Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 04/08/2010, a pag. 10, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Venti di guerra tra Israele e Libano. Scontri a fuoco sul confine: 5 morti ". Da LIBERO, a pag. 18, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " Il piano di Ahmadinejad sta diventando realtà". Dalla STAMPA, a pag. 33, il commento di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Il verde Libano rischia di nuovo di pagare per tutti ", a pag. 2, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Gerusalemme accusa: È stata un’imboscata. C’è la mano iraniana ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Caprara dal titolo " Il generale italiano va al fronte e media " e l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Set di telefonini e spie, le tracce che portano al 'partito di Dio' ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 7, l'articolo di Gianandrea Gaiani dal titolo " La deriva dell'Armée libanese sempre più filo-Hezbollah ".
Sullo stesso argomento invitiamo a leggere la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli pubblicata in altra pagina della rassegna.
Nella foto Nasrallah, capo di Hezbollah
Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Venti di guerra tra Israele e Libano. Scontri a fuoco sul confine: 5 morti "
Fiamma Nirenstein
L’incidente più grave che il confine israelo-libanese abbia conosciuto dalla guerra del 2006, e che ha causato un morto israeliano più un ferito grave e quattro morti libanesi, ha qualcosa di surreale: un attacco a fuoco da parte dell’esercito libanese, non di Hezbollah, di cui è difficile vedere le ragioni se non in una crisi d’odio tipica del conflitto arabo-israeliano, o in un piano molto sofisticato che promette guerra. Le guerre qui nascono fra i cespugli delle montagne e la polvere di strade sterrate con spari e rapimenti inaspettati. Così fu il 12 luglio del 2006 vicino a Zarit; stavolta, e speriamo non sia guerra, a metà della caldissima giornata di ieri l’esercito libanese ha reagito con l’artiglieria alla presenza di una pattuglia israeliana in una delle enclave vicino al kibbutz Misgav haAm, fra la linea blu, il confine stabilito dall’Onu, e la barriera di sicurezza israeliana: nelle enclave Israele ha il permesso di entrare, ma data l’incertezza dell’appartenenza, entrarvi è sempre un rischio, come si è visto in un simile incidente nel 2007. Stavolta si trattava di ripulire da cespugli e alberi per garantire la visibilità, e pare che l’esercito israeliano sia entrato anche con macchine fotografiche molto sgradite ai libanesi.
L’esercito libanese, secondo la versione israeliana ha dunque mitragliato la pattuglia israeliana. Forse è stato allora che i colpi libanesi hanno ucciso il comandante delle riserve israeliano Dov Harari, che pure era completamente in territorio israeliano, e sono stati feriti altri due soldati, di cui uno gravemente. La dinamica non è chiara. Si sa dal portavoce dell’esercito che allora gli israeliani hanno attaccato la postazione dell’esercito libanese che sparava ai suoi, uccidendo tre soldati libanesi e un giornalista che era con loro.
Il Libano sostiene che Israele ha torto perché era entrato nel suo territorio. Sia il Libano che Israele si sono rivolti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per ottenere la condanna; Bashar Assad ha telefonato al presidente libanese Suleiman per dichiarargli di essere al fianco del Libano, una metafora davvero interessante da parte di chi l’ha occupato per trent’anni e oggi tiene un piede oltre la porta tramite Hezbollah; i leader arabi non hanno perduto l’occasione per condannare «l’aggressività di Israele».
L’Unifil, la forza di interposizione istituita dopo la guerra del 2006 dall’Onu, ancora non si pronuncia sulle responsabilità, ma certo avverte, come ultimamente quando è stata assalita dagli amici di Hezbollah in vari villaggi del Sud, la sua intrinseca debolezza dovuta alle regole di ingaggio. Israele sostiene che proprio all’Unifil ha notificato, senza obiezioni, le sue operazioni di sistemazione nell’enclave vicino a Taibe. Il comandante della Forza dell’Onu, Sante Bonfanti, si è fatto un giro d’elicottero per verificare che le cose tornassero tranquille, e dice che adesso sembra tornata la normalità. Ma il Libano in questo momento soffre di una pesante crisi di instabilità, e l’Unifil risulta più disarmata che mai. Tutto può succedere. L’esercito libanese, che dovrebbe essere il garante della calma nella zona sud occupata da Hezbollah con i suoi 50mila missili, conta parecchie divisioni completamente sciite, amiche di Hezbollah: per questo all’esercito non piace sorvegliare il confine per frenare gli uomini di Nasrallah. E oggi Hezbollah, organizzazione sciita legata all’Iran e alla Siria, ha tutto l’interesse a che si crei un poderoso diversivo in Libano, perché il Tribunale internazionale ha annunciato la sua incriminazione per l’assassinio del presidente Rafik Hariri. Il Libano è nella morsa armata di Hezbollah, che ha anche impedito il positivo sviluppo della Rivoluzione dei Cedri seguita all’assassinio di Hariri. Stavolta è rimasto in seconda fila, anche se in serata Nasrallah ha detto: «Al prossimo attacco risponderemo con le armi». Il generale Gadi Eisenkot ha definito l’evento «un agguato pianificato», e il premier Netanyahu ha detto di ritenere il governo libanese responsabile della provocazione. È legittimo chiedersi se lo scontro di ieri sia correlato ai missili sparati nel week-end su Sderot e Ashkelon e a quelli che lunedì hanno colpito Eilat e Aqaba: il terrorismo sunnita e sciita agisce insieme più di quanto non sia mai stato; l’Iran intende tenere Israele occupata mentre procede nel programma nucleare; Hamas vuole impedire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Tutti questi scoppi parlano di parecchie armi e di molta aggressività nell’aria. Non c’è che da sperare che il governo libanese sia forte più di quanto non usi.
www.fiammanirenstein.com
LIBERO - Carlo Panella : " Il piano di Ahmadinejad sta diventando realtà"
Carlo Panella
La successione degli avvenimenti dell’ultima settimana è inequivocabile e getta una luce piùche allarmantesulla aggressione dell’esercito libanese contro militari israeliani lungo la linea Blu che separa i due paesi che ha visto un ufficiale israelianoucciso e un altro gravemente ferito da due cecchini (elemento probante della responsabilità libanese) e due soldati libanesi uccisi dai colpi di mortaio di risposta dell’esercito israeliano. Poche ore prima, lunedì. C’era stato il lancio di razzi sulla cittadina israeliana di Eilat e su quella Giordana di Aqaba (un morto), che hanno segnato l’inizio delle provocazioni tese a creare il casus belli da parte della galassia filo iraniana impiantata in Medio Oriente. Sabato, a Beirut, si è rivelato un completo fallimento “l’in - contro storico” tra il re saudita Abdullah, il dittatore siriano Beshar al Assad e il premier (filosaudita) Saad Hariri, organizzato per evitare che Hezbollah riprenda le ostilità quando, di qui a poco, alcuni suoi dirigenti saranno incriminati dal Tribunale dell’Onu per l’assassinio di Rafik Hariri, padre di Saad. Lungo tutta la settimana precedente, continue erano state le provocazioni dei massimi dirigenti militari e politici iraniani che minacciavano guerra contro l’applicazio - ne delle sanzioni. Un quadro talmente chiaro nel suo precipitare che poche ore prima dello scontro a fuoco di ieri, l’Emiro del Qatar è corso a Beirut e ha dichiarato: «Siamo sull’orlo del baratro». È stato facile profeta. D’altronde, da mesi, anche su questo giornale, anche chi scrive, si preannunciava il formarsi della evidente decisione del regime iraniano di fare “la mossa del cavallo”, di distogliere l’at - tenzione dal proprio programma nucleare ormai galoppante nell’unico modo possibile: appiccando un nuovo focolaio di guerra ai confini di Israele. Irresponsabilmente, il turco Tayyp Erdogan ha favorito questa strategia dando il padrinato ufficiale alla provocatorio tentativo di forzare il blocco di Gaza dei terroristi al timone della Mavi Marmara. Troppo tardi, irresponsabilmente troppo tardi, Barack Obamasi è reso conto di questa volontà di provocare una nuova guerra da parte iraniana e ha cambiato di 180° la strategia Usa verso Israele. Sino a 20 giorni fa le pressioni di Obama erano tutte e solo verso Nethanyhau, all’improvviso, si sono annullate e si sono riversate tutte su Abu Mazen che si è trovato spiazzato. Il leader dell’Anp ha dovuto subire addirittura lavergognadi una sconfessione della Lega Araba, che, incitata da Obama e avendo finalmente chiaro che il vero problema, anche per gli stati arabi veniva e viene - ad horas - da Teheran, gli ha letteralmente ordinato di riprendere quegli immediati incontri diretti di pace con Netanyhau che sino a quel momento tutti (Lega Araba, Obama e Abu Mazen), avevano subordinato a irrealistiche concessioni preventive israeliane. Il copione è lo stesso del 2006, fuoco a tradimento su soldati israeliani su suolo israeliano da parte libanese e da Gaza. Ma questa volta la provocazione è venuta dall’esercito regolare libanese, non ancora da Hezbollah, mentre i soldati israeliani, entro i loro confini, si limitavano a sfrondare alberi che impedivano la visuale delle loro telecamere, in pieno raccordo con la missione Unifil. Missione il cui fallimento è ormai acclarato: non solo non ha favorito il disarmo di Hezbollah - come prevedeva la risoluzione 1701 che l’ha istituita - ma ha “fatto da palo” ad un riarmo abnorme di Hezbollah che oggi dispone di centinaia di micidiali missili puntati su Israele. I tempi delle crisi in Medio Oriente obbediscono a logiche contorte, madopoieri ogni pessimismo è lecito. È quindi indispensabile per quanto riguarda l’Italia, che - in raccordo con gli alleati - si prenda atto del fallimento di Unifil - ormai solo inutile spettatore dell’aggressività libanese - e si riportino in patria i nostri 1900 militari, per evitare che si trovino intrappolati tra il fuoco incrociato.
La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : "Il verde Libano rischia di nuovo di pagare per tutti "
Vittorio Emanuele Parsi
Erano diversi mesi che a Beirut, come in tutta la regione, si rincorrevano le voci di una possibile nuova operazione militare israeliana di vasta portata in Libano. Il rischio che i gravi incidenti di ieri sul confine tra i due Paesi, formalmente in stato di guerra dal 1948, possano dare il via a scontri di portata ben maggiore è purtroppo tutt'altro che inconsistente. E' la prima volta, dalla guerra dell'agosto 2006, che le Forze di Difesa Israeliane (Idf) e l'Armata Libanese (Al) si affrontano con tanta violenza e con conseguenze così drammatiche (cinque morti, tra cui un colonnello israeliano, e un numero imprecisato di feriti). Difficile che la cosa possa finire qui, anche se lo stesso comandante israeliano del settore settentrionale, il maggior generale Gadi Eisenkot, ha tenuto a precisare che spera possa trattarsi di «un caso isolato». È evidentemente anche il nostro auspicio, quello dei Paesi che forniscono un contributo importante alle forze di Unifil (la cui presenza è stata determinante per mantenere la precaria, eppure quasi quadriennale, tregua Hezbollah-Israele), e quello di buona parte della comunità internazionale, con le solite, scontate eccezioni, a iniziare da quella iraniana.
La dinamica dei fatti non è ancora stata chiarita, soprattutto per quel che riguarda il luogo (di qui o di là del confine?) in cui la pattuglia israeliana è stata presa di mira dai militari libanesi e se l'azione israeliana che ha portato alla reazione libanese fosse stata coordinata con Unifil (come sostengono i portavoce dell'Idf) o meno (nella versione dell'Al). «Continua a mancare il passo finale che non spetta ai militari ma ai soggetti protagonisti, che non sembrano nella condizione, perché non vogliono o non possono, di trasformare una tregua in una pace stabilizzata». Il ragionamento del ministro della Difesa La Russa, se portato alle estreme eppure logiche conseguenze, ci ricorda che, se le condizioni politiche non mutano in maniera decisiva, il lavoro di Unifil rischia di essere ogni giorno meno efficace e più pericoloso.
Ora, proprio guardando alle attività «soggetti protagonisti», difficile non constare che questi incidenti si verificano proprio a ridosso degli importanti incontri avvenuti a Beirut nei giorni scorsi tra sauditi e siriani. Ryad e Damasco sono stati per lungo tempo i grandi burattinai della politica libanese: se la Siria ha occupato il Paese dei Cedri per decenni, i Sauditi sono stati «gli inventori» della carriera politica di Rafik Hariri (il padre dell'attuale primo ministro il cui misterioso assassinio fu all'origine della cosiddetta «primavera libanese» e del ritiro siriano nel 2005). Un loro accordo sul futuro del Libano potrebbe mutare in maniera decisiva i fragili equilibri interni del Paese, riducendo il peso politico di Hezbollah. Un'ipotesi, questa, per nulla gradita a Teheran, essendo proprio l'Iran l'attore che ha maggiormente visto incrementare il proprio ruolo in Libano negli ultimi anni. Può quindi darsi che ci sia lo zampino iraniano dietro i fatti di ieri, come potrebbe anche essere verosimile che Israele abbia voluto ricordare a tutti che senza il suo benestare nessun accordo sul Libano può avere chance di concreta realizzazione. Un accordo tra Siria e Arabia Saudita a spese di Teheran forse è fantapolitica. Ma, a guardare le cose da Beirut, potrebbe non essere gradito fino in fondo neppure al governo israeliano, che, dopo aver ottenuto l'appoggio tanto caloroso quanto inatteso di Obama poche settimane fa, appare sempre più orientato a cercare una soluzione globale dei propri problemi di sicurezza, di cui la definitiva sconfitta del regime iraniano sembra un elemento irrinunciabile. Paradossalmente, l'allentamento della pressione iraniana sui confini israeliani (tramite Hezbollah) e l'eventuale crisi dell'alleanza tra Teheran e Damasco potrebbe allontanare la prospettiva di una simile «quadratura del cerchio». La domanda che sono in molti a farsi in queste ore a Beirut, è se, ancora una volta, sarà il «verde Libano» a pagare il prezzo dei giochi di potere altrui. E, senza farsi troppe illusioni, guardano a Washington per cercare la risposta.
Il SOLE 24 ORE - Gianandrea Gaiani : " La deriva dell'Armée libanese sempre più filo-Hezbollah "
Gianandrea Gaiani
Lo scontro tra truppe israeliane e libanesi fa temere un nuovo conflitto lungo la "Blue Line". Gli ultimi mesi hanno visto un progressivo deteriorarsi della situazione, dimostrato anche dagli scontri tra simpatizzanti di Hezbollah e caschi blu dell'Onu all'inizio di luglio, con almeno tre elementi che caratterizzano questa nuova fase militare.
Hezbollah ha completato un massiccio piano di riarmo documentato dalla ricognizione aerea israeliana che continua a spadroneggiare nei cieli libanesi (complice anche l'assenzadi una componente aerea della missione Unifil). Gerusalemme è certa che i miliziani sciiti abbiano ricevuto da Damasco alcuni missili balistici Scud nascosti a nord del fiume Litani, fuori dall'area di competenza dei caschi blu,all'interno della quale sarebbero invece già 40mila i razzi a corto raggio immagazzinati nei depositi sotterranei di Hezbollah. Arsenali spesso nascosti sotto edifici in costruzione la cui ubicazione è ben nota ai caschi blu che però non sono autorizzati a cercare e requisire le armi a meno che, ipotesi improbabile, non vengano invitati a farlo dalle forze libanesi.
Il secondo aspetto che ha subito radicali modifiche riguarda proprio le forze di Beirut schierate nel sud del Libano, circa 10mila militari che non hanno mai brillato per efficienza e determinazione ma che hanno ricevuto in questi ultimi quattro anni il massimo supporto da parte delle forze Onu e della comunità internazionale soprattutto perché riuscissero ad esercitare un reale controllo del territorio restituendo al governo di Beirut la sovranità caduta nelle mani di Hezbollah. Il progressivo avvicinamento tra il governo di Saad Hariri e gli Hezbollah, almeno sulla questione del contrasto a Israele e sul riconoscimento del diritto a possedere armi, ha coinciso con il veloce asservimento delle tre brigate libanesi del sud alla strategia di Hezbollah. I militari libanesi si sono rifiutati di partecipare all'esercitazione congiunta con i caschi blu degenerata nelle intimidazioni scatenate da Hezbollah.Anche l'iniziativa militare assunta ieri dall'Esercito libanese, che ha aperto il fuoco sulle forze israeliane, sembra dimostrare uno spirito combattivo finora inedito contro le meglio armate truppe di Tsahal.
Le nuove tensioni che attraversano il sud del Libano mettono in luce un terzo elemento critico, rappresentato dalla decrescente credibilità dei 12mila caschi blu guidati dal generale spagnolo Alberto Asarta Cuevas, la cui ossatura è rappresentata dai contingenti di Spagna, Francia e Italia, quest'ultimo in calo dai 2.450 militari di gennaio agli attuali 1.900 che entro dicembre scenderanno a 1.780. Negli ambienti internazionali di Beirut non vengono risparmiate critiche a Cuevas per aver dato il via all'esercitazione "Massimo sforzo" naufragata un mese fa tra le sassaiole e i blocchi stradali di Hezbollah. Allo spagnolo viene rimproverata scarsa elasticità e la riduzione del nutrito staff che invece supportava le decisioni del suo predecessore, l'italiano Claudio Graziano.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Set di telefonini e spie, le tracce che portano al 'partito di Dio' "
Guido Olimpio
Due set di cellulari. Il primo composto da 8 telefoni. Il secondo da 20. Sono i «cerchi dell’Inferno». Li hanno definiti così perché nascondono — forse — i segreti di un complotto e potrebbero innescare un nuovo conflitto al confine tra Libano e Israele. Una trama che riporta al 14 febbraio 2005, Giorno di San Valentino e data di una strage: quella costata la vita all’ex premier libanese Rafiq Hariri. Chi ha usato i cellulari potrebbe aver avuto un ruolo nell’attacco. Un agguato sul quale indaga l’Onu e che chiama in causa l’Hezbollah, il movimento sciita libanese appoggiato da Iran e Siria. Il verdetto — contrastato — della commissione d’inchiesta internazionale è atteso per le prossime settimane ma sono bastate le molte indiscrezioni a rendere tesa l’aria di Beirut e dintorni. Perché l’Hezbollah, con l’appoggio dei suoi padrini, non ci sta e minaccia in modo pesante di incendiare la regione. Abituato all’arte dell’intrigo, il movimento sciita manovra per non apparire come il provocatore. E così inscena «manifestazioni di protesta» contro i caschi blu o spinge in avanti quei reparti dell’esercito libanese composti in maggioranza da sciiti. È il caso della Nona Divisione coinvolta negli scontri di queste ore.
A collegare l’Hezbollah al delitto Hariri è stato il minuzioso lavoro svolto da un coraggioso capitano dell’esercito, Wissam Eid. Grazie alla tecnologia fornita da Francia e Stati Uniti, l’ufficiale ha individuato il primo cerchio. A crearlo Abd Al Majid Ghamlush, un operativo dell’Hezbollah responsabile dell’acquisto di 8 cellulari nell’area di Tripoli. Poi le indagini sono arrivate al secondo cerchio, ben più importante perché coordinato da due figure chiave. Hajj Salim, 45 anni, e Badr El Din, entrambi ufficiali del servizio operazioni dell’Hezbollah. In particolare il secondo è un professionista del terrore. Responsabile di attacchi dinamitardi in Kuwait negli anni ’80, è diventato collaboratore e parente di Imad Mughnyeh, la mente delle azioni clandestine del movimento sciita poi ucciso in un attentato a Damasco. Visto il peso e il prestigio delle figure coinvolte, è dura per l’Hezbollah sostenere che si tratta di cani sciolti. Se davvero la commissione Onu dovesse incriminare il movimento libanese sarebbe un colpo severo. E, quindi, è chiaro che il partito guidato dallo scaltro Hassan Nasrallah stia facendo il possibile per uscire dalla trappola.
Ieri sera il segretario del partito ha pronunciato un atteso discorso durante il quale ha addossato la responsabilità dell’attentato Hariri a Israele — «fornirò le prove il 9 agosto» — ed ha minacciato: «La prossima volta reagiremo». Anche se in questa occasione i militanti hanno ricevuto l’ordine di non intervenire. Intanto i collaboratori di Nasrallah si preoccupano di coprire le prove. Così Ghamlush è scomparso da tempo: forse è fuggito all’estero oppure è morto. El Din resta ben protetto. Il capitano Wissam Eid non c’è più. Lo hanno assassinato insieme a 4 collaboratori il 25 gennaio 2008. Per farlo fuori hanno usato lo stesso metodo impiegato con Hariri: un’autobomba. Quindi è iniziata la caccia alle spie, diretta dal servizio operazioni e da un alto ufficiale iraniano distaccato in Libano, Hussein Mahadavi. Con una serie di retate sono stati smascherati 50 informatori al servizio del Mossad. E molti di loro lavoravano nelle compagnie telefoniche. Per l’Hezbollah è la prova delle trame israeliane.
Preparandosi al peggio, i miliziani hanno riorganizzato i nascondigli per i circa 40 mila razzi — compresi i nuovi M600, raggio 250 chilometri — pronti a essere impiegati contro Israele. Rispetto al conflitto del 2006, i punti di lancio sono a nord del Litani e i rifornimenti possono arrivare in modo rapido da un deposito siriano. Gli israeliani, da parte loro, hanno rivisto piani e tattiche.
Quello di ieri sarà stato un «incidente» ma i protagonisti sono consapevoli che le guerre esplodono così.
La STAMPA - Aldo Baquis : " Gerusalemme accusa: È stata un’imboscata. C’è la mano iraniana "
Ahmadinejad
Quelli sono degli irresponsabili! Così si rischia di destabilizzare l’intera ragione!». Ha toni esasperati, il portavoce militare Avi Benayahu, a poche ore dal più grande incidente di frontiera con il Libano dalla guerra del 2006. E questa volta l’indice accusatore è rivolto non agli irruenti sciiti Hezbollah, ma all’esercito nazionale libanese, che nelle intenzioni della comunità internazionale dovrebbe avere un ruolo di stabilizzazione.
«E così è stato effettivamente per quattro anni, fino alla mattinata di oggi - prosegue con foga Benayahu - quando quegli irresponsabili ci hanno attaccato senza alcuna provocazione da parte nostra».
«Siamo caduti in un’imboscata», precisa il comandante della Regione Militare Nord, generale Gadi Eizenkot, che per ore ha partecipato ai combattimenti sviluppatesi in Alta Galilea, a ridosso del kibbutz di Misgav Am. Quando l’incidente si è esteso, fino ad includere l’artiglieria, i carri armati, elicotteri da combattimento, è sopraggiunto sul posto anche il capo di stato maggiore Gabi Ashkenazi.
Secondo Eizenkot, ad innescare l’incidente sono stati i cecchini dell’esercito libanese appostati nelle case del villaggio libanese di Addaysseh che hanno premeditatamente aperto il fuoco contro ufficiali israeliani, uccidendo un colonnello e ferendo in modo grave un capitano.
Nelle vicinanze un’unità militare israeliana era impegnata nel disboscamento di un tratto di confine. «I nostri soldati erano chiaramente nel nostro territorio e l’Unifil era stata informata per tempo delle nostre attività», assicura Benayahu.
Dopo un primo scontro a fuoco l’episodio sembrava concluso quando - secondo Eisenach - militari libanesi hanno sparato a sorpresa razzi Rpg contro un blindato israeliano, la cui reazione è stata immediata.
Israele ha subito avanzato un’energica protesta alle Nazioni Unite e ha richiesto che i responsabili libanesi dell’incidente siano individuati e puniti.
Ma la questione che ieri ancora non trovava risposte in Israele è cosa ci sia dietro l’«imboscata dell’esercito libanese», dove la presenza sciita è sempre più marcata. L’ipotesi, in Israele, è che gli Hezbollah riescano ad influenzare al suo interno alcune unità.
Salta inoltre agli occhi, in Israele, la catena di incidenti di frontiera verificatasi negli ultimi giorni: prima il lancio di razzi da Gaza verso Ashkelon; poi il lancio di altri razzi da Sinai verso le città turistiche di Eilat e Aqaba; e infine l’«incidente libanese».
Benayahu non è sicuro che fra questi episodi ci sia necessariamente un filo diretto. In termini generali rileva che «nella regione l’influenza dell’Iran è sempre più netta: mediante consiglieri, finanziamenti e armi». Si va allora forzatamente verso un periodo di destabilizzazione? «Il nostro interesse è che ciò non avvenga. Ma d’altra parte non abbiamo alcuna intenzione di ingoiare supinamente le provocazioni altrui».
CORRIERE della SERA - Maurizio Caprara : " Il generale italiano va al fronte e media "
ROMA — In quel regno di paradossi che è il Libano, due di sicuro riguardano l’Italia. Gli scontri di ieri, picco di una situazione abitualmente tesa, sono coincisi con l’approvazione definitiva, a Palazzo Madama, del nuovo decreto-legge per il finanziamento delle missioni all’estero che prevede un’ulteriore riduzione dei nostri soldati in questo Paese confinante con la parte più settentrionale di Israele. I militari italiani erano 2.500 nel 2008, oltre duemila nel 2009, sono 1.900 adesso, diminuiranno nei prossimi mesi a 1.780. Il motivo sta nella scelta compiuta dal governo di assottigliare i contingenti in Medio Oriente, in Kosovo e Bosnia per rispondere «sì» alla richiesta americana di aumentare le nostre truppe in Afghanistan, destinate entro dicembre a salire a 3.970, un migliaio in più rispetto all’anno scorso. Il risparmio di uomini in Libano è stato possibile anche perché dal 28 gennaio il nostro Paese non ha più il comando della forza multinazionale Unifil, oggi 11.900 militari provenienti da 32 Paesi. Il secondo paradosso è che, in un giorno contrassegnato dal fuoco, il comando era ritornato italiano. Seppure provvisoriamente.
Il comandante spagnolo Alberto Asarta ieri era all’estero. E’ toccato al suo vice Santi Bonfanti occuparsi degli scontri nella zona di Adaisse per i quali sono morti due militari e un giornalista libanesi e un ufficiale israeliano. Generale di brigata dell’Esercito, 52 anni, Bonfanti nel pomeriggio è salito in elicottero, è andato sul posto e si è dovuto dedicare in sostanza a un lavoro diplomatico: convincere chi guida le forze dei due Stati confinanti a non ricorrere alle armi per regolare i conti aperti con lo scambio di colpi delle ore precedenti. Fino a ieri sera l’operazione è riuscita, e anche questo è un segno degli effetti della presenza di Unifil-2 dopo la guerra tra Israele e Libano del 2006, terminata dallo Stato ebraico quando ebbe la garanzia che la sua frontiera settentrionale non sarebbe rimasta scoperta.
Il tiro incrociato di ieri è avvenuto in una zona di competenz a s pagnola nel l a qual e Unif i l schiera truppe indonesiane. Al di là dell’ufficialità, Israele ne diffida: vengono dal Paese islamico più popolato del mondo e il governo di Gerusalemme teme familiarità con Hezbollah, partito sciita rifornito di missili dall’Iran.
«La nostra presenza non è a tempo indeterminato», diceva ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa, a proposito del Libano, dopo aver ricevuto notizie sulla sparatoria di Adaisse dal comandante del contingente italiano in Unifil, Giuseppenicola Tota, collegato in videoconferenza dalla base di Shama. «Non possiamo essere per sempre prigionieri di una situazione del genere. C’è bisogno che i protagonisti capiscano che devono trovare le condizioni tra di loro per una pace stabile», ha sostenuto il ministro definendo di fatto insufficienti i risultati raggiunti da Israele e Libano sulla via della distensione. «Non c’erano elementi precisi per farci presagire quanto accaduto», ha aggiunto La Russa sullo scambio di colpi.
La sostanza però è che la giornata di ieri segnala la delicatezza della riduzione dei contingenti italiani lontani da Kabul e Herat. «La geografia viene prima della storia. D’accordo nell’aiutare gli Usa in Afghanistan, ma non dobbiamo venir meno all’esigenza di stare in zone più vicine a noi. Già nei Balcani, dove si riducono le forze, la situazione è lontana dall’essere stabilizzata...», osserva Arturo Parisi, Pd, predecessore di La Russa alla Difesa. Già a inizio legislatura settori del centro-destra guardavano al Libano, terra di una missione voluta nel 2006 da Romano Prodi e Massimo D’Alema, come un posto dal quale in prospettiva sganciare l’Italia. Saranno le condizioni sul campo, oltre alle convenienze di politica estera, a dire quanto sarà facile farlo. Oggi, per il governo, il ministro degli Esteri Franco Frattini riferisce alla Camera su uno scontro a fuoco.
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