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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.07.2010 La battaglia legale degli ebrei francesi per riavere i loro cognomi originali
Cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 luglio 2010
Pagina: 17
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «La sfida degli ebrei francesi: Ridateci i nostri cognomi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/07/2010, a pag. 17, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " La sfida degli ebrei francesi: Ridateci i nostri cognomi ".

PARIGI— «Il cognome è la bussola della vita. Orienta, spiega da dove vieni: raccontando le tue radici ti dà una direzione» dice Jeremie Fazel, uno tra la trentina di ebrei francesi che ha chiesto allo Stato di poter tornare «al nome di famiglia originario». Il suo è quello dei nonni, Fajnzylber, immigrati a Parigi dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale. Sopravvissuti alla furia nazista, erano transitati per Unione Sovietica, Italia e Israele prima di approdare in Francia nel 1951. Un’era che oggi appare lontanissima, quando i profughi dell’Olocausto lasciavano impauriti le rovine dei loro villaggi.

Nel 1946 non era raro che gli scampati ai campi di sterminio nell’Europa dell’Est tornando a casa incontrassero ostilità, antisemitismo e pogrom. Il trauma era troppo forte. Dunque scappavano, emigravano verso occidente. Italia e soprattutto Francia erano le prime fermate. E proprio sotto l’urgenza di superare il trauma, oltre che influenzata dallo spirito rinnovato dell’uniformità dei cittadini nello Stato laico, l’amministrazione francese consigliò ai nuovi arrivati di lasciare per sempre il mondo allora in decadenza degli antichi accenti yiddish e invece «francesizzare» i loro nomi. Oltretutto, dei ben 76.000 ebrei deportati nei campi di sterminio dal suolo francese (molti dei quali arrivati in Francia soltanto poco prima) solo 2.500 erano sopravvissuti. Il desiderio fu quello di nascondere le differenze, omogeneizzare, evitare a tutti i costi il ripetersi delle condizioni che avevano portato alle leggi razziali e in ultimo alle camere a gas.

I Rozenkopf diventarono Rosent, Frankestein si trasformò in Franier, Wolkowicz in Volcot, Rubenstein in Raimbaud, Sztejnsznajder in Stenay. Un fenomeno simile, anche se per motivi diversi, stava accadendo in Israele: sin dai primi del Novecento il movimento sionista spingeva a «ebraicizzare» tutto quello che sapeva di yiddish diasporico. Un po’ come nell’Italia preunitaria, e anche dopo la fase risorgimentale, quando molte grandi famiglie ebraiche immigrate nei secoli scelsero di amalgamare i loro cognomi alla società circostante adottando quello della località di residenza. Ma oggi le urgenze e le priorità della Francia nel secondo dopoguerra sono radicalmente cambiate. E i figli degli immigrati chiedono di tornare alle loro radici. Nathalie Felzenszwalbe, giovane avvocatessa parigina la cui famiglia ovviamente è restata fedele alle antiche origini polacche, è segretaria de «La Force du Nom» (La Forza del Nome), l’organizzazione che raccoglie una trentina di aderenti tra la comunità ebraica. Pochi, se si pensa che la comunità costituisce per importanza numerica (circa 600.000 persone) il terzo polo ebraico nel mondo, superata solo da Stati Uniti e Israele. Ma loro sostengono di essere in crescita e soprattutto di avere ispirato movimenti simili tra i figli degli immigrati dal Nord-Africa e dal mondo arabo. Eppure il movimento deve superare ostacoli giuridici non indifferenti. Il Codice Civile francese, così come modellato sui principi ispiratori della Rivoluzione del 1789, non frena, ma anzi incoraggia il cambio di nomi che «suonano stranieri», però si oppone decisamente alla riconversione a quelli originari. Una clausola aggiunta dopo l’ultima guerra specifica che i cognomi francesi sono «immutabili». La battaglia diventa dunque più che legale, va a toccare i principi primi delle regole dello Stato.

Ne parla con foga Céline Masson, braccio destro della Felzenszwalbe nel cercare di coinvolgere anche i sefarditi (legati alla tradizione sud-europea e orientale), che in realtà costituiscono la maggioranza della comunità ebraica in Francia. «Io sono nata Masson, ma i miei antenati in Tunisia si chiamavano Hassan. Quando ci penso, il mio nome acquisito non ha alcun significato. Quello originario è invece carico di una storia antichissima, molto più ricca e profonda di quella seguita alla nostra emigrazione in Europa negli anni Sessanta. Non vedo perché debba essere privata delle mie radici». Jérémie Fazel ribadisce di essere ben contento e fiero della sua cittadinanza francese. Ai suoi occhi il ritorno al vecchio cognome polacco non è in alcun modo un atto ribellione nei confronti dello Stato centrale. Semplicemente: «Ogni uomo sente l'urgenza di sapere da dove viene». E chiede ironico: «Come mai oggigiorno non possiamo avere un nome che suona straniero, quando il nostro presidente si chiama Sarkozy?».

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