La Cnn licenzia una giornalista pro-hezbollah Se in Italia si adottasse lo stesso sistema quanti resterebbero senza lavoro?
Testata: Il Foglio Data: 09 luglio 2010 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «You’re fired»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/07/2010, a pag. 1-2, l'articolo dal titolo " You’re fired ".
Octavia Nasr
Washington. “You’re fired” è la formula ermetica del licenziamento all’americana, quello che avviene in modo istantaneo dopo che l’impiegato ha fatto cose a cui non si può rimediare. Nemmeno i vent’anni di onorato servizio della direttrice della redazione che si occupa di medio oriente della Cnn, Octavia Nasr, sono serviti a evitare che la direzione pronunciasse le tre parole da cui non si torna indietro dopo che la giornalista ha mostrato via Twitter tutto il suo affettuoso rispetto per il leader di Hezbollah Sayyed Mohammed Hussein Fadlallah, morto lo scorso fine settimana. “E’ stato triste sapere della sua morte”, ha scritto la giornalista, “era uno dei giganti di Hezbollah, lo rispettavo molto”. Un tempestivo giro di scuse non è servito a far cambiare idea ai vertici della Cnn. A nulla sono serviti il comitato di redazione, i sindacati di settore, la federazione nazionale della stampa, gli scioperi militanti: probabilmente perché nulla di tutto questo esiste in America – almeno non come esiste in Europa – ma anche lavorando di fantasia, per reductio ad absurdum, nulla avrebbe potuto impedire che Nasr fosse messa alla porta dopo tanto elogio di un terrorista conclamato. Il comunicato della Cnn dice che “la credibilità di Nasr nel ruolo di cronista per il medio oriente è stata compromessa”. Il commento di Nasr era improvvido e fuori luogo, aggravato da una brevitas twitteriana che toglie contesto e complessità allo scambio di opinioni. Ma il caso di Octavia Nasr è l’esempio che mostra come le opinioni abbiano conseguenze che sono anche molto serie se un giornalista passa incautamente dalla libera circolazione delle idee all’endorsement di un leader di Hezbollah, il partito libanese che in nome di Allah supporta il terrore e diffonde propaganda contro l’occidente. Nasr ha perso la sua credibilità professionale, e con la credibilità ha perso il posto di lavoro. Difficile immaginare che in altri contesti – in Italia, tanto per citarne uno – accada qualcosa di analogo, specialmente se il commento in questione è un’apologia di Hezbollah. Naturalmente i difensori di Nasr non mancano: il commentatore liberal Glenn Greenwald ha scritto su Salon una lunga ipotesi di complotto per dire che in America vengono licenziati esclusivamente i giornalisti che non stanno dalla parte di Israele e dei suoi uomini sparsi nei media. Ma la lista dei cronisti americani che hanno perso il posto negli ultimi mesi è lunga ed eterogenea, probabilmente più lunga di quella dei giornalisti italiani che hanno perso il lavoro per motivi simili nell’ultimo secolo. Molti licenziamenti hanno a che fare con commenti fatti su Twitter, Facebook o altri sedicenti spazi di comunicazione privata che privati non sono affatto. David Weigel del Washington Post ha perso il suo posto da commentatore delle vicende repubblicane per aver scritto che il giornalista conservatore (e urlante) Matt Drudge farebbe un favore al mondo intero se si desse fuoco; la venerata corrispondente dalla Casa Bianca Helen Thomas è stata forzata alla pensione dopo aver detto che gli ebrei dovrebbero andarsene dalla Palestina e tornarsene a casa loro, cioè in Polonia, Germania o dove preferiscono, ma non lì. In America lo scarto fra l’onesta battaglia di idee e l’incauta propaganda che uccide la credibilità delle opinioni può avere costi molto alti. Al posto di scioperi, picchetti, fiaccolate e appelli si trova la frase che s’immaginava possibile sentire giusto al cinema: “You’re fired”.
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