L’allevatore di Colombe Mario Goloboff
Traduzione di Elisabetta Noè
Giuntina Euro 14
Due uomini sorbiscono il mate sul marciapiede, «qualcuno domanda se il tempo cambierà… l’altro pensa che la prossima estate non sarà uno scherzo… il mate passa di mano in mano». L’attacco è lento, un poco indolente come la vita ad Algarrobos, borgo pampeano che fa da sfondo al labirinto di emozioni del ragazzo. E non è che la bevanda sia elemento di poco conto, perché nel condividerla gli uomini si ristorano alla «tacita solidarietà che fluttua nell’aria».
L’allevatore di colombe di Mario Goloboff, scritto in spagnolo nel 1984 e poi tradotto in francese e in inglese, giunge solo ora all’italiano, ma si può dire che questo indugio gli si addica e anzi giovi alla decantazione di una prosa divenuta con gli anni ancor più remota e lucente. Nato in una famiglia ebraica originaria dell’Europa orientale, Goloboff è scrittore per sottrazione. La sua prosa non è quella del Sudamerica degli eccessi barocchi, ma affiora piuttosto da un colloqui intimo in apparenza dimesso. Il giovane protagonista, che riempie fogli e fogli di scrittura, ci accoglie nel suo mondo quasi per caso, e se c’è artificio letterario è tanto ben congegnato da far sembrare il racconto una rêverie privata, che non s’aspetta lettori. Alla fine di un violento temporale estivo, accanto al secchio del pozzo rovesciato dal maltempo, «una piccola sagoma bianca si muove timidamente. “Una colomba” – mormora lo zio a voce molto bassa per non spaventarla». È stata la tempesta a sospingerla verso il giovane protagonista o il caso, oppure la necessità interiore di trovare un approdo nel fluttuare della coscienza? Da questo momento in poi, si stabilisce una sorta di continuità metaforica tra il tiepido smarrimento della colomba e l’educazione sentimentale del ragazzo. Adesso il problema fondamentale è darle un nome : «Guarda di scegliere bene, ché in una parola brillano molte luci». Nell’ avvertimento dello zio risuona un antico insegnamento mistico, secondo cui il fuoco divino è come energia luminosa che emana dalla lingua. E, per questa colomba, il nome dalla luce mite è “Clara”. Il ragazzo la spia, l’accudisce, la cerca e la prende in mano, le costruisce una gabbia, la sogna di notte. Un giorno però il male incomprensibile si fa avanti…
Il nome Goloboff viene dal russo “golub”, che significa colomba, proprio come in ebraico Giona. Se è possibile raccontare un’autobiografia per allusioni, la storia del ragazzo di Algarrobos è una prova ben riuscita di narrativa per battito d’ali.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore