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Il Foglio Rassegna Stampa
20.07.2010 Netanyahu e Lieberman a un passo dalla rottura dopo settimane di disaccordi politici
la crisi è a tutto campo, ma nasce dalle divisioni in politica estera. Commento del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 20 luglio 2010
Pagina: 1
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Perché a Gerusalemme Netanyahu flirta con il ribaltone di governo»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/07/2010, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo "Perché a Gerusalemme Netanyahu flirta con il ribaltone di governo".


Bibi Netanyahu, Avigdor Lieberman

Gerusalemme. I governi di coalizione israeliani non brillano mai per stabilità, ma questa volta la spaccatura interna sembra davvero meno sanabile del solito per il primo ministro Benjamin Netanyahu. Il premier e il suo principale alleato politico, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, sono a un passo dalla rottura dopo settimane di disaccordi politici. La crisi con Lieberman, uomo forte della destra nazionalista a capo del partito Yisrael Beiteinu (Israele è casa nostra), è a tutto campo, ma nasce in realtà dalle divisioni in politica estera, vero banco di prova di tutti i governi di Gerusalemme. Le ostilità si sono aperte quando “Bibi” ha appreso dai giornali che il suo ministro degli Esteri aveva promosso, senza consultarlo, l’ambasciatore in Colombia al delicato posto di capo della missione presso le Nazioni Unite. I ministri di Yisrael Beiteinu hanno poi votato contro la finanziaria approvata dal governo venerdì, lamentando tagli eccessivi ai loro dicasteri, e il budget è passato soltanto grazie ai voti degli altri partner della coalizione. Il moldavo naturalizzato Lieberman, che molti in patria e all’estero considerano un estremista, ha poi guastato l’incontro di domenica tra Netanyahu e il presidente egiziano Hosni Mubarak. Sapendo di fare cosa sgradita al Cairo, ha annunciato alla vigilia del vertice un suo piano per un “secondo ritiro” da Gaza, che prevede di troncare ogni rapporto con la Striscia governata da Hamas, lasciando a una missione europea il controllo delle frontiere e di eventuali imbarcazioni in arrivo. In molte cancellerie, e soprattutto in Egitto, non vedono di buon occhio una mossa del genere, perché oltre a evitare a Israele altri imbarazzi per l’embargo, potrebbe diventare il preludio a una nuova operazione militare israeliana qualora Gaza, una volta divenuta completamente autonoma, continuasse a fare da piattaforma di lancio per i missili di Hamas. Ma l’idea di Lieberman si scontra anche con la politica di Netanyahu nei confronti dei palestinesi, incentrata ora sui gesti distensivi. Ieri, l’esercito ha annunciato l’intenzione di permettere l’ingresso agli israeliani nelle aree della Cisgiordania controllate dall’Autorità nazionale palestinese per stimolarne l’economia e il turismo. Nel frattempo, il premier israeliano ha risposto alle iniziative del ministro degli Esteri colpendolo nei suoi interessi elettorali, silurando il provvedimento, sponsorizzato da Lieberman, che avrebbe dato piena autorità al rabbinato ortodosso israeliano sulle questioni legate alla conversione al giudaismo. La proposta di legge aveva aperto una crisi con le comunità ebraiche della diaspora, soprattutto con le denominazioni più progressiste come i “reform” e i “conservative”, secondo cui non spetta a nessuno, e men che meno ai rigidi ortodossi, avere un monopolio sulle conversioni. Il “no” di Netanyahu ha salvato le relazioni con le influenti comunità d’oltreoceano, ma ha messo nei guai Lieberman, che aveva promesso ai suoi elettori una riforma in questo senso. Prima di incontrarsi ieri sera con Netanyahu per cercare di risolvere le differenze, Lieberman ha detto che, pur non volendo dimettersi, sulla finanziaria e sulla legge della conversione non intende arrendersi. Alcuni analisti leggono nella crisi una mossa di Netanyahu per liberarsi dello scomodo Lieberman e creare una coalizione più moderata assieme al partito centrista Kadima di Tzipi Livni. Ad alimentare la prospettiva è stato anche l’incontro avvenuto domenica tra Livni e il ministro della Difesa, il leader laburista Ehud Barak, per “discutere della situazione politica”. Il quotidiano di sinistra Haaretz ha suggerito a Netanyahu di usare la crisi per espellere Yisrael Beiteinu dalla coalizione e portarsi sulle posizioni di Kadima a favore della soluzione dei due stati per il conflitto tra israeliani e palestinesi. Altri commentatori però ritengono improbabile un ribaltone politico immediato. “Netanyahu non vuole un divorzio adesso”, dice Hanan Crystal, esperto di politica per la radio israeliana. “Lieberman vuole solo fare la voce grossa, creare una crisi, per poi mostrarsi conciliante e fare la figura del grande leader”. La vera resa dei conti potrebbe arrivare in autunno. Se Netanyahu decidesse di rinnovare il blocco degli insediamenti e fare altri passi necessari per la ripresa del processo di pace, la relazione con Lieberman sarebbe definitivamente compromessa, afferma Crystal. “Se Netanyahu dovesse andare verso Obama e Abu Mazen, è chiaro che in casa gli servirebbe un nuovo partner”.

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