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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2010 Mindszenty, prima antisemita e poi anticomunista
Per Romano il secondo tempo assolve il primo

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 luglio 2010
Pagina: 39
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Prediche contro gli ebrei nell'Ungheria del 1920»

I riassunti frettolosi si possono sempre comprendere, ma quelli di Sergio Romano lasciano sempre  la sensazione che l'obiettivo non era tanto la storia da raccontare, quanto una tesi da sostenere. Romano, infatti, voleva assolvere il Cardinal Mindszenty dalla più che meritata accusa di essere stato antisemita, e di che livello !,  per cui alla fine della risposta si erge a giudice della Storia, e assolve l'imputato. Non per non aver commesso il fatto, questo gli era francamente impossibile, ma per l'essersi riscattato 'dopo' con la lotta contro i comunisti. Ma non ci risulta che la seconda cosa cancelli la prima. Per Romano invece sì.
Ecco domanda e risposta sul CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2010, a pag.39:


Il Cardinal Mindszenty

Lei ha scritto che il cardinale ungherese Mindszenty non si chiamava così, bensì Jozsef Pehm ed era un prete di origine tedesca che, ancora giovane, dai pulpiti delle chiese di provincia durante la Quaresima redarguiva aspramente gli ebrei. Può dirmi perché il prelato ha cambiato il cognome?

Giuseppe Casarini
giuseppe.casarini@tin.it

Caro Casarini,

Jozsef Pehm nacque nella famiglia di un magistrato imperiale il 29 marzo 1892 in una cittadina ungherese chiamata Csehimindszent. Il nome adottato nel 1941 è quindi un toponimo, e la scelta fu suggerita esclusivamente dal suo desiderio di «magiarizzarsi». Sono le stesso ragioni che avevano indotto il nonno paterno di François Fejtö, giunto in Ungheria dalla Boemia nel 1849, a cambiare il suo cognome. Si chiamava Fischel e apparteneva a una vecchia schiatta di ebrei centro-europei, germanizzati da qualche secolo, ma amava l’Ungheria e volle dimostrarlo scegliendo per la sua famiglia un nome ungherese.

Ho citato Fejtö perché le mie prime notizie sul nome tedesco del cardinale risalgono alla lettura delle memorie dello studioso franco-ungherese, apparse in Francia presso l’editore Calmann-Lévy nel 1986, e in particolare alle pagine in cui l’autore, nato nel 1909, descrive il tempestoso clima politico dell’Ungheria dopo la sconfitta, fra il 1919 e il 1920. Vi furono in quei mesi due rivoluzioni e una controrivoluzione. La prima fu guidata da un nobile liberale e progressista, il conte Michael Karolyi, che proclamò la repubblica e ne divenne presidente l’11 gennaio 1919. La seconda fu in marzo e tenne il potere sino al luglio. E la controrivoluzione, infine, fu quella dell’ammiraglio Nicolas Horthy (sino al trattato di Trianon l’Ungheria fu una potenza marittima) che poté contare sull’aiuto delle truppe romene per conquistare Budapest, proclamare nuovamente la monarchia e divenirne il reggente. Ogni cambiamento di regime fu segnato da persecuzioni, epurazioni e retate di cittadini «sospetti». Il sacerdote di nome Pehm, ad esempio, era stato arrestato all’epoca della repubblica di Karolyi e tenuto in carcere durante il regime dei Soviet, quando Bela Kun agiva in nome e per conto della Terza Internazionale.

Le prediche «contra judaeos» di Pehm-Mindszenty risalgono probabilmente alla prima fase del regime di Horthy quando era diffusa, non soltanto in Ungheria, la convinzione che il bolscevismo avesse un’anima ebraica e fosse lo strumento di cui gli ebrei intendevano servirsi per la conquista del potere mondiale. Il fatto che il consiglio dei commissari del popolo, all’epoca di Kun, contasse 32 ebrei su 45 membri, era, per molti ungheresi, una prova inconfutabile. Fejtö racconta che ogni predica di Pehm suscitava grida di «morte agli ebrei» e scorribande nel centro commerciale della città dove le forze dell’ordine intervenivano per mandare a casa i facinoros i . Negli anni seguenti Pehm-Mindszenty continuò a essere battagliero, ma contro altri nemici: le «croci frecciate» (il partito nazista ungherese), di cui fu fiero avversario, e i comunisti dopo la Seconda guerra mondiale. Il coraggio di cui dette prova alla fine degli anni Quaranta, quando fu incarcerato, brutalmente interrogato e processato dal regime comunista, riscatta i suoi errori del 1920.

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lettere@corriere.it

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