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La Stampa Rassegna Stampa
11.07.2010 Amos Gitai invita Israele ad essere più prudente
Ma non è ben chiaro che cosa intenda. Intervista di Alain Elkann

Testata: La Stampa
Data: 11 luglio 2010
Pagina: 20
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Israele deve imparare la saggezza»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/07/2010, a pag. 20, l'intervista di Alain Elkann al regista Amos Gitai dal titolo " Israele deve imparare la saggezza".


Amos Gitai,          Alain Elkann

Amos Gitai quando contano le donne nella sua vita?
«Moltissimo perché portano emozioni, intensità, confortano l’angoscia».
A ottobre uscirà in Francia, da Gallimard, e il prossimo anno in Italia, da Bompiani, una raccolta di lettere di sua madre, Efratia Gitai, personaggio eccezionale. È stata lei la prima donna della sua vita?
«Sì, aveva l’abitudine di mandare lettere e quando pensava che fossero molto importanti se le faceva rimandare, e così abbiamo una grandissima collezione di sue lettere. È nata in Israele nel 1909, suo padre venne poi mandato in Russia da Ben Gurion per organizzare l’emigrazione in Palestina. Quando scoppiò la rivoluzione nel 1917 tornò in Palestina, e suo padre, mio nonno, costruì la loro casa a Tel Aviv con l’aiuto di una comunità di donne che volevano fare le muratrici. Nel 1921, da quella casa, vide l’assassinio del primo grande scrittore israeliano che scriveva in ebraico moderno, Yosef Chaim Brenner, padre spirituale dei grandi scrittori israeliani come Amos Oz, grande fautore dell’amicizia arabo-israeliana».
Che donna era sua madre?
«Aveva una grande volontà. Incarnava il tipo di persona che ha costruito Israele. Oggi in Israele si sente ancora la forza degli uomini che vogliono cambiare il destino».
Che cosa accadde a sua madre?
«A diciotto, diciannove anni, ritenendo la Palestina troppo provinciale, andò a Vienna con delle amiche per incontrare Freud e studiò con lui per due anni e mezzo. Nel ’32 andò a Berlino, in Alexander Platz vide Hitler che faceva un comizio e capì che era giunto il momento di lasciare l’Europa, e tornò in Palestina. Lì incontrò mio padre, Mumo Weintraub, un architetto che faceva parte del gruppo Bauhaus. Si sposarono, ebbero un primo figlio, che nacque nel 1937 e morì nel ’39 di meningite. Nel ’40 ebbero un altro figlio».
Qual è l’elemento interessante di questo carteggio?
«Mio padre diventò molto famoso, mia madre si sentì trascurata ed ebbe una storia d’amore con un generale, Yehoshua Globerman. Si scrivevano poesie e lettere, con litigi, rappacificazioni. Nel libro ci sono anche lettere che ci siamo scambiati noi, io e la mamma, in cui lei difende Israele e io sono critico. Sono tutti argomenti molto forti e severi. Quello tra me e mia madre fu un dialogo molto intenso di amore, tenerezza. In alcuni casi andavamo d’accordo, ma anche quando c’erano contrasti continuavamo lo stesso a dialogare».
E le altre donne?
«Mi piacciono molto le persone autonome con opinioni forti, le mie donne non sono copie di mia madre, ma sono state tutte donne indipendenti».
Parliamo invece del suo nuovo film.
«E’ un adattamento da un romanzo di Elsa Triolet, “Roses à crédit”. Elsa è stata la donna storica del grande poeta Aragon. Nel romanzo, la protagonista annega nel comunismo nel bel mezzo di una grande crisi economica. Quella che descrive è una società asettica che non può dimostrare, esternare le proprie emozioni».
Chi è la protagonista del film?
«Léa Seydoux, lavora nel negozio di parrucchiere posseduto da Arielle Dombasle e da Pierre Arditi. La donna delle pulizie nel negozio di parrucchiere è Valeria Bruni Tedeschi».
Che cosa accade oggi in Israele?
«Sento ansia».
Perché, sta cambiando?
«Certo, tutti i posti cambiano, ma oggi le correnti religiose sono più forti, l’emigrazione russa è stata importante, ma i russi hanno una visione molto nazionalista. Sappiamo bene che Israele nella regione è circondata da ostilità, e ogni tanto gli israeliani non sono prudenti. Per esempio, con la storia delle navi turche si sono messi nei pasticci. Credo che gli israeliani debbano imparare a essere più prudenti».
Come può difendersi Israele?
«Penso che non vi siano esempi particolari di genio politico nella leadership israeliana. Non ci sono più i leader brillanti con una visione strategica come una volta, e se la situazione è questa, bisogna essere più prudenti, altrimenti rischiamo ogni volta di fare la figura dei cattivi all’Onu, cosa che non è ovviamente vera. Gli ebrei sono stati molto intelligenti per secoli perché hanno capito il potere di essere senza potere».
Che cosa vuol dire?
«A un certo punto gli ebrei hanno capito che di intellettuali e commercianti ne avevano parecchi, e hanno deciso di diventare soldati e contadini che lavoravano la terra. Come soldati hanno avuto successo, ma adesso è necessario che trovino una nuova identità».
Tornare all’antico?
«Devono decidere che cosa vogliono fare. Devono ritrovare un po’ della saggezza dei vecchi ebrei, di quelle qualità che hanno permesso a un piccolo gruppo di persone, quali sono gli ebrei, di sopravvivere per così tanti secoli. È l’arte della misura e dell’equilibrio».

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