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La Stampa Rassegna Stampa
06.08.2010 Quando i figli sono un'arma
Uno Stato binazionale significherebbe la cancellazione di Israele. Sergio della Pergola intervistato da Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 06 agosto 2010
Pagina: 13
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Da Gaza alla Cina quando i figli sono armi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/08/2010, a pag. 13, l'intervista di Francesca Paci a Sergio della Pergola dal titolo "  Da Gaza alla Cina quando i figli sono armi".


Sergio della Pergola

Aprire e chiudere il rubinetto delle nascite è un’arma politica potente, ammette Sergio della Pergola, docente di demografia all’università di Gerusalemme, consigliere di diversi governi israeliani e autore del saggio «La forza dei numeri. Il conflitto mediorientale fra demografia e politica». Un tank da sfondamento pericoloso soprattutto quando torna indietro come un boomerang: «Il caso della Cina è da manuale: dopo aver ottenuto il successo economico orientando le famiglie al figlio unico, rischia il collasso della previdenza sociale impreparata all’invecchiamento della popolazione».
Nonostante il lifting «immigrazione» l’Europa incanutisce. E’ un processo irreversibile?
«La rivoluzione della famiglia europea risale agli Anni 70, quando la crisi energetica e la diffusione delle comunicazioni di massa abbatterono la natalità. Ma seppure a volte coincidano, i mutamenti economici sono indipendenti da quelli culturali. La mentalità non oscilla rapida come la Borsa. Senza politiche sociali interventiste tipo quelle scandinave, l’Europa si allontanerà sempre più dal livello 2,1 figli che consente a un popolo di restare stabile, accelerando il processo che in 30 anni le ha fatto perdere 30 generazioni di trentenni».
Il presidente Ahmadinejad ha incoraggiato gli iraniani a figliare per sopravvivere all’occidente. La demografia è l’atomica contemporanea?
«Fare più figli e basta è inutile. L’appello di Ahmadinejad suggerisce piuttosto qualcosa sullo scollamento tra il governo e la società iraniana. A che serve un esercito di bambini se non puoi sfamarlo? Varando la politica del controllo delle nascite, la Cina ha vinto la sfida economica che l’ha resa più competitiva dell’India. Alla lunga però, un giovane che si prenda cura di due anziani è insostenibile: la bilancia deve pendere leggermente dal lato dei figli. Ho l’impressione che Pechino stia allentando i controlli».
Un figlio è poco ma sei, come a Gaza, sono troppi. Dov’è l’equilibrio?
«In primis il benessere economico. Prendiamo la Russia e le ex repubbliche sovietiche, in alcune parti delle quali il livello è ben al di sotto di quell’1,2 figli a famiglia che un tempo costò all’Italia la maglia nera. Nella prima metà del 900 la forza della Russia dipendeva dal numero di abitanti abili a sostenerla. Dagli Anni 50 in poi la povertà non ha più smesso di decimare la popolazione. Continuando a perdere un milione d’abitanti l’anno, la Russia dovrà importare migranti».
Se la demografia è l’ago della geopolitica chi vincerà la guerra dei numeri, i prolifici paesi poveri o il modello turbo-Cina?
«L’uso politico della demografia può essere determinante quando, come in Israele, c’è una forte polarizzazione tra due gruppi, uno dei quali minoranza. I numeri allora, fanno la forza: per questo in Israele sostengo che dividere due Stati sia meglio di averne uno solo. Ma anche in Italia, dove la maggioranza nazionale sia pur anziana è indiscutibile di fronte a una massa d’immigrati disomogenei, si può vivere male. Con un 15% della popolazione non integrato che chiede diritti civili la stabilità è precaria. La guerra dei numeri è insidiosa, senza figli si perde tatticamente ma non è detto che basti riprodursi per vincere».
Un consiglio strategico?
«I paesi poveri devono controllare le nascite per modernizzarsi. Ma quelli ricchi, già modernizzati, devono invertire la marcia e attuare politiche sociali di sopravvivenza: più bambini che nonni, insomma. In Israele le donne ministre, presidi di facoltà, giudici, non hanno rinunciato ai loro tre figli medi. Ci vuole benessere, cultura, ottimismo e un po’ d’incoscienza».

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