Sul CORRIERE della SERA di oggi, 26/07/2010, a pag. 13, con il titolo " Sylvia e l'amore fatale che incastrò Eichmann ", Davide Frattini ricostruisce un aspetto poco noto della cattura di Eichmann.
GERUSALEMME — L’Olocausto ha fatto fuggire tutt’e due in Argentina. La vittima e il carnefice, vicini di casa a Buenos Aires, quartiere di Olivos. Lothar Hermann arriva nel 1938, scampato alla Kristallnacht e a sei mesi nell’orrore di Dachau. Adolf Eichmann, documenti falsi forniti dalla Croce Rossa dopo la testimonianza di un padre francescano, nasconde in Sudamerica il passato nazista. La nuova uniforme è quella di impiegato della Mercedes Benz, il nuovo nome Ricardo Klement.
Il processo Adolf Eichmann durante il celebre processo a Gerusalemme
Il docu-drama La fine di Eichmann, trasmesso ieri sera dalla televisione tedesca Ard, ha scelto di mettere in scena gli ultimi anni del gerarca, tra i pianificatori della Soluzione finale e l’organizzatore dei trasporti, l’uomo che ha fatto salire sui vagoni merci milioni di ebrei. Basato sulle ricerche di Bettina Stangneth, racconta la storia — già nota, è stata ricostruita anche in Hunting Eichmann di Neal Bascomb— di come le vite di Adolf e Lothar si siano incrociate due volte, nei lager e in un sobborgo di Buenos Aires.
Avvocato di origine ebraica, Lothar è cieco. Sa ascoltare e ascolta ancora più attento, quando la figlia Sylvia gli racconta di un ragazzo che ha incontrato, se n’è innamorata. Si chiama Klaus, si fa chiamare Nicholas o Nick. Ha vent’anni, quattro più di lei, ed è figlio di un militare tedesco, così racconta, non lo nasconde, anche se dovrebbe, come dovrebbe usare sempre il cognome Klement. Invece proclama quello vero, esalta l’ideologia del Terzo Reich, si rammarica «per il mancato genocidio», svela di aver vissuto con la famiglia a Praga. Sylvia vorrebbe rompere, il padre le chiede di continuare a frequentare il giovane per cercare di scoprire il segreto di quegli immigrati tedeschi.
Un articolo sui criminali nazisti in fuga e un incontro faccia a faccia fanno capire a Lothar di aver trovato la preda. Una sera, Sylvia va a cercare Klaus, la porta viene aperta dal padre, la ragazza è sicura di riconoscerlo. Hermann scrive a Fritz Bauer, procuratore generale dell’Assia, ebreo, e gli racconta la scoperta. Il magistrato non si fida delle autorità tedesche, non crede alle promesse di portare in carcere i comandanti nazisti. Contatta i funzionari israeliani impegnati nella trattativa con la Germania sui risarcimenti e incontra un agente del Mossad a Francoforte, è il novembre del 1957. Nella ricostruzione di Bascomb e in quella pubblicata di recente dal quotidiano Haaretz, un operativo viene inviato tre mesi dopo a Buenos Aires per verificare le informazioni. Emanuel Talmor controlla il 4261 di via Chacabuco e riporta in patria scetticismo: un nazista del rango di Eichmann — sostiene — non può vivere in una casa tanto trascurata.
Il Mossad vorrebbe chiudere il caso e Bauer decide di andare a Gerusalemme, porta con sé il materiale che ha raccolto, adesso ha anche un’altra fonte, un ex ufficiale delle SS. Alla fine è David Ben-Gurion, primo ministro e padre fondatore dello Stato ebraico, a ordinare ai servizi segreti di continuare nell’operazione.
In questi mesi, gli Eichmann-Klement si sono trasferiti. Il primo obiettivo è scovare il nuovo indirizzo a Buenos Aires. Il quartiere dove hanno traslocato, San Fernando, è ancora più modesto, non è allacciato alla rete elettrica. Viene organizzata una squadra di sette persone, studiano i ritmi da impiegato di Eichmann, i suoi movimenti da pendolare sull’autobus 203. Appostamento dopo appostamento, lo catturano la sera dell’11 maggio 1960. Sono passati quattro anni da quando Sylvia ha conosciuto Klaus.
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