'Mia madre non era antisemita' In 'Sopravvivere e vivere' Denise Epstein racconta della madre Irčne Némirovsky
Testata: Libero Data: 06 agosto 2010 Pagina: 32 Autore: Mario Bernardi Guardi Titolo: «Mia madre Irčne non era antisemita. Faceva critica sociale»
Riportiamo da LIBEROdi oggi, 06/08/2010, a pag. 32, l'articolo di Mario Bernardi Guardi dal titolo " Mia madre Irčne non era antisemita. Faceva critica sociale".
Denise Epstein, Irčne Némirovsky, Sopravvivere e vivere. Conversazioni con Clemente Bouloque (Adelphi, pp. 182, euro 13)
Ma Irčne Némirovsky era antisemita? Posta in termini cosě netti, la domanda puň apparire brutale, provocatoria, quasi offensiva. Considerando che Irčne, ebrea di Kiev, alto-borghese, approdata in Francia insieme ai familiari nel 1919, in fuga da furori e orrori della Russia bolscevica, viene inghiottita dalle tenebre di Auschwitz nel luglio del 1942. E che la stessa sorte tocca, tre mesi dopo, al marito, Michel Epstein, mentre le figlie, Denise ed Elizabeth, braccate dalla polizia francese e dalla Gestapo, passano da un nascondiglio all’altro, in un crescendo di angosce che, negli archivi della memoria, diventano ferite non rimarginate. Come balza evidente da questi colloqui in cui Denise Epstein evoca i suoi anni di adolescente senza famiglia, ma con una sorellina di sei anni a cui badare, facendo in modo non solo che non soffra, ma anche che non pianga o non parli quando una lacrima o una parola di troppo possono svelare un’identitŕ che deve essere occultata (Sopravvivere e vivere. Conversazioni con Clemente Bouloque, Adelphi, pp. 182, euro 13). Ed č davvero un’impresa ardua per una tredicenne che deve di continuo cacciar dentro la voglia di gridare e tener duro, per sopravvivere, appunto, e poi, chissŕ, per vivere, in un’odissea fatta di treni che varcano la notte (magari c’č da balzar giů prima che entrino nelle stazioni, per evitare i poliziotti e i loro cani), di camuffamenti (come nascondere quei nasi cosě ebraicamente “significativi”?), di disparati ricoveri (convitti di suore, scantinati umidi, sottoscala). E se qualche amico interviene a dare una mano, non pochi sono i legami che si allentano: č difficile essere generosi quando c’č il timore di compromettersi con delle piccole ebree inseguite dagli zelanti gendarmi francesi. Nonna egoista Nessuno vuole grane, a partire dalla nonna materna, che quasi le rinnega (del resto, madre e figlia si detestavano, e Irčne aveva dato un feroce ritratto nel romanzo Jezabel di quella donna che non le aveva mai fatto una carezza e che si era sempre rivelata fatua, egoista e crudele). Senza dimenticare, e Denise non lo dimentica, che quanto a ostilitŕ e diffidenza verso gli ebrei la Francia tra le due guerre non aveva davvero da imparare lezioni da nessuno e che non pochi furono i collaborazionisti, a partire dagli intellettuali (tra i quali, oltre il “nazi” Drieu La Rochelle, il “simpatizzante” Paul Morand, amico di Irčne, e il “mi - litante” Robert Brasillach, che aveva riservato ai suoi romanzi lusinghieri apprezzamenti). Ma torniamo alla domanda iniziale: Irčne era antisemita? Nel suo libro Denise raccoglie ricordi anche teneri: la famiglia prima della tempesta, le vacanze nei Paesi Baschi, lei che guarda mamma mentre scrive, mamma che le racconta una fiaba, papŕ sempre elegante e cosě innamorato della moglie e delle sue bambine. Rievoca tutte le paure e le amarezze che l’hanno segnata per sempre e che si porterŕ dietro e dentro, anche se si č sforzata di elaborare i lutti, si č sposata, ha avuto dei figli, per qualche anno si č impegnata in politica con la sinistra extraparlamentare (ho sbagliato, ma non rinnego: ecco il “senso” della sua esperienza), ha riscoperto le proprie radici ebraiche anche in senso religioso e alla fine, nel 2004, si č decisa a tirar fuori dalla grande valigia che babbo le aveva affidato il manoscritto di Suite française, curandone la pubblicazione. Un successo (premio Renaudot) e di nuovo l’interro - gativo: ma Irčne aveva rinnegato le sue radici ebraiche? Non č forse vero che collaborava a testate antisemite come “Gringoire” e “Candide”? E non aveva forse voluto - insieme a Michel - che Denise ed Elizabeth fossero battezzate, in nome della sua volontŕ di essere pienamente francese, senza “debiti” di sorta nei confronti degli antenati? Campagna offensiva Denise una risposta la dŕ: «Se ripenso al mio stato d’ani - mo nel leggere le riviste antisemite su cui mia madre aveva pubblicato un considerevole numero di testi, capisco meglio gli attacchi seguiti al successo di Suite française. Il tempo mi ha dato il distacco necessario per capire che leggevo David Golder con lo sguardo del dopo Shoah e senza collocarmi nel contesto storico. Quella campagna mi ha addolorata; a volte č stata offensiva, per una figlia riesce difficile rapportarsi alla propria madre se non tiene presente che i suoi romani erano, piů che una manifestazione di antisemitismo, una critica sociale dell’ambiente che aveva conosciuto e odiato». Ed č indubbiamente vero che in romanzi come David Golder, che rivelň lo straordinario talento di Irčne (era il 1929 e lei era una studentessa di ventisei anni) e I cani e i lupi pubblicato nel 1940, il dato sociale ha il suo peso: ci sono, infatti, gli sfruttatori - avidi ebrei ricchi - e gli sfruttati - umili e sottomessi ebrei poveri. Ma Irčne non č di sinistra non č marxista, e il discorso non si rattrappisce negli schemi del conflitto di classe. Irčne č un’ebrea che crede nel «calore del sangue» e che non ha paura di usare - si veda I cani e i lupi - il termine “razza”, diventato impronunciabile dopo l’Olocausto, per raccontare la propria identitŕ, sentimenti e risentimenti compresi. Con la schiettezza di chi illustra un mondo che ha una profonditŕ ancestrale, senza paure e senza censure, e dunque facendo i conti anche con gli stereotipi antisemiti. Č uno scavo continuo, ora complice ora spietato, dentro gli altri e dentro se stessa. Irčne non nasconde, non si nasconde: e proprio questo turba le anime belle del politically correct, disturbate da una scrittura coinvolgente/ sconvolgente. E ignare del fatto che cifra spiccatamente ebraica dell’“antisemi - ta” Irčne - come, che so, di una Simone Weil o di un Isaac Singer o di un Mordechai Richler - č proprio questa attitudine alla critica, all’autocritica, all’irrisione, alla derisione, al paradosso, alla dissacrazione, che si allarga poi a tutta la dimensione umana. Non solo gli ebrei, nei grandi romanzi di Irčne, ma la Francia non sempre dolce. E il Novecento, secolo non “breve”, ma “sterminato”.
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