Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 18/07/2010, a pag. 1-11, l'articolo di Moises Naim dal titolo " La bomba di Teheran è contro l'Islam ".
Quando Moises Naim sostiene che il nucleare iraniano sia percepito come una minaccia anche dai Paesi Arabi, ha ragione.
Questo non significa, però, che Israele sia meno a rischio. Lo Stato ebraico è, per l'Iran, il primo degli obiettivi da colpire e questo non può essere dimenticato.
Ecco l'articolo:
Moises Naim
Cominciamo con un semplice test. Prima domanda: qual è il paese del Medio Oriente il cui ambasciatore a Washington ha recentemente dichiarato: «I nostri militari si svegliano, sognano, respirano, mangiano e dormono pensando alla minaccia iraniana. Non esiste altra minaccia convenzionale che meriti la programmazione,l'allenamento e l'armamento dei nostri militari. Non vi sono altri paesi nella regione che rappresentino per noi una minaccia: solo l'Iran. Per questo siamo molto interessati a impedire che l'Iran possa contare sulla tecnologia nucleare».
Risposte: a) Israele, b) Giordania, c) Iraq, d) Emirati Arabi Uniti.
Seconda domanda: qual è il paese d'origine dell'alto funzionario che di recente ha dichiarato: «Un attacco militare contro l'Iran sarebbe un disastro. Tuttavia, un Iran dotato di armi nucleare rappresenterebbe un disastro di ancor maggiore entità. Io sono disposto ad assumere le conseguenze di un attacco militare all'Iran in cambio della sicurezza del mio paese, chi parla di contenere e persuadere Teheran mi preoccupa e innervosisce. Se nessuno è stato in grado di frenare l'Iran e convincerlo a non concedere il proprio supporto a gruppi terroristici come Hamas e Hezbollah, nonostante non possa contare su un arsenale nucleare, perché mai l'Iran dovrebbe essere più cauto una volta ottenutolo? Nulla suggerisce che moderazione e persuasione funzionino con Teheran».
Risposte: a) Israele, b) Egitto, c) Stati Uniti, d) Emirati Arabi Uniti.
La risposta corretta per entrambe le domande è la d). Si tratta delle dichiarazioni di Yousef al-Otaiba, ambasciatore degli Emirati negli Stati Uniti. Al-Otaiba non è un diplomatico qualsiasi. Prima della sua nomina a Washington è stato per sette anni direttore degli Affari internazionali nella corte dell'emiro di Abu Dhabi e principale consigliere del generale Sheikh Mohamed bin Zayed al-Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vicecomandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti. Senza dubbio al-Otaiba esprime più esplicitamente di altri la sua posizione nei confronti dell'Iran, ma la stessa è condivisa da numerose nazioni arabe. Pochi mesi fa un alto funzionario del governo saudita mi ha confermato a Riad che, per il proprio paese, la possibilità di un Iran con bombe atomiche rappresenta una minaccia incombente. E sensazioni simili si colgono facilmente nei circoli governativi di Egitto, Giordania e altri paesi del Medio Oriente.
L'Iran difende le proprie ambizioni nucleari con due argomentazioni. La prima è che gli obiettivi del suo programma sono pacifici e che non vi è da parte sua nessuna intenzione di sviluppare armi atomiche. Il problema è che l'unico che sembra credere a questa posizione è il presidente del Brasile, Luiz Inácio "Lula" da Silva. Non ci credono neppure paesi con un enorme interesse nel mantenere rapporti preferenziali con l'Iran, che hanno infatti deciso di imporre severe sanzioni economiche al fine di indurre il governo ad abbandonare i propri programmi. Secondo Dmitrij Medvedev, il presidente della Russia, «è evidente che l'Iran sia vicino ad ottenere il potenziale per costruire armi nucleari. Teheran non si sta assolutamente comportando nel modo migliore».
La seconda linea di difesa dell'Iran consiste nel denunciare l'ipocrisia di un mondo in cui si concede a Israele, al contrario dei suoi vicini, di disporre di armi atomiche. E ha ragione. Tuttavia, l'ipocrisia e la politica del doppio binario sono comunque preferibili a un mondo in cui tutte le nazioni che lo desiderano possano possedere armi nucleari.
In un mondo ideale nessun paese dovrebbe detenere bombe atomiche; in un mondo reale, staremo tanto meglio quanto minore sarà il numero di paesi a disporne. Inoltre, Israele non ha mai incluso tra i suoi obiettivi strategici quello di eliminare i paesi vicini o di «buttarli a mare», così come molte volte ha dichiarato, riferendosi proprio agli israeliani, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad.
Ma la debolezza più marcata delle argomentazioni di Teheran risiede nel fatto che sarebbero gli altri paesi arabi a non riuscire a tollerare passivamente la presenza di un Iran nucleare. Il paradosso di questa situazione è che, nel corso dei decenni, il mondo arabo sunnita è stato disposto a convivere con Israele nel suo ruolo di potenza nucleare senza per questo essere stimolato a possedere esso stesso la bomba atomica. Diventa piuttosto una minaccia inaccettabile il fatto che siano i correligionari sciiti dell'Iran ad avere armi nucleari.
Il pericolo quindi non consiste solo nel possesso iraniano della bomba atomica, ma nel rischio di innescare una corsa nucleare in una delle regioni politicamente e militarmente più instabili del pianeta.
È importante impedire che l'Iran possieda bombe atomiche ed è altrettanto importante impedirlo senza il bisogno di ricorrere all'uso della forza. Per questo motivo, e per il bene del mondo intero, garantire il successo delle sanzioni economiche al fine di dissuadere il governo dell'Iran a continuare nel cammino suicida da esso intrapreso diventa indispensabile. Queste sanzioni sono imperfette, fastidiose, burocratiche e risulta facile considerarle inutili. Ma il loro fallimento scatenerebbe una tragedia immane.
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