Non abbiamo mai capito quali siano le capacità di analisi geopolitiche di Andrea Riccardi, il potente leader della Comunità di Sant'Egidio. Sarà sicuramente per nostra incapacità, ogni volta che lo leggiamo facciamo del nostro meglio per capire quello che scrive, ma alla fine la nostra valutazione è sempre la stessa: e allora ?
Succede anche oggi, 01/08/2010, per il suo articolo pubblicato dal CORRIERE della SERA a pag.36, con il titolo "Siriani e sauditi insieme in Libano. Un messaggio degli arabi a Teheran " e che riprendiamo.
L'unica cosa chiara è l'aver lasciato fuori Israele, e non è detto che Riccardi abbia fatto male. Per il resto è un insieme di sottovalutazioni, dove i fatti vengono stemperati, alleggeriti, della loro reale portata. Ogni aspetto della realtà mediorientale è tutto ed insieme il suo contrario. Il risultato è una omelia più adatta alla papale finestra di Piazza San Pietro che non una pagina di giornale.
Ecco il pezzo:


Andrea Riccardi logo della Comunità di S.Egidio
Il Libano è da sempre fragile tra forti vicini: si regge sull’accordo tra comunità cristiane e musulmane, in un misto di confessionalismo e democrazia. Ha conosciuto una lunga e sanguinosa guerra civile e tanta violenza politica (nel 2005 fu assassinato Rafic Hariri, sunnita, più volte primo ministro, amico dei sauditi e grande ricostruttore del Libano). Tuttavia è un Paese democratico, vivace, libero, dove la miglior stampa del Medio Oriente e un'intraprendente borghesia convivono con i filo - iraniani hezbollah. La forza del Libano è il suo pluralismo. Ma è anche la sua fragilità. La Siria, che non aveva mai accettato fino in fondo l'indipendenza libanese, ha mantenuto una forte presenza militare fino al 2005 per «proteggere» il Paese. L'Iran, tramite gli hezbollah (sciiti), è entrato in un gioco lontano dai suoi confini. Il Libano sembra spesso sull’orlo della fine, ma rivela poi una grande vitalità economica, politica e culturale. Qui si veniva — e si viene — da tutto il Medio Oriente per respirare la libertà in terra araba.
Proprio l'altro ieri, il Libano è stato lo scenario di un gesto rivelatore. Il quadro era solenne e studiato: il re saudita, Abdullah bin Abldel Aziz, e il giovane presidente siriano, Bashar al-Assad, sono scesi insieme dall’aereo reale all’aeroporto di Beirut per una visita congiunta. Una scala mobile rendeva agevole la discesa del vecchio sovrano affiancato dal giovane presidente. La visita è un messaggio a libanesi, arabi e iraniani. I sovrani sauditi non vengono di frequente in Libano. L'ultimo lo visitò nel 1957, in piena guerra fredda, quando Nasser inquietava i moderati, amici dell'Occidente. Oggi tutto è differente. Ma le preoccupazioni sono gravi, tanto da congiungere sauditi e siriani. La Siria, che era in cattivi rapporti con la Turchia e l'Iraq di Saddam, si qualificava come lo storico interlocutore dell'Iran khomeinista e amica degli hezbollah. Ora tutto cambia. Quando Bashar al-Assad ereditò la presidenza da suo padre, si ritrovò in un angolo con amicizie pericolose; oggi sbarca a Beirut come protagonista della grande politica per la stabilità della regione e l'unità araba.
Eppure Siria e Arabia Saudita avevano interessi divergenti in Libano. Il primo ministro Saad Hariri, figlio dell'assassinato Rafic e amico dei sauditi, è stato l'anima del movimento del «14 marzo» ostile a hezbollah e siriani. Tuttavia, qualche tempo fa, ha visitato Damasco, mostrando di unire alla fermezza una grande capacità politica. L'interesse oggi è evitare che il mondo arabo, nelle sue parti più fragili, come il Libano, divenga un campo di battaglia o di infiltrazione iraniana. È già abbastanza l'incognita irachena alle frontiere saudite e siriane. Assad e il re sono stati ricevuti da tre rappresentanti del complicato Libano, il presidente cristiano Suleiman, il primo ministro sunnita Hariri, e il leader del parlamento, lo sciita Berri. Attraverso quest'ultimo il messaggio arriva agli hezbollah, inquieti e minacciosi in questo periodo, perché temono che il Tribunale Speciale libanese (dell'Onu) condanni alcuni loro esponenti per l'assassinio di Rafic Hariri. Il presidente siriano avrebbe fatto sentire il suo peso per calmare gli hezbollah.
Bashar al-Assad ha migliorato i rapporti con il vicino turco, in crisi con Israele. Guarda inquieto l'instabile Iraq, preoccupante per l'ombra iraniana e il terrorismo. Il sovrano saudita è allarmato dall’influenza iraniana che, dall’Iraq, può contagiare alcune regioni sciite del suo Paese, farsi sentire nei Paesi del Golfo e in Libano. Il re, forte del prestigio di custode dei Luoghi Santi e delle risorse petrolifere, conduce un paziente lavoro di ricucitura tra arabi.
Ormai la geopolitica mediorientale si ridisegna lungo la linea di faglia tra sunniti e sciiti. Sono finite le contrapposizioni ereditate dalla guerra fredda tra moderati come i sauditi e filosovietici come i siriani. Il mondo arabo, da sempre diviso, deve ricompattarsi, sfidato dall’Iran. È il messaggio della visita congiunta del re e del presidente. Il Libano, attraente e complicato, è divenuto il palcoscenico da cui lanciare questo messaggio, forse per la sua innata vivacità di vetrina internazionale del mondo arabo o forse — com’è più probabile — perché è una regione a rischio.