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La Stampa Rassegna Stampa
08.08.2010 Libano: il leader druso Walid Jumblatt è contrario al disarmo di Hezbollah
e non esclude una guerra contro Israele. Intervista di Claudio Gallo

Testata: La Stampa
Data: 08 agosto 2010
Pagina: 5
Autore: Claudio Gallo
Titolo: «Una guerra con Israele resta sempre possibile»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/08/2010, a pag. 5, l’intervista di Claudio Gallo a Walid Jumblatt, leader dei drusi libanesi, dal titolo “ Una guerra con Israele resta sempre possibile “.


Walid Jumblatt

Quando Claudio Gallo gli chiede un commento sugli scontri tra esercito libanese e israeliano di pochi giorni fa e sul fatto che l'Unifil abbia stabilito che l'albero tagliato era in territorio israeliano, Jumblatt risponde : “ «Balle - ribatte seccato - bisogna smetterla con questa propaganda. L’albero era in Libano, l’hanno visto tutti. L’Unifil pensi a difenderci dalle prepotenze israeliane invece di fuggire al primo sparo. Ma io non faccio affidamento sull’Unifil, credo nella nostra resistenza armata e nel nostro esercito».”. Nonostante sia stata l’Unifil a stabilire che l’albero era in territorio israeliano, il leader druso preferisce negare, sostiene che si tratti di propaganda, accusa l’Unifil di codardia (per il motivo sbagliato, però) e si dice favorevole alla resistenza armata contro Israele. Queste dichiarazioni dimostrano come sia il Libano a volere la guerra contro Israele e non il contrario. Israele ha finora minimizzato l’accaduto, definendolo ‘incidente isolato’. Chi continua a sostenere che si sia trattato di un attacco violento e premeditato da parte israeliana è il Libano, con Hezbollah al governo .

«Se mi vuole parlare deve venire sulle montagne, a Moukhtara», al telefono la voce flebile di Walid Jumblatt, leader dei drusi libanesi, corona un giorno di attesa. Sessantuno anni, figlio di Kamal, il fondatore del Partito progressista druso, è l’unico leader che ha attraversato la burrascosa politica libanese, dalla guerra civile ad oggi, restando ai vertici del potere. Grazie al suo trasformismo, secondo i nemici, grazie alla sua (innegabile) intelligenza politica, secondo i sostenitori. Ieri era un nemico giurato della Siria, oggi è un alleato cruciale. Nei weekend Jumblatt sta nel palazzo di famiglia sulla cima dello Chouf a ricevere una coda di dignitari e questuanti drusi, come un antico «beg» ottomano.
Laureato in Scienze politiche all’università americana di Beirut, sposato due volte, tre figli, ha preso a soli 28 anni il posto del padre assassinato: conserva ancora la carta d’identità che aveva il giorno della morte, forata da un proiettile. Come tutti gli omicidi politici in Libano, compreso quello di Rafiq Hariri, non è mai stato chiaro chi avesse armato la mani degli assassini, anche se lo stesso Walid ha più volte accusato la Siria. In Libano Damasco c’entra sempre. Nel 1987 stava per toccare a lui: un’autobomba lo ferì insieme alla seconda moglie incinta, sei passanti e la guardia del corpo morirono. Dovette mostrarsi fuori dell’ospedale, ancora con le bende insanguinate, per evitare che i suoi miliziani scatenassero un nuovo massacro per vendicarlo. Sono circa 300 mila i drusi, per lo più contadini, che formano la sua tribù anche se il suo carisma va oltre la loro limitata consistenza numerica.
Salendo verso lo Chouf, tra il profumo dei pini e delle rose selvatiche, s’incontra uno dei luoghi di villeggiatura più cari agli abitanti di Beirut, Beiteddine, roccaforte dell’emiro Bashir nel XVIII secolo. Il suo palazzo tra il moresco e il barocco fu costruito da architetti italiani. Nelle antiche scuderie è conservata una delle collezioni di mosaici bizantini più belle del mondo. Vengono in gran parte dall’antica chiesa di Jiyyeh, vicino a Sidone. Scoperti nel 1982 furono fatti portare qui da Jumblatt per metterli in salvo dalle bombe che allora cadevano copiosamente sul Sud.
Moukhtara è proprio sulla sommità delle montagne druse. L’ingresso del castello di famiglia, costruito solo nel XIX secolo, è sulla sinistra. Attraverso il grande cancello c’è un viavai di persone ma nessuno sfugge all’attento controllo degli uomini della sicurezza. Per arrivare al «salon» dove Jumblatt riceve il suo popolo bisogna salire uno scalone irto, accanto gorgoglia una cascatella che riempie una grande vasca. Nel giardino spuntano sarcofagi romani.
Walid Jumblatt se ne sta in jeans e camicia bianca a quadretti seduto su una cassapanca, ai suoi piedi tre pastori svizzeri bianchi. Intorno, a rispettosa distanza in fondo al salone, uno stuolo di cortigiani, alcuni Uqqai, sheikh con il tradizionale vestito nero e il fez bianco, gli unici ad avere accesso ai segreti della religione drusa. La cosa che colpisce subito è il gigantesco dipinto che ritrae il maresciallo Zhukov, l’eroe sovietico della guerra contro i nazisti, a cavallo, col petto ingombro di medaglie. Dopo essere passato in questa stanza, Mario Vargas Llosa espresse tutta la sua perplessità: «Non sono riuscito a capire se questi dipinti sono una raffinata ironia postmoderna, oppure un involontario omaggio al kitsch, o se magari gli piacciono davvero».
Dimostra qualche anno in più di quelli che ha. Sembra un po’ affaticato, forse si annoia. Alto, magro, i baffoni bianchi, i capelli che spuntano come cespugli dal cranio pelato, i grandi occhi chiari e tristi da ipertiroideo che guardano un punto indistinto dell’orizzonte ma poi si accendono all’improvviso, come quando zittisce i questuanti perché fanno troppo baccano. Parla sempre con un filo di voce, anche quando si arrabbia.
Parliamo dell’incidente alla frontiera tra libanesi e israeliani, martedì scorso, provocato da un albero tagliato sulla linea di una delle frontiere più indeterminate del mondo. L’Unifil dice che l’albero era in territorio israeliano. «Balle - ribatte seccato - bisogna smetterla con questa propaganda. L’albero era in Libano, l’hanno visto tutti. L’Unifil pensi a difenderci dalle prepotenze israeliane invece di fuggire al primo sparo. Ma io non faccio affidamento sull’Unifil, credo nella nostra resistenza armata e nel nostro esercito». Infatti come politico si è detto contrario allo smantellamento dell’arsenale di Hezbollah (anche perché non sarebbe un’opzione realistica). La sua idea è di incorporarlo progressivamente in quello dell’esercito.
Ci sarà un’altra guerra con Israele? Guarda di nuovo lontano: «Non ho idea, ce ne sono state tante, potrebbe essercene un’altra, ma non so». Lunedì Nasrallah porterà davvero le prove, come ha detto, che dietro l’assassinio di Hariri ci sarebbe il Mossad? «Vedremo, Nasrallah ha molte ragioni. Abbiamo visto che i testimoni siriani erano fasulli, ora sappiamo da un giornale tedesco e dal capo di Stato maggiore israeliano che i sospetti cadrebbero su Hezbollah. Come fanno a sapere quelle cose, chi gliele dice? E’ una storia pericolosa e fangosa. E’ diventato un processo politico e questo non lo accettiamo».
Un cameriere porta un grande vassoio di tazzine di caffè al cardamomo per gli ospiti in attesa. Israele attaccherà l’Iran? «Spero di no» e poi non dice niente. Domanda sgradita. Alla stessa domanda il responsabile per i media di Hezbollah Ibrahim Mousawi aveva risposto: «Non mi occupo di politica estera».
La prossima settimana dovrebbe essere votata la legge da lei proposta per il conferimento di alcuni diritti civili ai palestinesi: riuscirà a passare? «Me lo auguro, anche se l’estrema destra continua a boicottare. E’ una legge estremamente importante, non si può rimandarla all’infinito». Jumblatt è uno dei politici libanesi che ha più legami con l’Italia, anche se da noi è forse più noto per la storia d’amore con la signora Moravia, Carmen Llera. «Però è da parecchio che non ci vado. Ricordo Berlinguer, un gran gentiluomo. E Craxi che era molto vicino alla causa palestinese. Anche con Andreotti andavo d’accordo. Adesso le cose sono parecchio cambiate e con il nuovo governo non ho rapporti. Mi piace però Di Pietro, sì, mi sembra una persona onesta».

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