Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 16/07/2010, a pag. 12, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Gheddafi vuol rubare Gaza ad Ahmadinejad. Per soldi".
Saif al Islam Gheddafi
Dopo l’iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il turco Recep Tayyp Erdogan i palestinesi di Gaza possono vantare un terzo padrino eccellente. Lui si chiama Gheddafi e anche se di nome fa soltanto Saif Al Islam la sua volontà non si scosta molto da quella di papà Muhammar. Dietro la tranquilla navigazione del cargo Amalthea - approdato giovedì nel porto egiziano di Al Arish senza neppure sfidare le motovedette israeliane dispiegate davanti a Gaza - si nasconde un gioco assai complesso. Un gioco grazie al quale la Libia punta a trasformarsi nel terzo incomodo della Striscia per contrastare l’influenza dell’Iran e imporsi come nuovo influente interlocutore di Hamas.
Il primo a farlo capire è lo stesso figlio di Gheddafi regalando ad al-Sharq Al Awsat, quotidiano in lingua araba pubblicato a Londra, un’ intervista in cui svela obiettivi e retroscena della missione sponsorizzata dalla sua fondazione. Una missione studiata per trasformare la Libia nel principale sponsor della ricostruzione di Gaza d’intesa con Egitto e Israele. Per capirlo basta far attenzione alla battuta con cui Saif Al Islam Gheddafi ricorda che «per portar via l’uva dalla vigna non serve uccidere il guardiano». Nel caso specifico i palestinesi sono l’uva da conquistare mentre Israele è il guardiano con cui raggiungere un compromesso soddisfacente. Ma Saif Gheddafi non si ferma lì. Nell’intervista ammette l’esistenza di un accordo segreto con Israele e con l’Egitto, negoziato dal ministro della difesa israeliano Ehud Barak e dal capo dei servizi segreti del Cairo Omar Suleiman. Un accordo favorito anche dalla mediazione dello spregiudicato Martin Schlaff, un uomo d’affari austriaco di religione ebraica in ottimi rapporti sia con il leader libico Muhammar Gheddafi sia con il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Liebermann. Grazie a quelle contrattazioni le 2.000 tonnellate di cibo e medicinali trasportate dal cargo Amalthea e scaricate nel porto egiziano di Al Arish arriveranno a Gaza attraverso il valico egiziano di Rafah.
Dietro la teatrale messa in scena dell’Amalthea, studiata per dare l’impressione di una sfida a Israele simile a quella organizzata dalla Turchia a fine maggio, si nasconde, come svela lo stesso Saif Al Islam, un piano molto più ricco finanziariamente e molto più complesso dal punto di vista politico e strategico. «Ben presto invieremo 50 milioni di dollari in coordinamento con le Nazioni Unite per ricostruire Gaza, e trasferire aiuti umanitari senza la minima obiezione del governo israeliano» spiega Saif. La disponibilità israeliana è stata ottenuta dal generale Omar Suleiman, l’onnipotente capo dei servizi egiziani protagonista - mentre l’Amalthea concludeva la sua rotta - dell’ennesima trattativa segreta con Israele. «Il ministro della difesa Ehud Barak - racconta Saif Gheddafi - ha telefonato al generale Suleiman e subito dopo noi abbiamo ricevuto una lettera con cui loro (gli israeliani) si dichiaravano pronti ad acconsentire al primo stanziamento di 50 milioni di dollari per Gaza».
L’Iran, grande finanziatore di Hamas e dei palestinesi di Gaza, rischia di trovare pane per i propri denti. Anche perché i petroldollari di un «colonnello» sgravato da sanzioni e controlli internazionali appaiono molto più sicuri di quelli di un Iran impegnato in uno sforzo colossale per imporsi come potenza egemone e al tempo stesso a garantire i fabbisogni di 70 milioni di cittadini sempre più scontenti.
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