" Il tempo che ci rimane "
di Anna Rolli
Elia Suleiman, regista di 'Il tempo che ci rimane'
Il mio primo pensiero quando finalmente la pellicola di: Il tempo che ci rimane, del regista palestinese Elia Suleiman, è terminata è stato: "Bisogna davvero essere riforniti di una smisurata mancanza di rispetto per gli altri per avere soltanto l'idea di proporre al pubblico una simile, totale noia e noia, senza mai un guizzo non dico di fantasia ma almeno di vivacità". Non riesco a ricordare un altro film che mi abbia così profondamente annoiata e lasciata con la sensazione di non aver ricevuto assolutamente nulla, se non un altro dello stesso regista, di una decina di anni fa. Per almeno tre o quattro volte ho avuto l'impulso di alzarmi e di andarmene. Il dovere professionale avrà pure dei limiti! In sala saremo stati non più di sette o otto spettatori, al mio fianco un ragazzo sbuffava, dietro di me un signore si era appisolato e mi giungeva il suo respiro regolare con un lieve russare. Perché si rimane in questi casi, seppure sbadigliando? Certamente con la speranza che qualcosa accada prima della fine e possa, almeno in parte, riscattare la mediocrità, peggio, lo zero precedente; e anche perché se non si arriva alla fine non se ne potrà poi parlare con la dovuta conoscenza dell'oggetto in questione.
Insomma sono rimasta e fino all'ultima scena, fino all'ultima ripresa, il niente. Un esempio: due palestinesi di Nazareth vanno di notte al mare a pescare, è il loro passatempo, arriva una camionetta di soldati israeliani, dialogo: "Tutto bene?" "Sì" "Di dove siete? "Di Nazareth!" "Ce li avete i documenti?" "Sìii!". La camionetta riparte dopo un cenno di saluto da parte dei soldati. Una scena così banale viene ripetuta per tre volte, sempre identica a se stessa, in momenti diversi del film. L'ultima volta (sentite che variazione sul tema) dopo il "Ce li avete i documenti? “ e la risposta ", “ Siii!”, un soldato domanda "Ma perché venite sempre a pescare così lontano? Non ce l’ avete il mare a Nazareth?". Quale sarebbe il messaggio? Che i soldati israeliani sono così ignoranti da non sapere che a Nazareth non c'è il mare? Conoscendo molto bene la differenza nella qualità dei sistemi scolastici dei due i popoli ( quello israeliano è tra i migliori del mondo e quello palestinese tra i peggiori), ci sarebbe davvero da ridere se non fosse che lo spettatore si è annoiato per interi minuti vedendo ripetere, addirittura per tre volte di seguito, la stessa “moscissima” scena. E poi c’è l'attore protagonista (lo stesso regista), l'eroe palestinese del 1948, alto e snello e con i capelli sempre ben curati e i militari israeliani bassi e stortignaccoli e soprattutto con lo sguardo cattivissimo. Pensate che artistica capacità di rappresentazione, mancava soltanto il naso adunco e lo sguardo grifagno da semita! E nel 1948, la suprema autorità politica e religiosa dei palestinesi, il gran Muftì di Gerusalemme, era da poco rientrato da Berlino dove aveva vissuto gran parte degli anni della seconda guerra mondiale, come strettissimo collaboratore di Hitler, e i soldati israeliani osarono sconfiggerlo impedendogli di portare a compimento la Shoà come era esplicitamente indicato nel suo programma “ politico”. Davvero “cattivi”, come ci mostra a iosa il fiero eroe palestinese –Suleiman, davvero “cattivissimi e pessimi” i soldati israeliani del nascente Tsahal a non lasciarsi massacrare docilmente, a riuscire a vincere e a salvare se stessi e le proprie famiglie dalla sterminio promesso a chiare lettere, addirittura durante un’intervista alla BBC, da un altro magnifico esempio della leadership dell’epoca, Azzam Pascia, portavoce e rappresentante della Lega Araba.
E si va avanti in questo modo mentre scorrono, uno dietro l’altro, 100 lunghissimi minuti con gli attori a non fare niente se non a mostrare le facce inespressive e gli sguardi persi nel vuoto per rappresentare, secondo i critici, come ci si sente spaesati per colpa "dell'oppressore". Che può fare il malcapitato spettatore se non sbuffare, oppure addormentarsi? A già, dimenticavo, noi spettatori, per gli eccelsi critici autodefinentesi di sinistra, saremmo gli ignorantoni che non sanno apprezzare il teatro dell'assurdo di Eugène Ionesco. Direi proprio di no, quando viene riproposto, sempre uguale a se stesso, dopo decenni e decenni. Non sarebbe il caso di accorgersi finalmente che ciò che poteva avere un senso negli anni ’50 e ’60, oggi, soprattutto in formato imitazione, soprattutto in formato surrogato, rimasticato senza alcuna originalità, di senso non ne ha più alcuno?
Approfondendo la riflessione, ci potremmo domandare che cosa rappresenta questo film, nel momento attuale, in cui più che mai sarebbe necessario un contributo, da parte di chi potrebbe darlo, alla conoscenza reciproca e al processo di pace. E, di nuovo, dovremmo rispondere: molto poco. C’ è un brevissimo episodio interessante nel quale l’eroe palestinese salva un soldato israeliano da un camion capottato e che potrebbe esplodere. E’ una bella scena e anche aderente alla realtà perché in Israele, nonostante l’orrore di tanta violenza, si contano numerosissimi gli episodi di solidarietà reciproci, spesso molto commoventi. Storie che ci hanno rincuorato tanto in passato, perché stanno lì a dimostrare che gli uomini di buona volontà non mancano neppure nelle situazioni più disperate e che si puo’ sempre seguire il loro esempio. Ma basta una sola scena a salvare il tutto? Direi di no. Anzi, nel film rischia di perdere ogni credibilità, di risuonare come vuota retorica, soprattutto perché affiancata al pensiero profondamente violento, distruttivo e nichilista espresso da un altro personaggio che di fronte ai soldati israeliani tira fuori una pistola e si spara alla tempia dopo aver letto i versi "…Se non una vita che allieti gli amici, una morte che torturi i nemici ”. E che mare di stupidità nella scena finale nella quale il vecchio dallo sguardo vitreo ma in cerca di libertà, a mo’ di atleta si slancia con un’asta al di là del Muro, al di là della barriera difensiva costruita dagli israeliani alcuni anni fa e grazie alla quale il terrorismo suicida è stato azzerato ( quello appunto della “morte che torturi i nemici”) ed è stata salvata la vita a tanti palestinesi oltre che a tanti israeliani. Come se fosse il Muro il problema di quella terra martoriata e non la necessità di sconfiggere quanto prima i movimenti fondamentalisti islamici contrari alla democrazia, ai diritti civili e a ogni processo di pace, innanzitutto Hamas. Quanta spudoratezza ci vuole per propagandare in Europa simili scempiaggini?
Ma ciò che fa impressione, veramente impressione è che gli esaltanti ed esultanti critici della sinistra nostrana sembrano davvero non rendersene conto.