Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/08/2010, a pag. 2, la cronaca di Guido Olimpio dal titolo “ 'Spie e crociati'. Otto volontari uccisi solo perché cristiani “. Da LIBERO, a pag. 1-18, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " I talebani fucilano otto medici. Avevano la colpa di essere cristiani ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 9, l’articolo di Roberto Bongiorni dal titolo “ L'estremismo minaccia la provincia dimenticata “. Dalla STAMPA, a pag. 2, l’articolo di Francesco Grignetti dal titolo “ La crociata delle Ong contro caos e truffe“. Da REPUBBLICA, a pag. 2, l’articolo di Orazio la Rocca dal titolo “ Il dolore del Vaticano per i nuovi martiri: Condannati perché avevano le Bibbie “, a pag. 3, l’intervista di Francesca Caferri ad Ahmed Rashid dal titolo “ Un messaggio a chi vuole il dialogo dietro questi massacri c´è Al Qaeda “.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA – Guido Olimpio : “ 'Spie e crociati'. Otto volontari uccisi solo perché cristiani “
Li hanno allineati come le bestie che vanno al macello, poi li hanno uccisi con raffiche di kalashnikov. Sono morti così 8 volontari occidentali — tra cui tre donne — e due loro collaboratori afghani. Un omicidio barbaro rivendicato dai talebani del mullah Omar e dagli estremisti di Gulbuddin Hekmatyar. Per giustificare il massacro, i ribelli hanno sostenuto che «i missionari stavano spiando le nostre basi».
Teatro dell’agguato una zona impervia tra le regioni del Nuristan e del Badakhshan, non lontano dal confine pachistano. Un team di operatori umanitari dell’International Assistance Mission (Iam), guidato dall’americano Tom Little, si è avventurato nei villaggi della zona per portare avanti un progetto oculistico. E per due settimane hanno svolto il loro lavoro di assistenza senza particolari problemi. Poi, terminata la missione, il team è partito alla volta di Kabul a bordo di alcuni fuoristrada. Gli insorti, probabilmente, li stavano seguendo. Il team medico, infatti, è stato assalito dopo una sosta nella valle impervia di Sharron. Un commando di militanti, molti dei quali avevano le barbe rosse (gli integralisti le tingono di hennè), hanno aperto il fuoco sul convoglio costringendo i volontari a fermarsi. La loro sorte era ormai segnata: condotti in una zona appartata, sono stati fucilati.
Sotto il fuoco sono caduti due afghani, sei americani (compresa una donna), una britannica — Karen Woo, 36 anni — e una tedesca. Si è invece salvato un terzo afghano, identificato come Saifullah: sembra che sia stato risparmiato perché avrebbe recitato versetti del Corano. A questo punto i killer si sono impossessati di tutto ciò che hanno trovato all’interno dei veicoli e sono fuggiti. Più tardi è partita la corsa alla rivendicazione. La prima degli estremisti di Hekmatyar, vecchia volpe della resistenza antirussa trasformatosi in un buon amico di Al Qaeda. La seconda del movimento talebano. Un portavoce degli insorti ha accusato i missionari di spionaggio e proselitismo: «Abbiamo trovato delle Bibbie che intendevano distribuire alla popolazione». Nella ricostruzione fornita dai talebani gli stranieri somigliano a degli agenti infiltrati, pronti a monitorare movimenti e uomini. Una versione contestata dai responsabili dell’associazione che lavora da l 1966 in Afghanistan. Dirk Frans, direttore esecutivo di Iam, ha precisato che due delle vittime dipendevano dalla sua organizzazione, altri due erano ex membri e i restanti quattro facevano parte di altre associazioni umanitarie. Sempre Frans ha sostenuto che il team aveva scelto la strada attraverso il Badakhshan in quanto ritenuta più sicura. Purtroppo non è stato così.
Il capo team, Tom Little, originario di Delmar (stato di New York) era considerato molto esperto in quanto ha lavorato in Afghanistan per quasi 30 anni. L’americano dirigeva alcuni ospedali a Kabul e in altre cittadine afghane: nell’estate 2001 i talebani lo avevano espulso insieme ad altri stranieri con l’accusa di voler convertire gli afghani al Cristianesimo. Un esilio durato pochi mesi. Quando le forze Usa hanno rovesciato il regime islamista Little è rientrato a Kabul.
La trappola dei terroristi rientra nella campagna scatenata contro civili, associazioni e volontari che vengono considerati alla stregua di collaborazionisti del governo Karzai come degli americani. I talebani non fanno distinzione tra chi predica un’altra religione e quanti portano assistenza alla popolazione. A loro giudizio sono «spie» e «crociati» che violano la terra islamica. Proprio di recente il mullah Omar ha ribadito il codice di condotta per i suoi miliziani. E tra gli ordini c’è quello di perseguire chi aiuta, l’intervento alleato.
I talebani sembrano comunque attenti a quello che si scrive su di loro. Ieri hanno sostenuto di essere estranei al dramma di Aisha, la ragazza con il naso mozzato finita sulla copertina di «Time». Non siamo stati noi, hanno precisato. Intanto però fanno a pezzi chi osa curare i malati.
LIBERO - Andrea Morigi : " I talebani fucilano otto medici. Avevano la colpa di essere cristiani"
Andrea Morigi
Oltre nove anni di guerra in Afghanistan hanno chiesto il sacrificio della vita di civili, di soldati afghani e di militari della coalizione. Gli ultimi due, danesi, sono morti ieri mentre altri tre loro connazionali rimanevano feriti per lo scoppio di un ordigno rudimentale nella provincia di Helmand. Anche la regione di Badakhshan, al confine con il Tajikistan, dove ieri sono stati trucidati otto medici e due interpreti con l’accusa di essere cristiani, è una delle poche regioni afghane che gli Stati Uniti hanno sottratto al controllo dei talebani, dopo l’inva - sione del 2001. Tutta lazonaera considerata sicura, anche se recentemente la popolazione locale si era esercitata in prove di insurrezione. Oranon si riesce più a garantire l’incolumità degli operatori umanitari. Eppure è la cornice internazionale che non sembra sostenere a sufficienza gli sforzi di chi faticosamente, e a prezzo del sangue, sta cercando di introdurre elementi di civiltà in quel contesto segnato da una guerra civile e da anni di barbarie. Dal mondo arabo e islamico non ci si può attendere un sostegno alla Nato. Combattere contro i talebani, per quanto ci si trovi all’inter - no di un conflitto fra versioni rivali dell’islam, significherebbe esporsi all’accusa di parteggiare per il nemico infedele. Chi però sembra soccombere in modo disonorevole sono gli Stati Uniti da un lato e l’Europa dall’altro. L’ammi - nistrazione Obama non sembra avere una strategia chiara per risolvere il conflitto, come dimostrano i recenti drammatici avvicendamenti dei vertici militari e le loro code polemiche. Gli eserciti del Vecchio Continente, invece, mandano un segnale ancora peggiore: la resa. Un numero sempre maggiore di assemblee parlamentari europee ordinano il ritiro delle truppe dei rispettivi Paesi dal teatro afghano. Sperano forse di evitare che lo scontro di civiltà giunga fino ai loro confini. Ma le politiche isolazioniste che hanno finto l’inesistenza o l’irri - levanza dei problemi internazionali non hanno mai portato risultati di lungo termine, tranne uno: il declino.
Il SOLE 24 ORE – Roberto Bongiorni : “ L'estremismo minaccia la provincia dimenticata “
Badakhshan
Sulla cartina geografica dell'Afghanistan è la provincia con la forma più strana. Un territorio frastagliato situato all'estremo nordest. Con una curiosa propaggine a oriente, un lunghissimo dito di terra che si incunea tra le vette della Cina e del Tajikistan; è il leggendario corridoio del Wakhan, l'antichissima via della seta che si snoda sull'altipiano più alto del mondo, il Pamir. Dove sotto lo sguardo curioso della popolazione, sfilavano le carovane della seta già nel 1200. Marco Polo nei suoi diari descrisse la purezza e il blu intenso dei lapislazzuli locali. Visitarla è come precipitare nel Medio Evo.
Se l'Afghanistan è considerato uno dei paesi più poveri e sperduti del mondo, il Badakhshan è la più remota e più povera delle 34 province afghane. È, per così dire, la "provincia dimenticata", dove l'aspettativa di vita è tra le più basse del mondo. Insieme alla provincia di Bamyan,il regno dell'etnia hazara, il Badakhshan è considerata la regione più sicura del paese. La sua lontananza è stata finora la sua salvezza. I suoi suggestivi panorami un richiamo irresistibile per i turisti più intrepidi. Nella capitale Fayzabad esistono perfino due agenzie turistiche.
Negli ultimi tempi, però, ha preso il via una preoccupante penetrazione dei gruppi estremisti islamici - tra cui Hizb-e-Islami nelle aree vicine al confine con la turbolenta provincia del Nuristan e a quello con il Pakistan. I corpi brutalmente giustiziati degli otto medici occidentali, ritrovati ieri vicino al confine con il Nuristan, confermano una graduale ma ineluttabile espansione dell'estremismo islamico. Lo sa bene Fawzia Koofi, una "donna coraggio" che ha dedicato la sua vita all'affermazione dei diritti delle donne afghane.
Al telefono dal Badakhshan, dove sta svolgendo la sua campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 18 settembre, ci rivolge un appello preoccupante: «Aiutateci perché anche il nostro Badakhshan sta cadendo nelle mani degli estremisti. Se non sarà fatto qualcosa i talebani inghiottiranno anche la nostra terra». Una richiesta da prendere sul serio. Fawzia, ex vicepresidente del parlamento afghano, è la donna più conosciuta qui, la sua terra d'origine: «Non riconosco più certi luoghi della mia terra, devo cambiare gli itinerari, le auto, gli alberghi. Due giorni fa la sicurezza ha sventato un attentato contro di me».
Sembra quasi che non si tratti del pacifico Badakhshan, a maggioranza tajika, dove il contingente tedesco dell'Isaf si limita a qualche ricognizione, senza troppi patemi. I talebani qui non erano mai arrivati. Gli abitanti locali sono sempre stati ostili al loro fanatismo. È sempre stato un territorio anti-talebano, la roccaforte dell'Alleanza del nord da cui è partita l'avanzata culminata con la presa di Kabul, a fine 2001.
Cosa sta accadendo? «Il Badakhshan è sempre stato trascurato dal governo. Pochissimi fondi, poche forze di sicurezza, persino poche Ong (fino a poco fa operava una Ong italiana)», continua la parlamentare. «Ma la povertà sta esasperando la popolazione, e gli estremisti hanno gioco facile. In alcuni distretti gli studenti devono fare cinque ore di cammino per giungere in classe. Qualcuno arriva stremato al mio ufficio, per chiedere solo cibo».
E così anche qui sta accadendo ciò che è successo già altrove. Con una formula collaudata in diversi paesi arabi, i gruppi estremisti hanno riempito il vuoto di potere, e soprattutto la mancanza dei servizi pubblici di base per la popolazione- ospedali, educazione, medicinali e cibo- introducendo una sorta di welfare state.
«In alcuni distretti, come quello di Jurn - continua Fawzia - ci sono imam che durante la preghiera del venerdì incitano gli uomini a tenere le donne segregate in casa. Una cosa innaturale per noi donne del Badakhshan». In effetti nella capitale Fayzabad, ma anche nelle campagne, le donne lavorano, parlano anche con uno straniero, e in alcuni casi occupano posizioni sociali di rilievo. «Al mio ultimo comizio sono arrivate in 1.500. Sono commossa. Ma bisogna fare qualcosa, prima che sia troppo tardi». Prima che anche la "provincia dimenticata" finisca in mano ai talebani.
LA STAMPA – Francesco Grignetti : “ La crociata delle Ong contro caos e truffe “
Hamid Karzai
Si fa presto a dire Ong, ossia Organizzazioni Non Governative. Da dieci anni a questa parte in Afghanistan è cresciuta a dismisura la presenza delle associazioni umanitarie internazionali e praticamente nessuno riesce a sapere nemmeno quante siano, tantomeno che cosa facciano. Forse è giusto che sia così: come dice il loro stesso nome, le associazioni umanitarie non dipendono dai governi, nascono dal basso, qualche volta sono dei giganti, spesso sono piccole realtà di persone animate di buona volontà che prendono e partono alla volta delle aree sfortunate del mondo.
«Ma in Afghanistan è un problema di prima grandezza», spiega un diplomatico bene addentro alla realtà locale. «Da anni si vorrebbe un coordinamento, per evitare almeno duplicazioni e spese inutili. Ma persino fare l’elenco delle Ong presenti è stato un lavoro che si è rivelato impossibile».
Un elenco dovrebbe (e si sottolinea il condizionale: dovrebbe) trovarsi presso il ministero dell’Interno afghano. Ed è anche questa una novità degli ultimi anni, perché a un certo punto il governo Karzai si arrabbiò di brutto con gli occidentali, militari e umanitari, agenzie dell’Onu comprese, in quanto i finanziamenti promessi non arrivavano mai e quel poco che veniva realmente stanziato era assorbito dagli occidentali medesimi. Karzai s’imbufalì, insomma, e venne fuori una legge che obbligava le Ong a registrarsi presso il governo locale e a documentare il numero dei propri dipendenti, specificando quanti erano i locali e quanti gli stranieri. La registrazione dovrebbe funzionare anche a fini fiscali. Ma anche così molte Ong sfuggono ai controlli. E praticamente il caos continua.
Non aveva tutti i torti, Karzai. Un paio di anni fa, l’associazione umanitaria inglese Oxfam dimostrò, carte alla mano, che su 25 miliardi di dollari promessi dalle nazioni occidentali per la ricostruzione dell’Afghanistan, circa la metà erano rimasti sulla carta e il 40% di quanto realmente stanziato era tornato ai donatori sotto forma di consulenze e di stipendi per il personale straniero.
Ad accrescere la confusione, poi, ci si sono messi i furbi. Siccome le Ong non pagano tasse, sono sorte centinaia di finte associazioni afghane che in pratica sono semplici imprese. Anche in questo campo si promette pulizia, ma da un governo considerato tra i più corrotti al mondo c’è poco da sperare. Esiste però dal 1988 a Kabul un’agenzia per il coordinamento degli aiuti allo sviluppo, in sigla Acbar (Agency Coordinating Body for Afghan Relief), un’associazione di associazioni, che riunisce 110 Ong operanti davvero sul territorio. Ebbene Acbar lamenta che al contrario di quanto si creda, «solo il 9% degli aiuti internazionali transita attraverso le Ong e altre organizzaioni no-profit. Il 71% è speso dalle Nazioni Unite, dai Prt dell’Alleanza atlantica e in appalti da ditte private nel campo dell’agricoltura, della logistica, delle costruzioni e della sicurezza. Quest’ultimo settore da solo assorbe il 45% degli aiuti».
La REPUBBLICA – Orazio La Rocca : “ Il dolore del Vaticano per i nuovi martiri: Condannati perché avevano le Bibbie “
CITTÀ DEL VATICANO - «Non ci resta che pregare per le loro anime, essere solidali con le loro famiglie e affidare a Dio questi nostri fratelli martiri, uccisi senza colpe mentre erano al servizio dei poveri tra i più poveri dell´Afghanistan». Parla senza esitazione di "nuovi martiri" morti per la fede cristiana, monsignor Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry (Guinea Bissau) e segretario di Propaganda Fide, il dicastero per le missioni estere della Santa Sede. Pur con una certa prudenza («Perché - spiega - non ho notizie dirette su quanto è successo»), per l´arcivescovo Sarah il sacrificio dei nove medici volontari «fucilati perché avevano con sé delle Bibbie» è una tragedia che non può non richiamare alla mente la lunga catena di persecuzioni anticristiane avvenute negli ultimi tempi in terre d´Oriente, in Asia, Africa, America Latina. Una lunga, quasi interminabile, lista di religiosi, uomini e donne caduti in nome del Vangelo e di un modo di essere missionari oggi che sarà inevitabilmente uno dei temi portanti che caratterizzeranno l´ormai prossimo Sinodo speciale dei vescovi del Medio Oriente indetto da papa Benedetto XVI in Vaticano dal 10 al 24 ottobre prossimi. Data delicatissima per il futuro della pastorale missionaria della Chiesa cattolica che sarà chiamata per forza a fare i conti anche con le persecuzioni anticristiane del terzo millennio.
Una piaga difficilmente quantificabile anche se secondo la Fides, l´agenzia stampa di Propaganda Fide (la congregazione vaticana per l´evangelizzazione dei popoli) per tutto il ventesimo secolo i martiri "certificati" dalla Chiesa sono stati circa 12 mila. Ma dal 2000 fino ad oggi questa cifra è stata abbondantemente superata a causa di una lunga striscia di violenze che hanno colpito centinaia e centinaia di missionari appartenenti alle varie confessioni cristiane, come loro malgrado stanno a dimostrare i 9 medici volontari assassinati in Afghanistan, preceduti da altri episodi simili in aree a rischio come il Pakistan dove solo qualche giorno fa - il 3 agosto scorso - sono stati uccisi fuori da una chiesa di Sukkur 5 cristiani per mano di estremisti islamici. La stessa furia omicida che nei mesi passati ha portato alla morte 7 fedeli cristiani crocifissi agli alberi a Tombura Yambio, in Sudan, da miliziani vicini ad Al Qaeda o figure di primo piano del movimento missionario italiano come il vescovo Luigi Padovese e don Andrea Santoro, martirizzati in Turchia. Nomi ormai noti al grande pubblico ai quali vanno doverosamente affiancati anche tanti anonimi cristiani oppressi in Iraq, in Cambogia, nello Zimbawe, in Somalia, Cina, Corea del Nord, India - specialmente nella regione dell´Orissa dove non a caso martedì prossimo si celebrerà una giornata contro le persecuzioni antireligiose - ma anche in paesi sudamericani come Messico, Guatemala, Colombia, El Salvador, dove non di rado sacerdoti e missionari vengono ammazzati dai narcotrafficanti.
Stando alle stime dell´agenzia Fides, attualmente sono circa 60 i paesi dove i cristiani sono a rischio di persecuzioni e di martirii. I missionari uccisi "sono martiri delle fede e della giustizia", è solito ricordare padre Giulio Albanese, missionario comboniano ed editorialista del quotidiano cattolico Avvenire, secondo il quale spesso i religiosi vengono violentemente messi a tacere perchè difendono la vita ed i diritti dei più deboli, ma anche perchè sono gli unici che vanno a fare "scudo" tra gli eserciti e la gente comune come spesso accade in zone del Sudan meridionale e della Repubblica del Congo. Ma a preoccupare ancora di più la Santa Sede e i dicasteri missionari è la presa d´atto che il numero dei mariti tende a crescere col passare degli ultimi anni: nel 2009 - riporta Fides - sono stati 37 contro i 20 nel 2008. Cifre che nel 2010 sono destinate ad essere superate.
La REPUBBLICA – Francesca Caferri : “ Un messaggio a chi vuole il dialogo dietro questi massacri c´è Al Qaeda “
Ahmed Rashid
ROMA - «È terribile». La voce di Ahmed Rashid quando gli arriva la notizia della strage dei cooperanti in Afghanistan, si incrina per un momento: una reazione sorprendente, visto il personaggio. Rashid, pachistano, segue l´Afghanistan da oltre 20 anni: nei suoi libri e nei suoi articoli ha raccontato come nessun altro l´ascesa di quel movimento di studenti poi diventato famoso in tutto il mondo, i Taliban, e poi gli errori che hanno portato la coalizione internazionale intervenuta nel 2001 a un passo dal fallimento. Oggi è considerato uno dei massimi esperti a livello mondiale sul paese asiatico: negli anni ha assistito a episodi di orrore difficili anche da raccontare. Tuttavia, la strage dei cooperanti spezza la sua consueta imperturbabilità: «Una cosa così lascerà un segno difficile da cancellare», commenta.
Che tipo di segno?
«Mi aspetto che ora assisteremo a un congelamento ulteriore delle attività di assistenza nei confronti della popolazione. Gli stranieri rimasti avranno paura ad uscire dai loro compound e sempre meno saranno disposti a dirigersi verso quelle aree remote del paese dove invece c´è moltissimo bisogno di aiuto. Il segnale è chiaro: per chi ha commesso questa strage non c´è differenza fra militari e cooperanti, ogni straniero è un nemico».
Chi sta lanciando questo messaggio?
«Io non credo che i responsabili della strage vadano cercati fra i gruppi Taliban nel senso più stretto del termine: non penso che siano stati elementi legati alla shura di Qetta che risponde al Mullah Omar, per essere chiari. Il Nouristan è una regione dove i gruppi legati ad Al Qaeda e al clan pachistano degli Haqqani sono molto forti: sono loro, con combattenti arabi o ceceni, a tenere sotto controllo la zona per intero. Poi ci sono anche i mujahiddin di Hekmatyar, uno dei più spietati signori della guerra afgani. I militari americani, che pure ci sono stati a lungo, si sono ormai ritirati dal Nouristan. Questo colpo serve a dire chi comanda in quella zona e che la presenza di stranieri nell´area, civili o militari, non è ammessa. Questo è il segnale per il mondo: poi c´è il segnale interno».
E qual è?
«La shura di Qetta è pronta al dialogo con gli stranieri. I gruppi dei Taliban "tradizionali" vogliono un accordo: alle loro condizioni, ma sono pronti a parlare. Gli Haqqani e Al Qaeda no: per loro ogni forma di dialogo è da escludere. Uccidere un gruppo di cooperanti stranieri serve anche a fermare ogni possibile trattativa. E questo è un segnale se possibile ancora più preoccupante del primo: perché senza trattative con i Taliban la Nato e gli americani non riusciranno a uscire dall´Afghanistan in maniera decente. Un accordo a questo punto è l´unica strada: i paesi europei e la Nato vogliono andare via, ora anche negli Stati Uniti il dibattito su questo tema si sta infiammando. È chiaro che un episodio così aiuta chi dice che è tempo di andare via».
Ma forse anche chi dice che è tempo di restare. Come la copertina di Time magazine con la ragazza sfregiata qualche giorno fa: "Questo è quello che accadrà se andiamo via" diceva il titolo. Si potrebbe applicare anche alla strage del Nouristan, da dove gli americani si sono ritirati...
«È chiaro che un dibattito è in corso e che è molto complesso. Io penso che non si possa parlare con chi compie atti come la strage dei cooperanti, ma che ormai non si possa non parlare con gli altri, anche se non ci piacciono».
Dimenticando i diritti umani? I Taliban, anche quelli della shura di Qetta, si sono macchiati di crimini orribili in passato, in primis contro le donne.
«Occorrerà stabilire dei confini e delle priorità. Tutto dipenderà dal tipo di accordo che si riuscirà a raggiungere. Ma non c´è una via di uscita senza dialogo a questo punto».
Ultima domanda: crede che il mix fra intervento militare e umanitario, che è centrale nella dottrina anti-terrorismo di Petraeus possa aver contribuito a stragi come questa? I cooperanti non sono più immuni perché troppo vicini ai militari?
«Il dibattito su questo punto è lungo e complesso, questo episodio lo rafforzerà. Molti nel mondo delle ong la pensano così. Ma quelli che hanno colpito in questo caso sono individui senza scrupoli: straniero è straniero, non conta se militare o civile».
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