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La Stampa Rassegna Stampa
28.06.2010 Nei Paesi arabi non c'è spazio per i cristiani
Cronaca di Marco Bardazzi

Testata: La Stampa
Data: 28 giugno 2010
Pagina: 11
Autore: Marco Bardazzi
Titolo: «La marcia dei cristiani d'Arabia»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/06/2010, a pag. 11, l'articolo di Marco Bardazzi dal titolo " La marcia dei cristiani d'Arabia ".

Il titolo del pezzo è troppo ottimistico. Leggendo il pezzo si evince che la situazione è ben diversa. Nei Paesi arabi i cristiani non godono degli stessi diritti dei cittadini musulmani e i governi non sono interessati alla loro integrazione. Inoltre, contrariamente a quanto succede agli immigrati musulmani in Europa che ricevono fondi per la costruzione di moschee, i cristiani emigrati nei Paesi arabi non hanno nè i fondi nè i permessi per costruire chiese nei loro Paesi d'adozione.
Ecco l'articolo:

Il bollettino settimanale della parrocchia di San Giuseppe ad Abu Dhabi, che sorge in mezzo alle moschee e ai grattacieli degli Emirati Arabi Uniti, assomiglia al calendario dei lavori nel Palazzo di vetro dell’Onu a New York. Cinque sacerdoti di nazionalità diverse celebrano Messe in una babele di lingue: inglese, arabo, francese, tagalog, malayalam, urdu, konkani, tamil, cingalese, malankara, talvolta anche in italiano. Il giorno in cui ci sono più celebrazioni non è la domenica, ma il venerdì, la festa settimanale nei paesi arabi: un modo pragmatico per venire incontro alle esigenze degli oltre 100 mila fedeli di 90 etnie diversi che ruotano intorno a una delle parrocchie cattoliche più affollate al mondo, in gran parte domestici e operai che lavorano nelle case e nei cantieri dei facoltosi musulmani locali.
Come a San Giuseppe, la scena si ripete più o meno identica in una ventina di chiese sparse tra Dubai, Oman, Qatar, Kuwait e Bahrein, epicentri di un fenomeno che sta cambiando il volto della Penisola Arabica e del Golfo Persico ed è in qualche modo speculare a ciò che avviene in Europa. Mentre il Vecchio continente ha le cattedrali semivuote e si riempie di moschee e nuove comunità di immigrati musulmani, il boom economico degli ultimi anni sta attirando nei luoghi dove è nato l’Islam centinaia di migliaia di cattolici, soprattutto da Filippine, India, Sri Lanka, Pakistan. «I numeri sono in aumento, nonostante la crisi economica, e sono certo di non esagerare a stimare che nella Penisola Arabica ci siano adesso circa 2 milioni e mezzo di cattolici», spiega monsignor Paul Hinder, che guida il Vicariato d’Arabia della Santa Sede, ormai diventato la circoscrizione ecclesiastica più grande del mondo (sei nazioni con 60 milioni di abitanti complessivi, che coprono oltre tre milioni di chilometri quadrati). E il dato più significativo riguarda non tanto i piccoli emirati del Golfo, quanto il vero colosso della regione, l’interlocutore sicuramente più complesso per la Chiesa cattolica: l’Arabia Saudita. Nel paese che custodisce i luoghi sacri dell’Islam, dove è vietato non solo costruire chiese, ma anche celebrare la Messa, la popolazione di fede cristiana è in rapido aumento.
Dati ufficiali non ce ne sono, ma una serie di stime attendibili sono circolate in occasione di una conferenza su cristiani e musulmani organizzata in Libano dalla Fondazione internazionale «Oasis» di Venezia. Solo i filippini che vivono in territorio saudita sarebbero circa un milione e mezzo, e l’85% di loro è costituito da cattolici. In totale, su 27 milioni e mezzo di abitanti dell’Arabia Saudita, gli immigrati sarebbero oggi oltre 8 milioni, provenienti in gran parte dal sudest asiatico e da altre regioni dell’Asia a forte presenza di cristiani. Un fenomeno che ha preso il via negli anni Novanta – come evidenzia uno studio di Giuseppe Caffulli pubblicato sull’ultimo numero di «Vita e Pensiero», la rivista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – quando il governo di Riad ha deciso di bloccare i visti d’ingresso agli immigrati dello Yemen, il vicino di casa povero degli sceicchi, fino ad allora la tradizionale manodopera per il paese. L’ascesa di Al Qaeda, l’organizzazione del saudita-yemenita Osama bin Laden, aveva fatto temere ai regnanti di Riad un’esplosione dell’integralismo islamico nel Paese, spingendoli a chiudere le porte allo Yemen e ad aprirle alla manodopera «fidata» dei filippini e dei cingalesi. Con la conseguenza, però, di innescare la più vasta immigrazione di cristiani nel cuore dell’Islam quattordici secoli dopo Maometto.
Il vescovo Hinder, un cappuccino svizzero che dal 2005 si è trasferito nel Golfo, è prudente quando si tratta di parlare di Arabia Saudita. «Il clima sta migliorando», si limita a dire. Altre fonti raccontano di segnali quasi impercettibili di maggiore tolleranza, ma sempre in un contesto in cui la polizia religiosa non concede alcuna espressione pubblica di fede che non sia musulmana.
Il paragone tra il cuore del mondo islamico «invaso» dai cristiani e l’afflusso continuo di musulmani verso l’Europa in prevalenza cristiana, secondo Hinder regge solo fino a un certo punto. «Le differenze sono molte - spiega - a partire dal fatto che noi viviamo in Paesi dove l’integrazione non è né lecita, né desiderata. Una larga parte di immigrati musulmani si sta stabilizzando e naturalizzando nei Paesi europei. Non è questo il caso nel Golfo. La gente qui viene a lavorare per qualche tempo, per poi cercare di andare altrove. Di recente, visitando Toronto, ho incontrato tanta gente arrivata in Canada dopo aver trascorso anni di lavoro in Qatar, Bahrein o a Dubai».
Un’altra differenza, secondo i cattolici del Golfo, è che spesso i musulmani d’Europa hanno alle spalle ingenti finanziamenti per costruire le moschee: basta pensare agli investimenti sauditi per costruire luoghi di culto in Bosnia. «Io invece - dice monsignor Hinder - per costruire chiese, quando mi è dato il permesso di farlo, devo ricorrere alla generosità dei miei fedeli. E dire che di nuovi luoghi di culto avremmo un gran bisogno: quei pochi che abbiamo stanno esplodendo».
Un'educazione autentica e integrale della persona come via da percorrere per cristiani e musulmani, per liberarsi sia dal «positivismo assoluto» sia dal «fondamentalismo formale». E' stato questo uno dei punti di arrivo del lavoro della fondazione internazionale Oasis, che ha riunito a Beirut una settantina di personalità provenienti da ogni parte del mondo. Il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia e fondatore di Oasis, ha sottolineato la necessità comune a cristiani e musulmani di valorizzare l’educazione come «incontro di libertà».

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