Sul CORRIERE della SERA di oggi, 04/07/2010, a pag.15, con il titolo " Guerra in Afghanistan, il monito di Petraeus ' uniti contro i talebani' ", Guido Olimpio analizza i primi giorni del generale David Petraeus, che ha sostituito McChrystal alla guida del comando Nato e Usa.
Ecco l'articolo:
WASHINGTON — « The only easy day was yesterday » . Traduzione: l’unica giornata facile era ieri. È il motto dei commandos dell’Us Navy e di sicuro può diventare quello del generale David Petraeus, da oggi, al comando delle forze in Afghanistan. Infatti, appena arrivato nel Paese, ha promesso lacrime e sangue: «È una missione tosta, qui non c’è nulla di facile». Parole pronunciate nell’ambasciata-fortino durante un ricevimento a base di hamburger ed hot dog alla vigilia della festa americana del 4 luglio.
Petraeus ha quindi invitato alla compattezza e all’unità: «La cooperazione non è un optional». Un appello legato alle molte divisioni emerse in questi mesi e che sono state, insieme ai magri risultati sul campo, le cause del siluramento del suo predecessore, Stanley McChrystal.
Il neo-comandante dovrà tagliare con la sua spada tre nodi. Il primo è rappresentato dalle regole di ingaggio. Petraeus, nelle prime dichiarazioni, ha affermato che «l’imperativo morale» è proteggere le truppe. E, per questo, potrebbe esserci dei cambiamenti che permettano un volume di fuoco maggiore e un intervento più esteso dell’aviazione. Ma tenendo in mente il secondo imperativo: quello di ridurre le perdite tra i civili.
Sotto McChrystal, con l’approvazione di Petraeus che era il suo comandante, erano stati posti dei limiti. Perché, spiegavano gli strateghi, se si vuole conquistare il consenso della popolazione è necessario agire di conseguenza. Se bombardi, per sbaglio, una cerimonia o un villaggio alle vittime innocenti aggiungi i danni politici. Come è avvenuto ieri, con una donna e un uomo uccisi per errore. Resta da vedere come coniugare, sul terreno, le due esigenze.
L’altro nodo è quello dei rapporti con l’ambasciatore Usa a Kabul, Karl Einkeberry, e l’inviato speciale Hoolbrooke. Petraeus deve reimpostare le relazioni dopo le fratture createsi con McChrystal. Contrasti legati anche alla scadenza del luglio 2011, data di inizio di un possibile ritiro dall’Afghanistan.
La guerra, ribattono dal Pentagono, non si può fare con il calendario in mano e, infatti, quel limite temporale è in discussione. Chiamato a ricostruire un rapporto di fiducia con i funzionari in borghese, Petraeus, sempre ieri, ha sottolineato che civili emilitari devono lavorare insieme, come una cosa sola.
Il terzo aspetto è il governo Karzai. Poco affidabile, corrotto e indeciso sul da farsi, non sembra essere un partner credibile. Ma, per ora, è l’unico disponibile. E se un giorno gli Usa vorranno andarsene avranno bisogno a Kabul di un’entità politica e militare che regga. Il messaggio del generale alle autorità afghane è stato semplice: «Il vostro successo è il nostro successo».
Con questi tre pesanti fardelli sulle spalle, Petraeus deve fare anche la guerra e gestire un contingente di 130 mila uomini. C’è un’offensiva contro Kandahar in gestazione ma intanto sono i talebani a sferrare colpi a sorpresa, specie nelle città. Le perdite dei soldati hanno superato quota mille, un numero alto per le opinioni pubbliche occidentali sempre più scettiche sul significato della missione. Davvero vale la pena di morire per Kabul?
Sull’altro fronte, kamikaze, ordigni improvvisati e qualche incursione sono sufficienti a far passare il messaggio che hanno loro l’iniziativa. In Afghanistan ma anche nel vicino Pakistan, colpito da una impressionante serie di attentati intimidatori contro le autorità. Un monito affinchè si astengano da iniziative militari decisive contro i santuari del terrore. Agli insorti per vincere basta resistere. E non hanno regole di ingaggio e calendari da rispettare.
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