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Ugo Volli
Cartoline
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Tanti auguri, presidente 02/08/2010

Tanti auguri, presidente


Shimon Peres


Ogni tanto anche il più consumato dei politici, anche il più diplomatico degli statisti, anche il più accorto dei rappresentanti pubblici, non ne può più e dice la verità, nuda e cruda. E' successo l'altro ieri al presidente Peres, che dopo un passato di politico molto controverso e sempre insoddisfatto nelle sue ambizioni, ha trovato da alcuni anni il ruolo di uomo super partes, massimo rappresentante di Israele rispettato da tutti e di riconosciuta ragionevolezza, insomma di ultimo padre della patria. Peres ha accettato di dare un'intervista a Benny Morris, il caposcuola degli storici critici della storia israeliana, il quale però non si è fatto trascinare nella deriva "revisionista" dei Pappe, dei Sand e degli altri postsionisti. E' una bellissima intervista, in cui si trova una grande sintesi storica dei problemi che Israele deve affrontare; certamente meriterebbe di essere tradotta in italiano. La trovate qui: http://www.tabletmag.com/news-and-politics/40409/making-history/.

A un certo punto, però Morris chiede a Peres delle cause della crescente  delegittimazione internazionale di Israele; il presidente si diffonde un po' sull'incomprensione della posizione israeliana da parte di paesi tradizionalmente neutrali come la Svezia e la Svizzera, e poi dice: "il nostro prossimo problema è la Gran Bretagna, dove ci sono milioni di elettori islamici e deputati per cui essi fanno la differenza fra essere o non essere eletti. E l'Inghilterra è sempre stata profondamente filo-araba, non tutta la sua popolazione, naturalmente e anti-israeliana nell'establishment. Si astennero nella risoluzione dell'Onu del '47 sulla divisione [del territorio del mandato, che stabilì lo stato ebraico], anche se loro stessi avevano firmato la dichiarazione Balfour nel '17 [quella che riconosceva la necessità di stabilire "un focolare ebraico" "a Jewish home" in quel territorio], mantennero un embargo contro di noi per tutti gli anni '50, fecero un accordo militare con la Giordania, hanno sempre lavorato contro di noi." La ricostruzione storica prosegue. E quando poi Morris gli chiede quale sia la ragione di questo atteggiamento, se si tratti di antisemitismo Peres risponde: "c'è un detto inglese per cui l'antisemita è uno che odia gli ebrei più del necessario". Insomma, c'è quanto basta per suscitare un bello scandalo internazionale.

Ma vogliamo dire anche noi una piccola verità (ci è meno difficile, perché né io né voi, cari amici, facciamo quel difficilissimo lavoro che è governare Israele nella critica situazione attuale): Peres ha detto proprio il minimo. Per quanto riguarda la storia, si potrebbe indicare tutta la politica dell'Inghilterra durante i trent' anni del suo mandato come un tentativo di tradire il trattato internazionale di San Remo che lo stabiliva esclusivamente nel senso del favorire l'immigrazione ebraica e di stabilire una "Jewish Home". Gli inglesi invece staccarono subito la Transgiordania, cioè il settanta per cento del territorio del mandato, per il loro protetto emiro Abd Allāh, origine della dinastia hashemita che governa ancora quella regione che è già oggi uno stato palestinese (http://www.spectator.co.uk/melaniephillips/6094074/jordan-is-palestine.thtmlOttimo). Nominarono loro al Husseini, il futuro amico di Hitler e già allora fervido antisemita, muftì di Gerusalemme, anche se non era il preferito dai palestinesi, ma solo il più estremista. Limitarono il più possibile l'immigrazione (di qui il caso Exodus, che solo qualche ignorante o malintenzionato ha potuto paragonare alla flottilla). Non repressero quasi i pogrom organizzati dagli arabi, come quelli di Ebron e di Safed. Cercarono di rendere impossibile lo Stato ebraico. Dopo che esso fu stabilito, si fecero diretti promotori dell'alleanza araba che cercò di schiacciare Israele nel '48 e guidarono direttamente la "legione araba", cioè la forza giordana che si macchiò delle peggiori atrocità a Gerusalemme. Tutto questo non tanto per antisemitismo (forse anche, ma non è questo il punto). Per puro e semplice interesse colonialista, per garantirsi il consenso arabo dove contava di più, cioè in Iraq e in Arabia Saudita, dove c'era il petrolio.

Sappiamo tutti com'è andata, l'impero coloniale britannico si è dissolto, sono subentrati gli Stati Uniti e i nazionalismi arabi, ma Israele ha ereditato un'etichetta che non merita affatto, quella di frutto del colonialismo europeo – mentre ne è stato vittima. Oggi la situazione non è affatto diversa. Quel che determina la politica inglese non sono tanto le follie di singoli antisemiti, o romantici ammiratori della rivoluzione araba, come quel giudice che ha giustificato come forma di legittima lotta politica i violenti e costosi vandalismi inflitti da un gruppo di teppisti a un'impresa rea di  collaborare con Israele e che è finito sotto inchiesta (http://www.jpost.com/Israel/Article.aspx?id=182720) o le folkloristiche baronesse e i deputati delle flottiglie, o gli accademici boicottatori (anche se tutti questi episodi contano, naturalmente, stabiliscono un clima). E' la fredda politica economica che ha condotto il premier inglese ad appoggiare Erdogan contro Israele per la questione della flottiglia (http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=182759) e a chiedere il suo ingresso in Europa, in cambio dell'aiuto turco alla British Petrolem, lo stesso che ha indotto il governo Brown precedente (o forse direttamente Tony Blair) a vendere a Gheddafi la libertà di uno stragista contro le concessioni di campi petroliferi nel Golfo della Sirte. Questa volta si tratta invece della partecipazione a un oleodotto: quando Marx parlava dei governi come di comitati d'affari della borghesia, probabilmente non aveva ragione in generale, ma per la Gran Bretagna in cui scriveva probabilmente non sbagliava, allora come oggi.

Insomma Peres ha un sacco di ragioni per parlar male della Gran Bretagna, anche se le polemiche non mancano (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/138880) ed è stato cotretto a una diplomatica smentita (http://www.jpost.com/JewishWorld/JewishNews/Article.aspx?id=183367). Non sarà stato diplomatico questa volta, non avrà avvolto le sue frecciate nell'abbondante vaselina che l'ambasciatore britannico ha usato nel valutare lui i rapporti fra Israele e Gran Bretagna (http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/Article.aspx?id=183074) ma le cose importanti vengono a galla prima o poi, e le cartoline fanno il tifo per lui. A Proposito, Shimon Peres compie proprio oggi 87 anni, essendo nato a Višneva, nell'attuale Bielorussia il 2 agosto del 1923. Tanti auguri, presidente, mazaal tov.

Ugo Volli


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