Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/07/2010, a pag. 13, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La beffa dell’attentatore 'in fin di vita' ", a pag 12, l'articolo dal titolo " Marea nera e Lockerbie. Doppio fronte negli Usa per l’inglese Cameron ".
Il terrorista autore della strage di Lockerbie è potuto uscire dal carcere scozzese nel quale si trovava per finire i suoi giorni in Libia. Questo permesso gli era stato accordato in quanto 'malato terminale' di cancro. E' passato quasi un anno dalla sua scarcerazione, eppure è ancora in vita.
Il commento di IC sulle implicazioni della Bp nelle trattative per scarcerare Megrahi, sul ruolo della Libia e di Gheddafi è espresso in un commento di Bernard-Henri Lévy pubblicato quasi un anno fa sul CORRIERE della SERA.
Per leggerlo, cliccare sul link sottostante:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=30986
Ora la situazione sembra ancora più paradossale dal momento che Megrahi è ancora in vita. Non era, perciò, un malato terminale.
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna.
Ecco i due articoli del Corriere della Sera :
Guido Olimpio : " La beffa dell’attentatore 'in fin di vita' "

Al Megrahi
WASHINGTON— Nell’intrigo di Lockerbie non c’è nulla di chiaro. Per la strage nei cieli di Scozia è stata condannata la Libia ma non tutti sono certi del suo completo coinvolgimento. Così come della responsabilità dello 007 Abdelbaset Al Megrahi. E lui stesso, il condannato, è una figura ambigua. Un’ombra sfuggente e controversa.
Il 28 luglio di un anno fa, quando era ancora in un carcere scozzese a scontare l’ergastolo, i medici predicono per Al Megrahi una rapida morte. Il cancro – certifica il professor Karol Sikiora – lo avrebbe ucciso nel giro di «tre mesi». Una prognosi contestata da altri luminari della medicina. Ma la compassione di facciata e gli interessi petroliferi neppure troppo mascherati valgono più delle resistenze: il libico può lasciare la prigione.
Il 20 agosto gli scozzesi rimandando lo 007 in Libia per quello che doveva essere l’ultimo viaggio. Un rientro trionfale per un uomo che ha organizzato un complotto costato 270 vite innocenti. Al suo fianco, sulla scaletta del jet che lo ha riportato in patria, c’è il figlio di Gheddafi, Saif Al Islam, protagonista delle trattative che hanno portato alla liberazione.
Le scene di giubilo a Tripoli sono un pugno allo stomaco per chi ha perso un marito, un figlio, una moglie sul 747 della Pan Am. Chi guarda in modo più distaccato allo show pensa che Al Megrahi sarà presto dimenticato, sepolto sotto mezzo metro di terra nel cimitero di Tripoli. In fondo gli restano ancora un paio di mesi. E i libici, seguendo il copione, mandano avanti alla perfezione il teatrino. In settembre la tv nazionale mostra Al Megrahi su un lettino d’ospedale con la maschera ad ossigeno sul volto. Immagini seguite dall’annuncio di un aggravamento delle condizioni e dal trasferimento in un centro specializzato. Ecco, ci siamo. La sua fine è forse questione di ore. Invece non è così.
Lo 007 «in agonia» supera la scadenza del 28 ottobre, poi quella del 28 novembre, poi ancora quella del 28 dicembre. Mentre a Lockerbie aspettano da un giorno all’altro l’annuncio: se ne è andato per sempre. E all’inferno, si augurano in tanti. Ma Al Megrahi non muore. Sembra più forte di Terminator. Il libico ha beffato tutti. Compreso il male incurabile che avrebbe dovuto ucciderlo in tre mesi. A Londra come a New York ci si chiede come sia stato possibile «il miracolo di Tripoli». Chi conosce la verità fa finta di nulla, chi non la conosce si lancia in speculazioni.
Il fratello di Al Megrahi sostiene che è merito della cura al quale è stato sottoposto. Imass media inglesi, invece, cercano altre spiegazioni e riesaminano il certificato rilasciato dal professor Sikiora. Messo alle strette, il dottore si difende dando molte versioni. In marzo, sposta il calendario della morte per Al Megrahi: spirerà «entro poche settimane». Poi, un'altra correzione: «C’era il 50 per cento delle possibilità che morisse entro tre mesi e un altro 50 che potesse vivere più a lungo». Infine, qualche giorno fa, ammette che potrebbe campare altri «dieci anni». Sikiora, ora che il libico è intoccabile e protetto dal regime, riconosce che Tripoli, quando lo ha «ingaggiato» per un consulto, avevano sperato — e incoraggiato — la previsione dei tre mesi. E il dottore, con l’avallo di altri due colleghi, ha confezionato il referto medico che ha poi portato al rilascio.
La confessione, unita alle rivelazioni che chiamano in causa la BP, provocano rabbia negli Stati Uniti. Una pattuglia di congressisti, raccogliendo lo sdegno dei familiari delle vittime, ha inviato una lettera alle autorità chiedendo l’apertura di un’inchiesta sulla dinamica del rilascio.
Ma non c’è solo da far chiarezza su Al Megrahi, che vivrebbe in una villa messagli a disposizione dal colonnello Gheddafi. Il vero interrogativo riguarda la matrice del massacro. Con due teorie: la prima che esclude totalmente la responsabilità libica e accusa l’asse Iran-Siria-fazione palestinese di Jibril; la seconda che considera un coinvolgimento parziale di Tripoli. In questa storia non è solo il certificato medico di Al Megrahi ad essere stato «aggiustato» in nome della ragion di Stato. Alcuni testimoni, dopo la sentenza, hanno ammesso di aver raccontato verità parziali e ricostruzioni inattendibili (o comprate). Esattamente come il referto che ha trasformato Al Megrahi in un morto che cammina.
" Marea nera e Lockerbie. Doppio fronte negli Usa per l’inglese Cameron "

British Petroleum
LONDRA — Non sarà un incontro facile. Il premier britannico David Cameron martedì prossimo sarà a Washington per la sua prima visita alla Casa Bianca. E sul colloquio con il presidente Obama pesa come un macigno l’affaire Bp. Non più soltanto il disastro ambientale causato dalla piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico che, proprio l’altro giorno, ha smesso di riversare petrolio in mare. A complicare le cose sono arrivate le rivelazioni sul rilascio di Abdelbaset Al Megrahi, il terrorista libico condannato in Scozia per la strage di Lockerbie e liberato lo scorso agosto perché malato di cancro terminale (ma è ancora vivo). La Bp ha ammesso di aver fatto pressioni sul governo britannico e su quello scozzese per accelerare il trasferimento del criminale in Libia alla fine del 2007. «Avevamo paura — ha spiegato la compagnia petrolifera in un comunicato— che ci potesse essere un impatto negativo sugli interessi commerciali britannici inclusa la ratifica da parte del governo libico dell’accordo firmato con la Bp».
Una dichiarazione che ha indignato l’America, che nella strage di Lockerbie ha pagato il prezzo più alto in termini di vittime. L’altro giorno un gruppo di senatori democratici Usa ha chiesto di visionare la lettera indirizzata dalla Bp all’allora ministro della Giustizia Jack Straw insieme ai tabulati delle due telefonate intercorse con il politico. «Vogliamo capire se la giustizia ha dovuto cedere il passo a un contratto petrolifero», hanno dichiarato i parlamentari. Il governo Cameron è corso immediatamente ai ripari. L’ambasciatore britannico negli Usa, Nigel Sheinwald, ha definito senza mezzi termini «uno sbaglio» il rilascio di Megrahi. E il ministro degli Esteri William Hague ha assicurato personalmente a Hillary Clinton «una collaborazione costruttiva» per definire eventuali responsabilità della Bp.
Ma la verità è che Cameron, nelle tre ore di colloquio con Obama, dovrà tentare in tutti i modi di difendere la compagnia petrolifera per amore dell’economia britannica e di tutti quei pensionati che contano sui dividendi delle azioni. La paura è che la compagnia sia indebolita al punto da essere comprata dalla Exxon-Mobil, il gigante americano del petrolio. Il presidente della Bp, Carl-Henric Svanberg lo ha spiegato personalmente al primo ministro invitandolo a calmare le acque. Un compito difficile. Quasi impossibile dopo che ieri il Daily
Mail ha rivelato che lo scorso 10 giugno Tony Blair è volato in Libia e ha incontrato nella massima segretezza Gheddafi dal quale sarebbe stato accolto come un fratello. L’ex premier aveva appena smentito di essere «in alcun modo» il consigliere del dittatore ma, secondo quanto scrive il quotidiano, l’inviato speciale per il Medio Oriente avrebbe dato al leader libico «consigli preziosi» sulle opportunità di investimento tra i due Paesi. Il che getta una luce sinistra sulla liberazione di Megrahi perché Blair era primo ministro nel 2007 quando fu firmato l’accordo da 900 milioni di dollari tra la Bp e la Libia.
Se il gioco si fa duro blandire l’interlocutore può essere una buona mossa. Deve averlo pensato anche Cameron quando ha dichiarato, sfidando le ire del suo partito, che, nella relazione speciale con gli Usa, «la Gran Bretagna è il partner inferiore». Una concessione che sicuramente avrà fatto piacere a Obama, che non ha Londra nel cuore come ce l’aveva il presidente Bush.
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