Egregio Direttore, l'articolo pubblicato a firma di Enrico Arosio sul nuovo museo di Gerusalemme si chiude con un capoverso che le riporto qui di seguito:
Faticoso costruire a Gerusalemme? La tensione è alta. Il processo di pace irrigiditosi dopo le ennesime provocazioni dei coloni, le gaffes di Netanyahu con Obama, l'odioso agguato delle truppe israeliane al convoglio umanitario in acque internazionali, le minacce di Hamas e dell'Iran. Davanti a un "quarrelsome world", come direbbe Salman Rushdie, Carpenter fa il muro di gomma. Manca poco all'inaugurazione, e sono temi scivolosi: "L'Israel Museum", scandisce, "ha mantenuto il suo ideale delle origini, come luogo del dialogo, e io ne ho tenuto conto. Le collezioni vanno bel oltre la componente ebraica, con ricche presenze islamiche e cristiane. Si è allargata la base secolare, basti pensare all'arte moderna e contemporanea. Su Israele colgo, come tutti, l'alternare di ottimismo e pessimismo. Posso dire che hanno chiamato un architetto americano, libero, neutrale. E non mi hanno mai rivolto richieste di tipo ideologico". Architettura, scuola di diplomazia.
Sarebbe fin troppo facile polemizzare con Arosio che parla di gaffes (quali? Non le specifica affatto, e questo troppo facile metodo è davvero scorretto) del tutto inesistenti, o che parla di odioso agguato al convoglio umanitario che, come si è appreso negli ultimi giorni, sulla nave oggetto degli scontri non trasportava alcun aiuto umanitario. Ma se le scrivo, Direttore, è per attirare la sua attenzione sulle ultime parole di Arosio: "Architettura, scuola di diplomazia." Con queste parole, dettate dal sentimento anti-israeliano del giornalista che non ha alcuna conoscenza di fatti specifici da illustrare al suo lettore, l'Espresso offende non solo lo stato di diritto israeliano (riconosciuto dal mondo intero ma evidentemente non dalla sua testata), ma anche l'architetto, che in tal modo si cerca di sbugiardare. Che cosa ne pensa lei di un simile collaboratore? Saluti