A Michele Giorgio non piace la barriera di protezione perchè complica la vita dei palestinesi Ma mai che specifichi ai lettori perchè è stato necessario erigerla
Testata: Il Manifesto Data: 18 luglio 2010 Pagina: 9 Autore: Michele Giorgio Titolo: «A Walajeh il muro s’è preso tutto»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 18/07/2010, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " A Walajeh il muro s’è preso tutto".
Niente di diverso dal solito Michele Giorgio: una litania infinita sulle sofferenze della popolazione palestinese in Cisgiordania, oppressa dalla barriera di protezione, dalla povertà, dall'economia in difficoltà...la colpa, comunque è sempre di Israele. Indubbiamente la barriera di protezione rende difficili gli spostamenti e comporta disagi, ma Giorgio non specifica mai il perchè della sua esistenza. La barriera è stata eretta per proteggere la popolazione israeliana dagli attacchi terroristici suicidi palestinesi. Da quando c'è, gli attentati sono diminuiti del 99,9%. I morti israeliani non destano la compassione di Michele Giorgio? Ecco l'articolo:
Michele Giorgio
Lemappe del ministero della difesa parlano chiaro. I duemila abitanti di Walajeh, a sudovest di Gerusalemme, si ritroveranno chiusi in una «prigione» fatta di recinzioni e cemento armato. In questa zona ad alta concentrazione di colonie ebraiche (120 in tutta la Cisgiordania gli insediamenti costruiti in violazione del diritto internazionale) Israele ha cominciato a costruire un nuovo tratto del «muro di separazione ». Quando sarà completato, questo villaggio che pure damesi resiste pacificamente a bulldozer, polizia ed esercito non avrà scampo. «Ci aiutano decine di stranieri e pacifisti israeliani, facciamo il possibile, ma difendere la nostra terra diventa ogni giorno più difficile» spiega Musa Abdel Sheikh, il volto bruciato dal sole. I progetti israeliani Abdel Sheikh non li ha mai visti sulle mappe,ma come tutti gli abitanti di al Walajeh li verifica direttamente sul terreno, lungo le linee tracciate dalle ruspe che spianano campi e abbattono alberi. «Ci stanno togliendo tutto, coltivazioni, frutteti, acqua. A me il mese scorso hanno abbattuto 50 alberi. Resistiamoma i nostri giovani non avranno niente per costruirsi un futuro nella nostra terra e forse andranno via» spiega il contadino che ha partecipato a molte delle proteste settimanali che hanno fatto di Walajeh un nuovo Bilin, il villaggio ad ovest di Ramallah divenuto il simbolo della lotta contro il muro. In questi giorni sei anni fa i palestinesi festeggiavano il parere della Corte internazionale di giustizia dell’Aja che decretò l’illegalità della barriera (costruita a partire dal 2002). La speranza suscitata da quel giudizio fu immensa. Se Israele vuole garantire la sua sicurezza, avevano precisato i giudici dell’Aja, lo faccia all’interno del suo territorio, non in quello palestinese occupato durante la Guerra dei sei giorni del 1967. Nel mesi e negli anni successivi quelle pronunciamento, basato sul diritto dei popoli, non trovò però alcuno sbocco concreto. Israele fece valere il peso della sua alleanza con gli Stati Uniti e della compiacenza che l’Europa mostra verso le sue politiche, legali o illegali che siano. Il muro non solo non è stato abbattuto come chiedevano i palestinesi ma per 2/3 è già stato completato e tra qualche anno verrà ultimato, annettendo di fatto a Israele più del 9% della Cisgiordania (senza contare tutta l’area della cosiddetta «Grande Gerusalemme»). Decine di migliaia di palestinesi si ritroveranno schiacciati e prigionieri all’interno di una fascia di territorio tra la barriera e la Linea Verde (la linea d’armistizio tra Israele e Cisgiordania tracciata nel 1949). Tra loro almeno 20.000, secondo voci circolate in passato, saranno costretti a trasferirsi a est del muro e dovranno lasciare i loro possedimenti agricoli, perdendo non solo il loro sostentamentoma anche il diritto all’ereditarietà. In totale la costruzione del muro ha interessato sino ad oggi 200.000 persone, in particolare nei distretti di Jenin, Tulkarem e Qalqiliya (città completamente circondata dalla barriera). La maggior parte della terra fertile di 51 villaggi sarà separata e isolata. Un caso particolare è quello di Jayous, con un popolazione di circa 3.000 persone, che ha subito la perdita del 72% del proprio terreno agricolo e sette pozzi d’acqua. Nel 2006, quando Israele accettò di non spaccare in due il villaggio, la gente di Walajeh credette di aver vinto una battaglia decisiva. «Sbagliammoad illuderci – dice con una smorfia Adel Atrash, del consiglio del villaggio (la struttura amministrativa per i comuni con meno di cinquemila abitanti) –, l’esercito rivide il percorso delmuro e decise di circondarci completamente». Se Israele porterà a termine il suo progetto, gli abitanti di Walajeh potranno uscire dal loro villaggio solo attraverso un cancello e percorrendo un tunnel o una strada controllata da un posto di blocco, una sorte che subiranno altri nove villaggi palestinesi di quella fascia di territorio – nella quale verranno sviluppati gli insediamenti colonici tra Har Gilo e Gush Etzion - che hanno presentato ricorso in Israele per cercare di fermare un progetto che rischia di ingabbiarli per sempre. «Ma a subire il destino peggiore saremo noi di Walajeh, perché ilmuro non ci farà neppure respirare, tanto lo avremo addosso alle nostre case e alle poche terre che riusciremo a strappare ai bulldozer» aggiunge Atrash.Un dramma politico ed umano per un villaggio che già nel 1948, con la nascita di Israele, perse il 70% delle terre (dati dell’agenzia dell’Onu, Unrwa) e che nel 1967 permetà venne annesso a Gerusalemme (proclamata unilateralmente, anche la zona palestinese, «capitale di Israele ») e che ha subito in questi anni su ordine della municipalità israeliana una cinquantina di demolizioni di case «abusive», registrate però regolarmente presso le locali autorità palestinesi. Al dramma di una intera comunità destinata a diventare prigioniera, si aggiungono le tragedie individuali. Vere e proprie sentenze che gravano sulla testa di uomini, donne e bambini. Spicca il caso della famiglia Hojejnah, alla quale all’inizio del mese solerti funzionati del comune di Gerusalemme, accompagnati da due jeep della Guardia di Frontiera, hanno consegnato il «progetto» che riguarderà la loro abitazione situata a pochi metri dal muro: verrà circondata su tre lati da una alta recinzione elettrificata . Il capofamiglia, Omar, non è in casa ed è la moglie a spiegarci l’angoscia con la quale vivono questa «novità »: «Come faremo a stare in questa prigione, con l’alta tensione a pochi metri di distanza? A queste condizioni sarà difficile resistere a lungo ». L’obiettivo degli israeliani, aggiunge la donna, è quello di costringerli ad abbandonare la casa. La determinazione di al Walajeh però non si affievolisce di fronte alle difficoltà. «Non possiamo far altro che resistere - assicura Musa Aldel Sheikh – stiamo perdendo la libertà e le nostre terre e non possiamo rimanere a guardare. I governi non si interessano di noi e del popolo palestinese, maper fortuna tanti volontari stranieri e gli israeliani che credono nella giustizia stanno dalla nostra parte. Sappiamo di non essere soli».
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