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Gilad Shalit: lettera a Il Trentino 07/07/2010
Copia di e-mail inviata la direttore de "Il Trentino"
Egregio Direttore,
 
mi permetto, in via esclusiva alcune brevi riflessioni, chiedendoLe, se possibile, cortese ospitalità.
 
Com’è ovvio che sia, da molto tempo a questa parte, il dibattito attorno alla questione mediorientale si fa , via via, più acceso. Forse qualche modesto contributo potrebbe aiutare ad approfondire la comprensione di fenomeni, peraltro, molto complessi.  Già in recenti circostanze, il Suo Giornale ebbe ad accogliere, molto cortesemente, alcune riflessioni attorno alla vicenda di Ghilad Shalit, ovvero del soldato israeliano da anni sequestrato e tenuto prigioniero da alcune organizzazioni palestinesi e confido pertanto ancora nella Sua gentilezza.  Certo, si tratta di una minima goccia in un mare di dolore, eppure non posso non pensare, con la stessa partecipazione, al dramma di Aviva e Noam Shalit – i genitori di Ghilad -  ed a quello degli affetti di Sakineh Ashitani, una giovane donna iraniana, condannata alla lapidazione per adulterio. Noi crediamo che la sofferenza degli individui non abbia confini e si amo altrettanto convinti che non saranno i fondamentalismi religiosi e/o ideologici a costruire i mattoni dell’ indispensabile dialogo, così come non saranno i silenzi ad aiutare la pace. Noi confidiamo che qualsiasi sofferenza debba avere una “ voce “: quella di Shalit, come quella di altri. Eppure, davanti alla lapidazione di una donna, non ci si può limitare a scuotere, con gravità, la testa, dimenticando che non si tratta di un  caso isolato, bensì dell’ applicazione di una “ giurisprudenza “, davanti a cui la civiltà inorridisce. Non ci si può limitare alla condanna formale, perché in quell’ atto così barbaro si annulla ogni speranza del dialogo e della reciproca comprensione. E lo stesso vale per il giovane Shalit, condannato ad una “ scomparsa civile “, che se non è la morte, le assomiglia molto.
La Storia è sicuramente fatta dai grandi eventi, ma essi, a loro volta, sono composti dalle microstorie di ogni singolo individuo e quando queste assumono i contorni di queste due vicende, allora la vita di ogni persona diventa un paradigma della vita di noi tutti: quella di Ghilad e quella, che fu, di Sakineh.
Non è, egregio Direttore, una questione di appartenenze. In un mondo di civiltà, tutti dovrebbero riflettere sull’ indegna fine di questa donna, uccisa a colpi di pietra, alla faccia di tutte le battaglie per e con le donne e, parimenti, sull’ inutile detenzione di un  uomo, non rinchiuso perché tale, ma piuttosto perché simbolo.
Davanti a questi fatti  “ minori “, a questo “ quotidiano “ incredibile, il nostro tempo, così capace di indignarsi giustamente per lo sterminio dei cetacei, si annega dentro un silenzio, che rischia forse di diventare anche complicità.
L’ Associazione trentina “ Italia – Israele “, con tutta l’ umiltà di una delle tante “ voci “ della storia del presente, si permette di richiamare l’ attenzione attorno a fatti, solo apparentemente,  marginali, nella convinzione che le vite spezzate, siano esse compiute o da compiersi, meritano, se non altro, solidarietà e condivisione, anche al di là di schieramenti e posizione preconcette. Sarebbe interessante conoscere anche la Sua autorevole opinione. Grazie
 
 
Marcello Malfer
Presidente Ass.ne trentina Italia - Israele

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