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Più che un’analisi politica, l’articolo di Andrea Riccardi della Comunità di S.Egidio sul Corriere della Sera di ieri, appare come un pio desiderio ad offuscare la realtà per farla aleggiare in uno stormo di colombe. A supporto delle sue tesi, Riccardi appare ignorare o volutamente omettere gran parte delle realtà e questioni in campo, regalandoci l’immagine di un Libano in convivenza idilliaca, tanto più dichiarandolo “libero”. Il Libano non è libero a giudicare dai siti dell’opposizione libanese per lo più esule. Strano che Riccardi abbia dimenticato, o volutamente ignorato, l’assassinio del leader dell’opposizione falangista Pierre Gemayel, quando questi era ministro. Strano che abbia dimenticato di ricordare che re Abdullah dell’Arabia Saudita si era già recato in visita ufficiale a Beirut nel 2002, come principe della corona reggente, per far conoscere il piano della pace saudita con Israele (noto come Vertice di Beirut 2002) che ricalca in pieno la proposta Barack-Clinton che lo stesso Abdullah già reggente aveva impedito di far firmare ad Arafat nel 2000. Ma le stranezze continuano. Per Riccardi, Assad diventa un leader moderato. Come se non avesse stretto alcuni anni fa un patto d’acciaio con l’Iran e come se non lasciasse passare gli armamenti iraniani agli Hitzballah che sono stati così riforniti di più di 40.000 razzi, molti a lunga gittata, quali gli Scud e i missili M-600. Come fa Riccardi a sostenere che “ora tutto cambia”? Venerdì scorso, in quel di Beirut, si sono incontrati due leader che si sono sempre detestati: uno filoiraniano e uno filoamericano, anche se ambiguo. Uno, Assad, domina ancora il Libano, attraverso gli sciiti di Amal e Hitzballah. L’altro, re Abdullah, è pur sempre uno dei più potenti leader arabi che non si muove per cause minori. Sinceramente, non credo possa interessare a re Abdullah la stabilità del Libano, salvo se relazionata ad un conflitto – sempre più ventilato anche a causa della discesa più a sud di Hitzballah – contro Israele e più generale nell’area. Israele si troverebbe a fronteggiare – come nel 2006 – sia il Libano che la Striscia di Gaza da cui sono ricominciati i lanci di razzi che ora toccano una gittata di 60 km. Riccardi non si riferisce mai ad Israele. Per questo forse non tocca le realtà in campo. Dimentica altresì, il Riccardi, di ricordare che per l’assassinio di Rafik Hariri, l’inviato delle Nazioni Unite volle interrogare il presidente siriano ed altri eminenti ministri siriani ritenuti i mandanti, e ricevette un bel picche correlato da non troppo velate minacce. Così l’inchiesta morì sul nascere. Non sorprenderebbe che l’attentato sia stato messo materialmente in atto da Hitzballah, anche se non sono mai mancati gli agenti siriani nella Bekaa (la valle dell’oppio). Ma a certi arabi, la giustizia che si abbatte su di loro, non piace. Di certo, due assassinii eccellenti quali quello di Hariri e di Gemayel, chiedono ancora vendetta, non avendo avuto giustizia. Se guardiamo all’attuale realtà, con l’Arabia Saudita che ha offerto ad Israele il suo spazio aereo per le esercitazioni dei caccia israeliani, in un eventuale attacco alle centrali nucleari in Iran, e alle minacce di Teheran di far diventare una “torcia” Tel Aviv, diventa più comprensibile l’incontro tra Assad e re Abdullah in territorio neutro. Ad Assad sono state riaperte le porte dall’attuale governo francese che, al tempo della presidenza di Jacques Chirac, è stata lo sponsor di Hariri, svendendogli un’impresa di costruzioni franco-libanese fatta fallire apposta. Con l’attentato che ha ucciso Hariri, Chirac si scagliò contro la Siria e chiuse la sede diplomatica tra Parigi e Damasco. Perciò, pochi dubbi si possono nutrire sul mandante dell'assassinio. Gli Stati Uniti furono ancora più duri, per anni e perché sono numerose le prove dell’attivo sostegno al terrorismo in Iraq da parte della Siria, ma anch’essi hanno riaperto a Damasco per incoraggiare i colloqui di pace in cui la Turchia sembrava dimostrare di essere l’internediaria tra Siria ed Israele. In realtà, sembra che Assad sia riuscito a portare a sé, e all’Iran, il Premier turco. Un motivo in più nel vedere la coerenza di re Abdullah con il suo viaggio a Beirut: un ultimatum alla Siria a rompere la sua alleanza con l’Iran e ad interrompere il suo sostegno al terrorismo. Altresì, un ammonimento trasversale alla Turchia con le sue recenti mosse in questo senso. Danielle Sussmann |
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