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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.06.2010 La Turchia laica e democratica di Ataturk è solo un ricordo
Erdogan chiude il cielo turco agli aerei militari israeliani. Cronaca di Francesco Battistini, commento di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 giugno 2010
Pagina: 15
Autore: Francesco Battistini - Antonio Ferrari
Titolo: «La Turchia ferma i voli israeliani - Tentazione ottomana. Lo sguardo a Oriente sognando l’impero»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/06/2010, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " La Turchia ferma i voli israeliani ", l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Tentazione ottomana. Lo sguardo a Oriente sognando l’impero ", preceduto dal nostro commento. Ecco i due articoli:

Francesco Battistini : " La Turchia ferma i voli israeliani "


Recep Erdogan

GERUSALEMME— «Generale Stern? Non avete l’autorizzazione al sorvolo della Turchia: per andare in Polonia, dovete cambiare rotta». Una voce via radio. Al generale Elazar Stern, responsabile del Dipartimento risorse umane di Tsahal, figlio d’un sopravvissuto alla Shoah e padrino della tradizionale trasferta «Testimoni in divisa» che ogni anno porta cento riservisti ad Auschwitz, al generale non è rimasto che obbedire: piani di volo alla mano, l’aereo è stato dirottato sui cieli della Grecia.

Un costo più alto di carburante. Un costo altissimo per le relazioni fra Ankara e Israele. Perché d’ora in poi le nuvole della Turchia saranno chiuse «a tutti i voli israeliani» (come ha annunciato ieri mattina la Radio militare di Gerusalemme), o «solo a quelli militari» (come ha precisato un portavoce turco), una decisione in ogni caso simbolica: «Sì — ha confermato il premier Recep Tayyip Erdogan, durante il G-20 —, dopo l’episodio della Flotilla c’è stata una richiesta d’autorizzazione ad attraversare il nostro spazio aereo. Non è stata accordata».

Rottura sulle rotte. Dopo 14 anni, lo stop è ai jet militari israeliani. L’El Al, la compagnia di bandiera, non ha ricevuto comunicazioni e i sorvoli continuano. La certezza è che verranno ridisegnati i tragitti per l’Est Europa e l’Estremo Oriente, ma soprattutto che l’amico turco sarà, definitivamente, un ex. «Noi siamo stati molto pazienti», dice Erdogan: per la strage sulla nave Marmara d’un mese fa, Ankara ha chiesto scuse ufficiali, mai arrivate. Ieri a Gerusalemme ha cominciato a lavorare la commissione Turkel, composta da israeliani e da due osservatori stranieri, e la prima audizione in agenda è quella del premier Netanyahu: nulla, dicono i pacifisti di Free Gaza, che stanno raccogliendo testimonianze per la Corte dell’Aja; troppo poco, ripetono i turchi, che domenica hanno pubblicato le credenziali degli ambasciatori incaricati e un’altra volta hanno tolto il nome di Kerim Uras, feluca già designata per Tel Aviv. In questi giorni, in Israele c’è una delegazione militare turca, venuta a provare il nuovo drone «Heron» da usare contro i curdi del Pkk. È atterrata in segreto, si muove discreta. Una presenza imbarazzante: il governo Erdogan sta rivedendo tutti gli accordi, ha già cancellato l’acquisto di tank Merkava per 5 miliardi di dollari e un progetto missilistico da un miliardo e mezzo, minacciando di portare le relazioni diplomatiche al minimo. L’annuncia da mesi, per la verità. Ingoiando anche pubbliche umiliazioni, come quella che il viceministro Ayalon inflisse all’ambasciatore uscente, Ahmet Oguz Celikkol: «I turchi — ci dice uno che li conosce bene, Eli Shaked, ex diplomatico israeliano ad Ankara — non spingono troppo, perché sanno d’essere in un vicolo cieco».

L’abbraccio all’Iran, prima che l’Occidente, impaurisce il Medio Oriente: che futuro ha un’alleanza fra gli sciiti di Teheran e i sunniti turchi? Quando poi Erdogan evoca i fasti ottomani, sa di toccare un tasto delicato: i turchi non sono arabi e la loro dominazione, nel mondo arabo, non è un buon ricordo. Rompere con Usa ed Europa è rischioso, perché nessun mercato arabo potrà competere con gli affari che la Turchia ha fatto finora. Ma Erdogan sente di non avere scelta, per salvarsi politicamente. Non ha mantenuto una sola promessa elettorale: ha mancato l’obbiettivo dell’Ue, la riunificazione di Cipro, la mediazione siriana, il riavvicinamento all’Armenia. È un anno e mezzo che batte sul chiodo Israele. E sui palestinesi, di cui non s’era mai occupato. Che cosa c’è di meglio, per rilucidarsi l’immagine?

Antonio Ferrari : " Tentazione ottomana. Lo sguardo a Oriente sognando l’impero"

Ferrari scrive : " l’ira di Erdogan, dopo l’attacco alla flottiglia pacifista al largo di Gaza, attacco che è costato la vita a nove cittadini turchi, non si è placata.". Definire pacifista la flottiglia è scorretto. A bordo della Mavi Marmara c'erano persone armate. Le foto (poi taroccate da Reuters) e i filmati girati sulla Mavi Marmara lo hanno dimostrato. Inoltre lo scopo dei 'pacifisti' non era portare aiuti alla popolazione, ma raggiungere Hamas. Se sul serio avessero voluto mandare gli aiuti a Gaza avrebbero accettato di attraccare al porto di Ashdod per far controllare il carico. I beni sarebbero arrivati a Gaza via terra dopo essere stati controllati.
Riguardo a Erdogan, Ferrari scrive : "
Oggi Erdogan naviga a vista tra due tendenze: quella rappresentata dal suo ministro degli esteri Ahmed Davatoglu, che potremmo definire l’alfiere del neo-ottomanesimo; e quella del ministro per gli Affari europei e capo-negoziatore con la Ue, Egemen Bagis, convinto sostenitore della scelta strategica della Turchia che vuol entrare a far parte del club di Bruxelles. ". Erdogan non è in bilico fra due tendenze. Il deterioramento dei rapporti con Israele è un sintomo della scelta che ha fatto. Ormai resta ben poco della Turchia laica e democratica di Ataturk. La Turchia di Erdogan è diventata un satellite dell'Iran. Per questo anche il titolo dell'articolo è fuorviante: quella di Erdogan non è una "tentazione", ma una scelta.
Ecco l'articolo:


Mustafa Kemal Ataturk

In Canada, per cercare di contenere la straripante irritazione anti-israeliana del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan si sono spesi in tanti, a cominciare dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che ha ottimi rapporti sia con Ankara che con Gerusalemme. Ma l’ira di Erdogan, dopo l’attacco alla flottiglia pacifista al largo di Gaza, attacco che è costato la vita a nove cittadini turchi, non si è placata. Anzi.

E’ passato ormai un mese e ieri il primo ministro turco, seguendo il consueto binario di esplosione emotiva coniugata con sdegno calcolato, ha annunciato la chiusura dello spazio aereo del suo paese ai voli israeliani. Va bene che il divieto riguarda aerei militari e non commerciali, però il nuovo incidente rivela una tensione crescente con tendenza al peggioramento, nonostante gli sforzi dei vertici militari (di entrambi i Paesi) per scongiurarlo.

Dopo le frequenti scortesie diplomatiche del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, ogni scossa rende il monarca repubblicano di Ankara più insofferente. Anche perché, per la prima volta dopo molti decenni, un leader turco è ilmusulmano più popolare nell’intero mondo arabo, ed anche nei Paesi che arabi non sono, come l’Iran. Sensibile alle sirene delle masse, Erdogan sta vestendo, forse consapevolmente, l’abito psicologico del vendicatore: difensore delle ragioni iraniane e della necessità di una soluzione diplomatica («Me l’aveva chiesto il presidente Obama di cercare una via d’uscita»); pronto a votare contro l’inasprimento delle sanzioni contro Teheran, al fianco del Brasile; capace di mediare tra Siria e Israele quando i rapporti con lo Stato ebraico non erano in crisi. Più freddo, ma senza atteggiamenti preconcetti verso l’Unione europea, alla quale il premier non intende rinunciare, ritenendo la marcia verso Bruxelles prioritaria nella strategia del suo paese. C’è da valutare probabile che nella mente del premier sia transitato il sogno di riproporre le vittorie imperiali ottomane, magari con il brutto incubo dell’altolà alle porte di Vienna nel 1529, e della sconfitta di Lepanto nel 1571.

Per convincersi e convincere d’essere l’uomo del destino per la Turchia, l’islamico moderato Erdogan ha deciso di accostare la sua gigantografia a quella del fondatore della repubblica, il grande e laico Kemal Atatürk. Ben sapendo che Atatürk ebbe il coraggio di rompere con le griglie del passato, mentre lui le vorrebbe riproporre, magari modernizzate dalla rete della comunicazione globale. Tutta la strategia di Ankara dimostra che il premier crede davvero di poter guidare la rinascita turca. Non soltanto per i rapporti che ha stretto con tutti i Paesi musulmani della regione, ma per gli sforzi diplomatici compiuti per mediare fra Pakistan e Afghanistan; per la zona di libero scambio che vede la Turchia accostata a Siria, Libano e Giordania; per la costante presenza nei Balcani: mentre il mondo ironizzava sulla Grecia vicina alla bancarotta, il premier-nemico scendeva ad Atene con dieci ministri e centinaia di operatori economici, tendendo la mano. Forse per rinverdire il ricordo del buon rapporto che ci fu tra due grandi del passato: appunto Atatürk e il premier greco Elefterios Venizelos.

Oggi Erdogan naviga a vista tra due tendenze: quella rappresentata dal suo ministro degli esteri Ahmed Davatoglu, che potremmo definire l’alfiere del neo-ottomanesimo; e quella del ministro per gli Affari europei e capo-negoziatore con la Ue, Egemen Bagis, convinto sostenitore della scelta strategica della Turchia che vuol entrare a far parte del club di Bruxelles. Ora, non è detto che le due tendenze siano necessariamente in conflitto, anche se bisogna ammettere che, in questo momento, il più debole sembra proprio Bagis. Dall’Europa infatti ha incassato pochissimo, anzi quasi niente. È evidente che le indecisioni dell’Ue e la continua salita dell’asticella sulle condizioni, hanno contribuito a far crescere l’esercito degli euroscettici turchi, che ormai sono la maggioranza.

Turchia perduta, dunque? No, perché Ankara èmaestra nell’offrire sorprese. È anche possibile che le mosse scomposte di Erdogan nascondano timori elettorali. Si dovrebbe votare l’anno prossimo, e per la prima volta dopo tanto tempo il partito repubblicano del popolo, fondato da Atatürk e considerato il bastione politico del laicismo, è in ripresa. Dopo l’uscita di scena dell’inconcludente Deniz Baycall, la riscossa è guidata da Kilic Darolu. È questa novità ad aver accentuato il nervosismo del premier.

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