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Il Foglio Rassegna Stampa
22.07.2010 Iran: continuano programma nucleare e persecuzioni dei cristiani
Diritti umani inesistenti. Le sanzioni serviranno a qualcosa? Commenti di Giulio Meotti, redazione del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 22 luglio 2010
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti - La redazione del Foglio
Titolo: «Cristiani mandati a morte in Iran, la lunga ondata di persecuzioni - Gli iraniani la pensano in cinque modi diversi sulle sanzioni»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 22/07/2010, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Cristiani mandati a morte in Iran, la lunga ondata di persecuzioni", a pag. 3, l'articolo dal titolo " Gli iraniani la pensano in cinque modi diversi sulle sanzioni".
Ecco i due articoli:

Giulio Meotti : " Cristiani mandati a morte in Iran, la lunga ondata di persecuzioni"


Giulio Meotti

Roma. La condizione dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana peggiora ogni giorno. L’organizzazione non profit americana Open Doors ha stilato una World Watch List con i cinquanta paesi più feroci: trentacinque sono islamici. Il secondo paese classificato come più pericoloso per i cristiani è l’Iran. Se in Pakistan i cristiani sono uccisi fuori dalle aule di tribunale, a Teheran la loro brutale persecuzione è spesso legale. Durante lo scorso anno sono stati arrestati un centinaio di cristiani. Non accadeva però dalla metà degli anni Novanta che un pastore cristiano venisse condannato a morte da magistrati iraniani. E’ successo a Youcef Nadarkhani, che da ottobre era detenuto in carcere assieme alla moglie con l’accusa di “proselitismo”. Oggi, le stime più ottimistiche danno un totale di centomila cristiani in Iran, di cui ottantamila armeni, ottomila assiro-caldei cattolici e altrettanti ortodossi, cinquemila protestanti, duemila cattolici latini e cinquecento armeno-cattolici. Due armeni e assiri su tre hanno già preso la via dell’esilio. Il caso di Nadarkhani è il più grave dal 1994, quando a essere ucciso fu il pastore Haik Mehr Hovsepian, iraniano di origine armena, responsabile del gruppo evangelico “Assemblee di Dio”. Erano anni in cui tanti furono i convertiti uccisi. Come Hossein Soodman, impiccato nel 1990; Mehdi Dibaj, trovato morto nel 1994, e Mohammad Bagheri Yousefi, impiccato a un albero nel 1996. Nadarkhani è un famoso leader delle “chiese domestiche”, la rete clandestina di comunità cristiane che più si ribellano al controllo del regime. I più a rischio sono gli iraniani protestanti, in gran parte discendenti di musulmani convertiti al cristianesimo durante l’occupazione britannica della Persia. La loro celebre “Società di studi biblici” ha dovuto chiudere i battenti nel 1990 e numerosi pastori iraniani sono stati arrestati e condannati a morte per attività legate al proselitismo. In Iran il proselitismo è punito spesso con la morte, e anche la conversione a una fede diversa dall’islam comporta la pena capitale. Una nuova legge contro l’apostasia attende l’approvazione del Parlamento. E allora centinaia di migliaia di persone saranno in pericolo. La comunità cristiana in Iran è stata già colpita duramente nel recente processo a Maryam e Marzieh, le due sorelle iraniane accusate di attività antigovernative, propagazione della fede cristiana e apostasia. “Dovete rinunciare alla vostra fede sia verbalmente sia con una dichiarazione scritta”, ha proclamato la pubblica accusa nella Corte rivoluzionaria di Teheran. “Non rinnegheremo la nostra fede”, hanno risposto le donne. Osservatori di vicende iraniane parlano della “fase più oscurantista dei rapporti fra il cristianesimo e la Rivoluzione islamica”, da quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini impose la chiusura delle scuole cattoliche e concesse a tutti i sacerdoti un mese di tempo per lasciare il paese. Oggi come allora, molte chiese oggi sono state chiuse, decine di giovani iraniani, in gran parte islamici convertiti, sono stati imprigionati, così come molti pastori sono finiti sotto stretta sorveglianza. La pubblicazione di testi cristiani è quasi sempre rigettata dalle autorità iraniane. Un altro pastore protestante imprigionato con l’accusa di voler “convertire i musulmani” è Wilson Issavi, della chiesa evangelica di Isfahan, una comunità che è in Iran da mezzo secolo, affiliata alle Assemblee di Dio, e diffusa fra le persone di etnia assira. Le autorità hanno detto alla moglie che il pastore potrebbe subire la pena capitale per le sue azioni. Come ha raccontato il grande scrittore Freidoune Sahebjam, il più noto esponente delle minoranze in Iran ad aver subito la peggior tortura è stato nel 1982 l’ex governatore della banca dell’Iran, Rahmat Daneshvar, adepto della comunità sincretistica baha’i, perseguitata assieme ai cristiani. Sulla schiena di Daneshvar il giudice fece iscrivere con lame di rasoio: “Nemico dell’islam”. Poi spezzò le lame in acqua calda e costrinse Daneshvar, che rifiutava l’abiura, a inghiottirle. Infine, due rivoltellate alle ginocchia. L’ex governatore aveva subito anche la tortura del gas, a piccole dosi e in una cella segreta. Un suo compagno di cella, un ebreo, ne morì.

" Gli iraniani la pensano in cinque modi diversi sulle sanzioni "

Roma. Ogni nuova tornata di sanzioni contro l’Iran viene accompagnata in occidente da una scrollata di spalle: tanto non servono. Invece, stando alle stime degli iraniani stessi, l’embargo colpisce duramente. Secondo la Camera di commercio di Teheran, le nuove sanzioni dell’Onu possono ridurre la crescita del pil dell’1,8 per cento. Considerato che il tasso di crescita era già stimato a non più del 3 per cento, l’effetto potrebbe essere pesantissimo. Il ministero del Lavoro parla di tremila posti di lavoro bruciati ogni giorno. E secondo uno studio riservato commissionato dal ministero del Commercio, nei prossimi tre anni le sanzioni potrebbero colpire più di 40 mila aziende. L’embargo potrebbe essere fatale per un’industria che dipende da componenti importate – sull’orlo dell’inserimento nella lista di materiali proibiti perché a rischio di utilizzo bellico – e per un bilancio che dipende dalle esportazioni di un settore petrolifero in disperato bisogno di investimenti e tecnologie. Ma il regime degli ayatollah pare procedere imperterrito verso questa prospettiva disastrosa. Secondo Amir Taheri, il giornalista e commentatore iraniano che è stato tra i consulenti della Casa Bianca di Bush, non è vero che a Teheran non sia in corso un dibattito, per quanto sotterraneo. In un articolo su Asharq al Awsat, testata araba con base a Londra, Taheri ha diviso l’opinione pubblica e il mondo politico iraniano in cinque scuole di pensiero. La prima, ovviamente, ha come esponente principale Mahmoud Ahmadinejad e, più che temere le sanzioni, le provoca. Già durante la sua campagna del 2005 il presidente aveva predicato la teoria dello “khod-kafai”, ispirata al concetto dell’“autosufficienza” nordcoreana. L’embargo spinge gli iraniani a sviluppare soluzioni autonome evitando di contaminarsi con costumi “infedeli”. Anche perché quasi tutte le altre nazioni sono comunque ostili a Teheran e non avendoci a che fare non si può che guadagnare. La seconda scuola di pensiero, secondo Taheri, sono i minimizzatori, che ammettono il problema delle sanzioni, ma lo considerano irrilevante, un po’ perché si trova sempre il modo di aggirarle grazie a qualche governo amico, un po’ perché il meccanismo dell’embargo è inefficiente. Il caposcuola di questa corrente, il ministro degli Esteri Mottaki – che tende a sminuire la portata delle sanzioni, essendo il responsabile della fallita controffensiva diplomatica – sostiene che il 70 per cento dei divieti imposti dall’Onu dal novembre 2006 non siano mai stati applicati. Nell’establishment iraniano però si trovano anche i sostenitori della terza corrente, che per bocca del negoziatore nucleare Ali Akbar Salehi ammette che le sanzioni colpiranno efficacemente il programma atomico. Un danno che però, sostengono i propagandisti della quarta corrente viene compensato dai guadagni dei pasdaran. L’embargo, dicono con cinismo, è una miniera d’oro per la rete delle Guardie rivoluzionarie, che possono così sguazzare in traffici sommersi, importazioni illecite e società prestanome tra Turchia, Iraq, Pakistan e Dubai. Una sorta di mercato nero delle sanzioni, denunciato tra gli altri dall’ayatollah Meahdi Karrubi. Infine, c’è chi vota contro le sanzioni abbassando le serrande, come hanno fatto di recente i mercanti del bazaar di Teheran, cuore del commercio iraniano e roccaforte del regime di Khomeini. Ufficialmente, la protesta – durata ben cinque giorni – era diretta contro l’intenzione del governo di alzare l’Iva del 70 per cento. Ma i bazaari non hanno nascosto di essere preoccupati dalle nuove sanzioni, che rischiano di portarli sull’orlo del fallimento. E così il regime si trova sfidato anche da quelli che per decenni sono stati i suoi fedelissimi.

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