi sono altri gruppi con rispettivi portavoce, come i Salafi, i Tora Bora Front, Haqqani Network, e Hizb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar. È questo, forse, il motivo di frequenti rivendicazioni e smentite su azioni di rappresaglia come quelle a cui si è assistito di recente. Anche se per le formazioni ribelli si tratta di propaganda americana. Diversi i canali su cui si poggia la propaganda taleban. C’è quella diretta nei villaggi per reclutare mujahideen, ottenere consensi, e dissuadere i civili dal collaborare col nemico. Sono le moschee i luoghi preferiti, anche se spesso si ricorre alle «Shabnamah», ovvero i comunicati notturni. Si tratta di lettere scritte a mano o stampate, lasciate porta a porta, o distribuite per interi villaggi e città: vengono spesso usate come primo avvertimento o minaccia diretta. Esistono due quotidiani di Hizb-e-Islami, ovvero Shahadat e Tanveer, pubblicati e distribuiti a Peshawar e nelle aree adiacenti, oltre a diversi magazine in lingua urdu, pashto e arabo.
Sono senza dubbio video e audio gli strumenti più usati e distribuiti anche nella forma di Mp3 nei centri urbani. Discorso a parte merita Internet divenuto canale di propaganda ufficiale sin dal 2005 con il sito Al-Emarah (L’emirato) dove nella home page campeggia una scritta: «La voce della jihad». Altri siti sono Shahamat e Tora-Bora, aggiornati in cinque lingue, mentre le email vengono utilizzate soprattutto per interviste e chiarimenti. Non mancano infine i social network, Facebook con pagine debitamente mimetizzate,e i video su YouTube, che riuscendo a raggiungere milioni di persone con un click si sta affermando come la nuova cannoniera mediatica della propaganda taleban.
Il SOLE 24 ORE - Roberto Bongiorni : " Record di vittime civili in Afghanistan"
David Petraeus
Quando in una guerra, come quella afghana, il numero delle vittime civili continua a crescere, è sempre una tragica notizia. Che deve far riflettere tutte le parti coinvolte nel conflitto. Ma per il contingente internazionale della Nato presente in Afghanistan (Isaf) qualche motivo per essere meno pessimisti c'è: il numero dei civili afghani uccisi per errore durante le operazioni militari è in netto calo (30%). Qui nella base di Herat, dov'è stanziato il Regional Command West a guida italiana, la counter-insurgency da tempo è divenuta una sorta di mantra. Per vincere le diffidenze degli afghani, e portarli dalla parte del contingente internazionale della Nato, la prima regola è di ridurre al minimo le vittime civili.
Appena insediatosi, nel giugno del 2009, l'allora capo dell'Isaf e delle truppe americane, il generale Stanley McCrystal, lo aveva capito subito: i civili venivano prima degli obiettivi militari. I raid aerei, utili a eliminare le cellule dei talebani, avevano sì un certo successo, ma il prezzo da pagare in termini divite innocenti spesso era troppo alto. L'ordine fu di ridurli drasticamente. Il suo successore, il generale David Petraeus, alla guida dell'Isaf dal 4 luglio, non ha cambiato idea, anzi. «Siamo consapevoli che la protezione dei civili sarà il metro con cui sarà giudicata la nostra missione», ha dichiarato. Una preoccupazione che, a parole, è condivisa anche dai talebani. Ma smentita dai fatti. Il rapporto Onu diffuso ieri parla chiaro: nei primi sei mesi del 2010 il numero di civili uccisi è salito a 1.271. Il 31% in più rispetto allo stesso periodo del 2009. Ma la novità è che sempre più civili sono uccisi dagli insorti. Il 76% del totale, un aumento del 53% sullo stesso periodo dell'anno precedente.
Pur tra mille difficoltà, la strategia di counter-insurgency in parte sta funzionando. Perché solo tre anni fa quasi la metà dei civili uccisi nel conflitto era stato addebitato alle forze internazionali. Secondo l'Onu ad aver provocato più vittime sono le bombe degli insorti: un termine che include gli attentati suicidi e i micidiali ordigni esplosivi improvvisati, l'incubo per i blindati dell'Isaf. Quando McChrystal decise che i raid aerei dovevano essere diminuiti aveva dunque visto giusto. Nella prima metà del 2009, secondo le Ong internazionali, oltre 100 civili morirono nei raid aerei Nato. Vittime che provocarono rabbiose reazioni popolari. Nei primi sei mesi del 2010 gli afghani uccisi durante i raid aerei sono stati 69, il 64% in meno rispetto al gennaio- giugno 2009.
Al di là delle minori vittime civili provocate dall'Isaf, il quadro tracciato dall'Onu,già di per sé negativo, evidenzia un nuovo, allarmante dato: il numero dei civili uccisi nelle regioni nordorientali del paese ha subito un balzo del 136 per cento. Un segno che i talebani si stano spingendo sempre più a nord, in regioni considerate fino a un anno fa più tranquille. Con i loro ordigni e i loro uomini bomba da tempo i talebani riescono a colpire ogni angolo del paese. Anche nella capitale Kabul, dove ieri, ultimo giorno prima del Ramadan, due kamikaze hanno colpito una zona residenziale di Kabul uccidendo tre poliziotti. L'ennesima conferma della loro capacità di far breccia persino nel dispositivo di sicurezza della capitale.
E mentre a rendere più precario il quadro della sicurezza contribuisce il presidente afgano Hamid Karzai, deciso a dissolvere tutte le compagnie di sicurezza private in Afghanistan («Molto presto il presidente fisserà il termine perentorio», ha fatto sapere il suo portavoce), cinque Ongla più nota è Amnesty International - hanno scritto una lettera al fondatore di Wikileaks, Julian Assange, chiedendo di rimuovere dalla documentazione segreta pubblicata online i nomi degli afghani che hanno collaborato con gli occidentali, la cui vita potrebbe ora essere a rischio.
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