Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/07/2010, a pag. 15, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Omar, la sua casa e gli ulivi: prigionieri della 'barriera'".


Unrwa barriera di sicurezza
Un articolo che descrive la vita dei palestinesi in Cisgiordania. Viviana Mazza descrive dettagliatamente i disagi arrecati dalla barriera di sicurezza alla popolazione locale. Mazza mette sempre tra virgolette il termine barriera di sicurezza, lasciando intendere il vero scopo della barriera non sia sia difendere la popolazione israeliana, ma inglobare territori palestinesi : "Scruta dalla porta gli operai israeliani che armeggiano con sacchi di dinamite da usare per spianare il terreno ed erigere la «barriera di sicurezza». ".
Mazza continua : "Lo Stato ebraico, accusato dai palestinesi di costruire unilateralmente un confine che ingloba le colonie, replica che si tratta di una misura temporanea di difesa contro i miliziani palestinesi che negli anni hanno ucciso centinaia di israeliani.". I terroristi suicidi palestinesi della seconda intifada sarebbero 'miliziani' ? L'unico motivo per cui gli attentati terroristici sono diminuiti del 99,9% è la barriera di sicurezza con i check point. La barriera verrà smantellata quando la minaccia terroristica non ci sarà più.
"Walaja è un villaggio di rifugiati. «E’ una comunità che nel 1948 è dovuta fuggire dal villaggio originario, che si trova sulla collina opposta” (oggi Gerusalemme ovest), dice Matteo Benatti dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi. «Hanno trovato rifugio in questa zona dove prima avevano i campi. Quello che temiamo è che ora le persone non abbiano più accesso ai loro campi». ". Da quando in qua l'UNRWA sarebbe una fonte affidabile di informazioni? Le dichiarazioni di Matteo Benatti riportate da Viviana Mazza sono incomplete. Quando Israele fu fondato, i Paesi arabi limitrofi non lo accettarono e, prima di attacare, terrorizzarono la popolazione araba locale invitandola a scappare per evitare una morte certa per mano degli ebrei, cosa che non sarebbe successa, come dimostrato dalla minoranza araba che ancora vive in Israele e che gode di tutti i diritti degli altri cittadini.
I Paesi arabi persero la guerra, ma si guardarono bene dal concedere ai loro fratelli palestinesi la cittadinanza. Meglio tenerli nei campi profughi ai confini con Israele, esasperando il loro odio per Israele. Matteo Benatti e Viviana Mazza non forniscono queste informazioni al lettore, chissà perchè.
Per avere informazioni più dettagliate sull'UNRWA e sui suoi reali intenti, cliccare sul link http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=100&id=33081 .
Per quanto riguarda lo Stato palestinese, facciamo notare che potrebbe esserci da oltre sessant'anni. Se non esiste la responsabilità è degli arabi, non di Israele.
Ecco l'articolo:
DAL NOSTRO INVIATO WALAJA (Betlemme)— La casa azzurra e beige di Omar Hajajne sorge su una collina in Cisgiordania. Fa parte del piccolo villaggio palestinese di Walaja, a sudovest di Gerusalemme e a 4 chilometri da Betlemme, dove cresce un ulivo millenario, forse il più vecchio del mondo. Omar, 44 anni, padre di tre figli, sta seduto dentro casa. Magro, fuma nervosamente una sigaretta. «Tutto il villaggio è come una gabbia, e specialmente la mia casa», dice. Scruta dalla porta gli operai israeliani che armeggiano con sacchi di dinamite da usare per spianare il terreno ed erigere la «barriera di sicurezza».
Walaja sta diventando un simbolo della «barriera» che Israele sta costruendo in Cisgiordania e delle sue conseguenze per la vita dei palestinesi. L’intero villaggio ne sarà circondato, con una sola via d’uscita attraverso un tunnel o una strada, controllata da un check point. Quanto alla casa di Omar, che si trova leggermente al di fuori del percorso, verrà circondata da un recinto e collegata alla barriera attraverso un cancello, unica via d’uscita dalla sua gabbia.
Da lassù si domina il paesaggio. Nella valle, a meno di un chilometro, passa la ferrovia che collega Gerusalemme a Tel Aviv: coincide con la Linea Verde, tracciata nel 1949 dopo l’armistizio tra Israele e i Paesi arabi. Ma le colonie israeliane sono più vicine. Ad est c’è Gilo, a sud Har Gilo lambisce il villaggio. «Lunedì i funzionari israeliani del ministero dell’Interno e della Difesa mi hanno mostrato la mappa», dice Omar. Il recinto circonderà su tre lati la casa, a 10-15 metri dalle mura. «Sarà elettrificato, alto 4 metri». Davanti alla porta di casa passerà la barriera. «I miei figli dovranno attraversarla ogni mattina per andare a scuola».
A sei anni dal parere della Corte Internazionale dell’Aja sull’illegalità della barriera quando devia dalla Linea Verde, la costruzione— iniziata nel 2002— è stata completata per due terzi (400 chilometri): alla fine ingloberà dal lato israeliano il 9,4% della Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est, e l’85% dei coloni, secondo un nuovo rapporto Onu. Lo Stato ebraico, accusato dai palestinesi di costruire unilateralmente un confine che ingloba le colonie, replica che si tratta di una misura temporanea di difesa contro i miliziani palestinesi che negli anni hanno ucciso centinaia di israeliani. Venerdì scorso, giorno dell’anniversario del parere della Corte dell’Aja, l’Onu ha denunciato le difficoltà estreme causate ai palestinesi nel raggiungere scuole, ospedali e i campi.
Walaja è un villaggio di rifugiati. «E’ una comunità che nel 1948 è dovuta fuggire dal villaggio originario, che si trova sulla collina opposta” (oggi Gerusalemme ovest), dice Matteo Benatti dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi. «Hanno trovato rifugio in questa zona dove prima avevano i campi. Quello che temiamo è che ora le persone non abbiano più accesso ai loro campi». Nel 1948 Walaja perse il 70% delle terre, secondo l’Unrwa. Dopo il 1967, la municipalità di Gerusalemme ha annesso metà del restante villaggio, tracciando una linea invisibile ma con effetti assai concreti. Quasi nessuno qui possiede un permesso di residenza per Gerusalemme. Perciò decine di persone sono state arrestate perché vivevano «illegalmente» in casa propria o coltivavano la terra. Dal 1985 al 2005, sono state abbattute 45 case. Ne restano 200, per 45 c’è ordine di demolizione. Il nuovo percorso prevede la confisca di quasi metà del villaggio. Parte dei campi del 63enne Ahmed Bargouth e del 70enne Mussa Abdel Sheikh si troveranno dal lato israeliano: non è chiaro se saranno accessibili. Ad aprile i bulldozer hanno abbattuto 200 ulivi, mandorli, viti, scavando nella terra un’ampia cicatrice su cui si ergerà la barriera. Una volta finita, separerà Walaja anche dalle terre coltivate a uve Merlot e Cabernet Sauvignon nell’adiacente monastero salesiano di Cremisan, dove gli abitanti hanno lavorato come braccianti per generazioni. Non lontano da casa, Bargouth si inginocchia davanti alle tombe dei suoi genitori e di sua nonna. Rischiano di finire dall’altra parte. Lui ha fatto ricorso: attende il verdetto di una Corte israeliana.
Dopo aver sradicato i suoi 88 ulivi, gli operai li hanno ripiantati altrove. Indica i tronchi secchi: «Due o tre in uno stesso buco». Lo considera un insulto. «E’ chiaro che così non possono sopravvivere».
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