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Il Foglio Rassegna Stampa
03.07.2010 Trattare con il nemico: il tramonto dell'impero americano
L'analisi di Mattia Ferraresi

Testata: Il Foglio
Data: 03 luglio 2010
Pagina: 1
Autore: Mattia Ferraresi
Titolo: «Una corrente 'rossa' vicino a Petraeus vuole parlare con il nemico»

Trattare con il nemico, è la tesi dell'analista Mark Perry, che Mattia Ferraresi riporta sul FOGLIO di oggi, 03/07/2010, a pag.1 con il titolo " Una corrente 'rossa' vicino a Petraeus vuole parlare con il nemico "
Subentrato il generale David Petraeus a McCrystal, sembra questa la nuova linea dell'amministrazione Usa, che lo stesso Petraeus aveva anticipato in una intervisa, poi decisamente smentita, ma che, come ogni smentita, a molti non è parsa convincente. Che Perry sia poco affidabile, può essere vero. Ma è purtroppo vero che il vento che soffia dalla Casa Bianca ha cambiato direzione.
Ecco l'articolo:


Fine dell'impero americano ?

Washington. Il fronte obliquo a favore del dialogo fra l’America e i terroristi esce dal letargo con tempismo perfetto. L’arrivo del generale David Petraeus in Afghanistan, per la prima volta da comandante delle forze della coalizione, si porta dietro una serie di domande sui possibili cambi di strategia: accanto all’offensiva militare ci sarà un tentativo di dialogo con il nemico? Come vede l’America l’attivismo del presidente afghano, Hamid Karzai, nel portare avanti il piano di “reintegro” dei talebani? La transizione della leadership militare – a cui alcuni dicono seguirà anche una transizione civile – è il momento più felice per chi vuole introdurre la politica del dialogo con il nemico bandita nel contesto dell’unilateralismo americano. A rilanciare il tema è il retroscenista Mark Perry, la più sospetta delle fonti, che sul sito del mensile Foreign Policy ha pubblicato i dettagli di un documento riservato scritto dal cosiddetto “Red Team” del Centcom, il comando centrale che prima dell’incarico in Afghanistan era guidato da Petraeus. Le cinque pagine citate da Perry portano la data del 7 maggio 2010 e vanno sotto il titolo “Trattare con Hezbollah e Hamas”: con un linguaggio non diplomatico si spiega che portare avanti trattative con il nemico è la migliore delle strategie possibili. Anche se lo scenario di cui parla questa corrente del Centcom non ha legami con quello che succede a Kabul, il documento rilancia a livello ideale e strategico i problemi del dialogo con il nemico, degli accordi espliciti con i terroristi e dei motivi profondi (ma anche di realpolitik) per cui l’America ha deciso di sancire un limite nel dialogo con soggetti impresentabili tipo Hamas, Hezbollah e i gruppi talebani.Mark Perry ha già dimostrato di essere una fonte affetta da vizietti ideologici facilmente rintracciabili. In passato è stato consigliere informale di Yasser Arafat e al leader palestinese suggeriva di approfondire un dialogo con l’America che coinvolgesse tutte le forze in campo. A marzo Perry ha pubblicato uno scoop: il generale Petraeus sostiene che le vite degli americani sono messe in pericolo dalla massa d’odio generata dal conflitto fra palestinesi e israeliani. Niente di tutto questo era vero, Petraeus non aveva detto cose simili e il reportage di Perry – inizialmente ripreso da tutti i media mondiali – è stato smontato punto per punto. In primavera ha pubblicato il libro “Parlare con i terroristi”, titolo che onora la sua ossessione strategica e si accorda con il documento della sezione trasversale del Centcom, in cui si parteggia per un “ruolo degli Stati Uniti nell’integrazione di Hezbollah nelle forze armate libanesi” e si danno indicazioni per la normalizzazione di Hamas nel contesto palestinese. La logica di appeasement di Perry e della frangia “rossa” del Centcom spiega una posizione diffusa in alcuni ambienti dell’Amministrazione e nell’opinione pubblica: i gruppi terroristici sono sì nemici dell’America, ma allo stesso tempo ci sono elementi “pragmatici e opportunisti”, con i quali quindi si può e si deve scendere a patti. Idee a cui l’America ha opposto resistenza, ma che ora suonano molto popolari in relazione al conflitto in Afghanistan. Da mesi Karzai sta mandando avanti trattative sotterranee con il gruppo talebano (e affiliato ad al Qaida) di Siraj Haqqani con la mediazione degli inaffidabili servizi segreti pachistani; il governo di Kabul ha affidato l’addestramento di un certo numero di truppe all’esercito di Islamabad. La diplomazia parallela dell’Afghanistan lavora al progetto di “reintegro” dei talebani di basso rango come preludio alla “riconciliazione” con i piani alti delle milizie. La frangia che vuole affermare la logica dell’appeasement non avrebbe potuto trovare un appiglio migliore di un documento degli uomini di Petraeus in cui si dice che quella è la strada da perseguire. Un altro uomo di Petraeus, l’ex ambasciatore in Iraq, Ryan Crocker, un mese fa ha detto che “Hezbollah è parte del panorama politico del Libano e noi dovremmo parlare con loro direttamente”. Ma se il discorso di Crocker è incastonato nella dottrina della “strategic patience”, le sue parole sono facilmente riciclabili come un invito ad annullare quella differenza fra bene e male che è la sostanza del ruolo dell’America nel mondo.

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