Il bilancio della gestione della sicurezza di Dagan è valutato superficialmente nell'articolo (Il Foglio, 24/07/2010). Dagan era stato l'ideatore della intensificazione della attività di commando estero dell'intervento israeliano mirato (modello "only you": sufficienti le informazioni per la esatta individuazione, ordine di esecuzione ad agenti con selezione di target pressochè certa). In questo senso la sua filosofia di intervento aveva sostituito quella del predecessore Halevy, invece sostenitore della crescita qualitativa della tecnologia di acquisizione della informazione rispetto il raffinamento della tecnica di intervento del commando. Il fatto che Dagan si sia dimesso è già un risultato perchè non si tratta di stabilire se sia opportuno colpire "only you" o sovramunirsi di tecnologie dell'informazione, si tratta di stabilire se il Mossad debba propalare previsioni o fatti, in un contesto urbano e nazionale che pullula di spie arabe, perchè Israele pullula di commercianti arabi e non arabi della informazione fra i quali individui come il rabbino Hirsch - e ce ne sono tanti uguali - che proponeva la cessione a titolo gratuito dello stato di Israele agli arabi come adempimento di un obbligo religioso.
Riferendo al parlamento, e quindi al popolo di Israele, che esiste un tempo tecnico ulteriore rispetto alla attualità iraniana della atomica, Dagan ha commesso un errore (rivelazione e propalazione di una aspettativa razionale militare) ed ha determinato un falso ottimismo nell'Occidente: l'ottimismo è falso, cioè irreale, perchè il tempo dilatorio ipotizzato invece non è reale, non esiste, è una previsione da oroscopo non da intelligence militare. Quando Dagan se n'è andato lo stato maggiore dell'Haganah ha tirato un sospiro di sollievo e non tanto perchè con Dagan il Mossad avrebbe continuato a preferire la chirurgia "only you" alla guerra, quanto perchè il conto alla rovescia è tornato ad essere un onere di Amadhinejad non del parlamento e dello Stato Maggiore d'Israele.
Il tempo di attesa non c'è più: non c'è mai stato e, con gli arabi, non ci sarà mai perchè mezzo miliardo degli abitanti di quel mondo non accetterà mai l'idea di Israele. Mai. Nessun autentico esperto di intelligence esclude con certezza che un attacco con piccolo ordigno atomico "sporco" possa essere esperito da agenti integralisti nel giro di 48 ore: possono esserci tempi dilatori per l'ora Zero della bomba atomica caricata su un aereo pronto a decollare verso Tel Aviv o Roma o Londra, ma i tempi dell'approvvigionamento "in bag" sono già attuali e la fonte ne sono gli arsenali sovietici e pakistani e forse anche coreani. Il deterrente è la risposta atomica israeliana, non il tempo virtuale di Dagan o il ritardo nel programma atomico.
L'articolo si pone quindi il dilemma se il successore di Dagan debba essere uno come Halevy (only technology) o come Dagan (only you with commando). In realtà, scindere i due aspetti della politica di Israele contro la minaccia atomica araba è impossibile nel senso che la leadership destinata a decidere l'azione o l'attesa deve avere entrambe le caratteristiche, non può preferire lo scienziato al soldato, deve compendiare le due condizioni in una sintesi che si chiama soldato intelligente, non loquace, non religioso, non ortodosso: intelligente. Cioè realista, perchè l'intelligenza nient'altro è che realismo senza illusioni; una direzione attuale, quindi, sufficientemente esperta da poter disporre oggi di un elemento che fino a questo momento è stato carente e cioè fattori di squilibrio interni al nemico, addestrati per sabotare o comunicarne a distanza le condizioni di attuazione, tali da rendere utile e certo l'intervento militare di azzeramento del rischio.
La teoria dell'agente involontario è di attuazione complessa ma deve essere considerata: per "agente involontario" si intende l'azione di un soggetto operante nello stato nemico in condizioni tali da provocare danneggiamenti utili al ritardo o all'azzeramento della funzione interessata: una delle applicazioni più sofisticate è stato il condizionamento ideologico, cioè la persuasione a collaborare ottenuta con tecniche di formazione a distanza o di brain set interpersonale generalmente religioso o etico. Nei prossimi dodici mesi il mondo dovrà scegliere se accettare l'atomica iraniana o impedirne la costruzione; uno dei modi di impedirlo è sabotarne la procedura di attuazione del programma. Sabotare il programma significa riprogrammare la mente dei soggetti addetti al progetto sul presupposto proprio della I.A. forte e che cioè la mente è un modulo esattamente programmabile come un computer.
La programmazione negativa è un learning molto complesso, ma è stata decisiva in molte vicende insurrezionali o rivoluzionarie: il comizio finale di Ceausescu del 23 dicembre 1989 era stato preceduto da un alacre lavoro di almeno ventotto mesi di agenti interni e mitteleuropei su basi ideologiche e di learning tecnico, nel senso che la rivolta partì di Timisoara perchè il distretto petrolifero era saturo di agenti esteri, di affaristi mitteleuropei serbi e sloveni e di candidati interni alla nuova leadership. La scarsa importanza dei rivoltosi data all'esercito e riservata invece alla Securitate dipese dal fatto che la milizia personale del dittatore vantava privilegi di casta che ne rendevano più improbabile la persuasione. La fronda e l'opposizione interna al regime degli Ayatollah sono estesi e multiformi, ma il fronte arabo internazionale che ne possa esaltare l'influenza e l'azione è ancora limitato perchè una politica aperta di sostegno ad Israele nella comunità araba è tabù; nondimeno i governi moderati arabi consapevoli che l'atomica iraniana minaccia prima ancora i loro confini di quelli israeliani sono vari.
In questo ambito va ridefinita la strategia di intelligence: un lavoro di persuasione aperta o occulta su soggetti decisivi nella economia di completamento del programma atomico da parte di agenti occidentali o israeliani è oggi improbabile perchè è già impossibile la libera circolazione in quello stato di osservatori occidentali. Libero invece è il contatto fra arabi anche di diversa nazionalità e capillare è la rete informativa televisiva del mondo arabo, un mezzo di rilevante importanza persuasiva e di condizionamento. Lo slogan dei secoli precedenti era che il fucile lo avevano tutti, però la guerra la vinceva non chi aveva il fucile, ma l'informazione sull'obiettivo da colpire. Lo slogan attuale si è evoluto: l'interesse a fermare un programma atomico non è solo di chi ne è il destinatario, ma anche di chi questo programma non lo possiede, perchè non averlo e subirlo è quasi una equazione.
Non si tratta tanto di individuare gli ingegneri che lavorano al progetto, quanto di persuadere i loro correligionari o compatrioti o soci di cordata a convincerli a collaborare per evitare la fine, perchè la risposta atomica israeliana sarebbe inevitabile e sarebbe la fine. L'obiettivo, quindi, non è eliminare l'ingegnere del progetto, quanto di individuare l'arabo che lo convinca a sabotare o a collaborare altrimenti. Questa figura araba esiste ed in varie occasioni ha offerto la propria collaborazione.
La concessione recente dello spazio aereo arabo ad Israele dimostra che questa figura non è una chimera e che è anche avvicinabile: è memore della salvezza americana nel Kuwait, è memore della politica militare invasiva di Saddam, è consapevole del disastro finanziario che la politica degli Ayatollah fa incombere sui loro profitti. Ed è soprattutto memore che le fonti di informazioni utili alla distruzione di Al Quaeda sono state tutte arabe e a pagamento. Due elementi da non trascurare per studiare la tecnica di implosione (e non di esplosione) del loro programma di morte.