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Il Foglio Rassegna Stampa
28.07.2010 Tea Party con attacco all'Iran
La posizione dei conservatori americani

Testata: Il Foglio
Data: 28 luglio 2010
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Il Tea Party appoggia un attacco israeliano contro l'Iran»

" Il Tea Party appoggia un attacco israeliano contro l'Iran ", titola IL FOGLIO, oggi, 28/07/2010, a pag.3. Meglio ancora sarebbe se Tea Party sostenesse un attacco congiunto. Ma va già bene così, almeno sottolinea la vicinanza di una componente della politica americana con Israele.

Roma. Occupati a ripetere ad libitum che il potere burocratico di Washington è il male assoluto, i conservatori del Tea Party si erano dimenticati di occuparsi di politica estera, materia che ha cementato le file dei neoconservatori durante la presidenza Bush. La dottrina della destra libertaria non s’accorda naturalmente con visioni geopolitiche e scenari globali, ed è più incline a cibarsi di manifestazioni in maschera contro l’oppressione fiscale, la redistribuzione della ricchezza e l’invasione dello stato nella vita della gente; ma dal 21 luglio – data della fondazione del gruppo Tea Party al Congresso – le cose stanno cambiando molto velocemente. Una delle prime soluzioni proposte in Parlamento dalla corrente guidata da Michele Bachmann – la donna che si è ripromessa di superare a destra Sarah Palin – è lapidaria: fermare l’Iran. Cioè fermare il suo programma nucleare fatto per costruire l’atomica da sventolare in faccia a Israele e imbellettato malamente da legittimo modo per procacciarsi energia elettrica. Fermare il programma nucleare di Teheran è anche lo scopo dei sanzionatori dell’Onu e dei molti avvocati di deterrenza e contenimento, ma il Tea Party suggerisce un altro metodo: usare qualsiasi mezzo, anche gli attacchi militari mirati, per “sostenere il diritto di Israele a difendere la sua sovranità”. La risoluzione approva “l’impiego della forza militare in mancanza di soluzioni pacifiche da applicare in tempi ragionevoli per proteggere lo stato d’Israele da una minaccia prossima e comprovata”. I firmatari della proposta del deputato del Texas Louie Gohmert sono ventuno, meno della metà dei membri del caucus dei conservatori libertari, e le possibilità che sia approvata dal Congresso come atto rilevante sono vicine allo zero. Dire che bombardare i siti nucleari iraniani è cosa buona e giusta è però un gesto politicamente significativo, e in un certo senso è l’atto fondativo di una destra washingtoncentrica in cerca di emancipazione. Sull’aggressività in politica estera i falchi neoconservatori non hanno mai fatto passi indietro: il Foreign Policy Initiative, guidato dall’intellettuale William Kristol, così come l’associazione Keep America Safe di Liz Cheney – figlia dell’ex vicepresidente– continuano a invocare una politica estera aggressiva nei confronti dell’Iran e propongono il regime change come soluzione privilegiata dei conflitti che oppongono dittature e governi illiberali ai bastioni della democrazia americana. Così tutto l’apparato per la costruzione ideologica della destra neocon (think tank, giornali, fondazioni eccetera) non ha abdicato ai dettami sulla spesa del Pentagono: bisogna mantenere alti i livelli di spesa per la Difesa anche in tempo di pace; e anche a costo di aumentare il deficit. La logica dei falchi non può essere estesa meccanicamente all’intero spettro del conservatorismo. I repubblicani “regolari” non hanno una propensione ossessiva per le questioni di politica estera: all’occorrenza sono falchi, ma quando la realtà preme su economia, disastri ambientali, tasse, posti di lavoro, immigrazione e in generale questioni di politica domestica, una forza centripeta li porta ad abbandonare in fretta la visione internazionalista in favore di un realismo day-by-day. Dalla sua alba, il fenomeno del Tea Party ha portato il conflitto fra le visioni della politica estera a un livello ulteriore e per certi versi paradossale: la cifra del movimento è la riduzione del potere del governo centrale, mentre l’esportazione della democrazia e l’espansione dei valori occidentali nel mondo viene in seconda battuta. In più, il Tea Party chiede la riduzione della spesa pubblica. Il budget del Pentagono è preoccupante e sono mesi che il segretario della Difesa, Bob Gates, lotta per convincere il Congresso ad approvare i fondi suppletivi (33 miliardi di dollari) necessari a proseguire lo sforzo bellico in Afghanistan e in Iraq. Allo stesso tempo Gates ha promesso di risparmiare 100 miliardi di dollari eliminando sprechi e tagliando sulla burocrazia della macchina del Pentagono,ma tenere insieme due linee che vanno una verso l’aumento della spesa (in nome di un ideale non negoziabile), l’altra verso i tagli (in nome di un realismo domestico non negoziabile) è impresa complessa. Falchi dentro e fuori Sono 46 in totale i deputati che sostengono la risoluzione del Tea Party sull’Iran. Nella lista manca Ron Paul, deputato del Texas e fonte originaria del movimento contro l’establishment; Paul non è neanche fra i 44 membri della corrente del Tea Party, e nel 2007 ha espresso molti dubbi sull’opportunità di un intervento diretto in Iran. Il tentativo di stabilire una piattaforma conservatrice sulla politica estera rompe la logica binaria generata dal Tea Party e può aprire una nuova fase internazionalista nel Partito repubblicano, la cui visione globale era stata data per sepolta sotto l’ossessione per la politica interna. L’ex candidato alla presidenza Mitt Romney – un papabile per correre ancora nel 2012 – aveva provato ad avvicinare i due mondi con un editoriale sul Washington Post molto critico verso la ratifica del Trattato di non proliferazione con la Russia. Romney parlava di una “svendita” nel confronti del Cremlino e condannava l’Amministrazione Obama per aver accettato un ruolo minoritario nel rapporto con la Russia. Ma l’articolo del senatore mormone era talmente infarcito di imprecisioni fattuali che nessuno lo ha preso davvero sul serio e, anzi, il mensile Foreign Policy ne ha approfittato per scrivere un lungo necrologio della politica estera dei conservatori. Ora a destra avanza un movimento per la ricostruzione di una politica estera aggressiva accanto all’approccio anti establishment. Sarah Palin è l’araldo del progetto di unificazione, e la corrente parlamentare del Tea Party inizia a muoversi per far capire al mondo che si può essere falchi a Washington e a Teheran.

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