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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.06.2010 L'Iran ha materiale sufficiente per costruire armi atomiche in un paio d'anni
Leon Panetta ha scoperto l'acqua calda. A che servono ormai le sanzioni?

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 giugno 2010
Pagina: 14
Autore: Guido Olimpio - Francesco Battistini
Titolo: «L’Iran ha uranio per l’atomica - La visita dell’ammiraglio innervosisce gli ayatollah - Israele studia l’attacco da una base saudita»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/06/2010, a pag. 14, gli articoli di Guido Olimpio titolati " L’Iran ha uranio per l’atomica " e " La visita dell’ammiraglio innervosisce gli ayatollah ", a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "  Israele studia l’attacco da una base saudita ", preceduto dal nostro commento.

Nella vignetta a destra Ahmadinejad dice : " Ovviamente il nostro programma nucleare è a scopo pacifico, perchè lo chiedete ? ". Sul naso-missile : " Morte a Israele e agli Usa"
Ecco gli articoli:

Guido Olimpio - " L’Iran ha uranio per l’atomica "


Leon Panetta

WASHINGTON— Per il direttore della CIA, Leon Panetta, l’Iran ha uranio sufficiente per produrre due atomiche: in un paio d’anni, ha aggiunto, può arrivare davvero alla Bomba. Il capo dell’intelligence ha scelto la rete Abc, in concomitanza con il summit di Toronto, per lanciare la previsione.

La marcia verso l’atomica, però, potrebbe complicarsi se Teheran continuerà a incontrare «problemi tecnici» nell’arricchimento dell’uranio. Panetta, nell’alludere a queste difficoltà, si è rifiutato di confermare se all’origine dei guai vi siano atti di sabotaggio da parte dell’intelligence occidentale e israeliana. In passato si è parlato di computer attaccati con «virus», di strani incidenti all’interno degli impianti e della scomparsa di diversi scienziati. L’intervento del direttore, con l’indicazione di una scadenza precisa, ha il valore di un richiamo alla diplomazia e alla comunità internazionale. Se non si trova un rimedio per arrestare il programma, l’Iran alla fine arriverà a produrre gli ordigni. E il tempo per reagire è sempre più ridotto. In serata, il presidente russo Dmitrij Medvedev ha definito «inquietanti le previsioni della C.I.A..

Dall’Iran all’altro fronte, l’Afghanistan. Panetta, confermando le valutazioni di questi mesi, ha riconosciuto che la guerra «si è rivelata più dura e più lenta del previsto». La coalizione fa dei progressi ma la «chiave del conflitto— ha ribadito— sta nella capacità del governo afghano di accettare le sue responsabilità». E come tutti sanno il governo Karzai, su questo punto, è deficitario. Non ha autorità, non è credibile, è malato di corruzione e l’esercito non appare in grado di sostenere da solo le operazioni militari.

Dovendo analizzare la situazione afghana, Panetta si è soffermato sulla realtà Al Qaeda. Per la C.I.A. il nucleo del movimento è costituito da un numero ridotto di militanti: «Tra i 50 e i 100». Con Osama Bin Laden nascosto nell’area tribale pachistana, protetto da un apparato di sicurezza «formidabile». Un’indicazione peraltro vaga. Il direttore dell’intelligence, infatti, ha ripetuto che gli Usa non dispongono «da anni» di informazioni precise su dove si trovi il capo terrorista. Ma la caccia continua: «Con la pressione costante lo staneremo. Credo che finiremo per obbligare Bin Laden e Al Zawahiri ad uscire dai loro rifugi». Come? La C.I.A. conta molta sull’azione combinata di informatori sul campo e velivoli senza pilota armati di missili. Con queste incursioni ha eliminato molti esponenti di spicco— l’ultimo è stato l’egiziano Al Yazid — ed esercitato davvero una forte pressione sullo schieramento eversivo: «Noi siamo impegnati nella più aggressiva operazione nella storia della C.I.A. in questa parte di mondo».

Ma se la leadership tradizionale è in crisi, Panetta ha sottolineato che i qaedisti si affidano a militanti che non hanno un passato da terroristi e dunque sono difficili da scoprire. Un riferimento al nigeriano e al pachistano-americano protagonisti dei falliti attacchi negli Usa.

L’intervento del direttore C.I.A. fornirà munizioni a quanti sono pessimisti sull’andamento della missione in Afghanistan. Perché conferma che le condizioni per favorire non la vittoria ma almeno la stabilità sono davvero lontane. E la sostituzione del generale McChrystal ha confermato come sia complicato il compito dei generali, stretti tra le esigenze operative e le richieste dei politici, preoccupati di affondare nella palude afghana.

Guido Olimpio - " La visita dell’ammiraglio innervosisce gli ayatollah "


L'ammiraglio Mike Mullen con Gabi Ashkenazi, capo di Stato maggiore israeliano

WASHINGTON — Gli israeliani, parola del capo della Cia, hanno dato ancora tempo alla diplomazia per affrontare la questione iraniana. Ma, intanto, si preparano per il peggio, visto che pochi credono nella possibilità di risolvere la crisi. Ed è una catena di eventi che segnala l’intensità del momento.

Partiamo dall’ultimo. La visita — non programmata — del capo di stato maggiore statunitense, ammiraglio Michael Mullen, a Gerusalemme. Un incontro dedicato proprio al dossier Iran, con colloqui con alti ufficiali ed esponenti dell’intelligence. Uno dei tanti — quanto importanti — scambi di informazioni che hanno segnato l’ultimo anno. Anche se, come dice l’ambasciatore israeliano negli Usa, le posizioni su Teheran non convergono è chiaro che i due alleati cooperano «davanti a minacce e sfide». Per ora si affidano alle sanzioni, che tuttavia potrebbero essere seguite da qualcosa di più muscoloso.

E qui arriviamo agli altri sviluppi registrati in un arco di tempo che va dal 18 al 22 giugno. Alcuni sono dati certi, altri appartengono ad una deliberata manovra di disinformazione. Vediamo i dettagli. 1) Movimenti di forze speciali Usa e israeliane in Azerbaigian, al confine con l’Iran. 2) Presenza nel Golfo Persico di sottomarini israeliani dotati di missili da crociera. 3) Passaggio attraverso il canale di Suez di una task force Usa, guidata dalla portaerei Truman, diretta verso Hormuz. 4) Presunta sosta di aerei cargo israeliani in una base nel nord dell’Arabia Saudita: indiscrezione che segue un’altra notizia— smentita— sull’apertura dello spazio saudita ai caccia dello Stato ebraico. 5) Lancio di un satellite spia che permette a Israele di sorvegliare meglio l’Iran e i suoi impianti nucleari.

A Teheran, dove vivono con l’ossessione di un attacco esterno, hanno preso nota. E, come dicono fonti diplomatiche a Washington, sono «piuttosto nervosi». Infatti, aggiungono altri osservatori, hanno annullato l’operazione che prevedeva di violare il blocco di Gaza: uno stop imputato ai troppi ostacoli frapposti dall’Egitto. I mullah, forse, hanno capito che è meglio esser cauti. Tanto più se israeliani e americani si ritrovano per parlare di come gestire il caso Iran. L’ammiraglio Mullen non è tra i fan di un blitz— lo ha detto apertamente in passato — ma non è neppure una colomba. E quando a Gerusalemme sostengono che il nuovo satellite consente di vedere i dirigenti iraniani «mentre bevono il caffè turco», non è per sapere se è zuccherato o amaro.

Francesco Battistini : "  Israele studia l’attacco da una base saudita "

Secondo Francesco Battistini, la prossima mossa di netanyahu sarà "silurare il capo del Mossad, Meir Degan, bruciato due volte in pochi mesi, prima con l’assassinio a Dubai del capo di Hamas e poi con la strage dei pacifisti sulla Flotilla". Non esistono prove che dimostrino l'effettiva colpevolezza del Mossad per quanto riguarda l'omicidio di Dubai. La polizia continua a brancolare nel buio. Il fatto che il morto sia un terrorista di Hamas non implica che sia stato per forza il Mossad ad averlo ucciso.
Definire pacifisti i passeggeri della flotilla è impossibile. Da quando in qua un pacifista è armato? E poi lo scopo principale delle navi non era raggiungere la popolazione a Gaza, ma aiutare Hamas. Se la Mavi Marmara si fosse fermata al porto di Ashdod come avevano chiesto le autorità israeliane non ci sarebbe stato nessun incidente. Il blocco a Gaza è solo navale, gli aiuti, una volta controllati, possono passare via terra.
Ecco l'articolo:


Netanyahu

GERUSALEMME— Lamaledizione dei numeri pari. Per la guerra all’Iran, se verrà, si comincia dalla scaramanzia. Il nuovo satellite-spia lanciato in orbita qualche giorno fa, e che doveva chiamarsi Ofek 8, Ofek come orizzonte, all’ultimo ha cambiato nome: «Gli Ofek 4 e 6 sono stati un fallimento — spiegano all’Israel Aerospace Industries —, non potevamo permetterci altri errori. Meglio restare dispari...». Scelta giusta. Venerdì mattina, l’Ofek 9 ha cominciato a mandare immagini: «E’ la cosa più potente che abbiamo mai spedito nello spazio. Meglio degli Ofek 5 e 7 di tre anni fa; meglio del Tecsar del 2008, che monta il radar spaziale più potente del mondo; meglio dell’Eros-B e dei satelliti commerciali che collaborano con noi. L’Ofek 9 vede tutto. Fotografa oggetti di mezzo metro. Da qui, possiamo vedere che camicia s’è messo Ahmadinejad, capire se preferisce il tè o il caffè...».

Orizzonte di guerra. Le due bombe in due anni sono una rivelazione solo per la Cia: da una vita gl’israeliani scattano foto ai siti nucleari iraniani e siriani. Raccogliere prove, qui è diventato un obbiettivo secondario: l’intelligence pensa già all’opzione militare. Mercoledì, l’agenzia iraniana Fars ha fatto uscire la notizia: a 8 km da Tabuk, nel deserto saudita, l’Arabia ha prestato un eliporto alle squadriglie da combattimento con la Stella di Davide. I sauditi hanno negato, come qualche settimana fa quando il Times rivelò che Riad aveva concesso lo spazio aereo per un eventuale attacco a Teheran. Gl’israeliani sono stati zitti: e ieri, con una fonte anonima al Jerusalem

Post, hanno confermato più o meno tutto. Stessa storia per le navi nel Canale di Suez. Una decina di giorni fa, i pescatori della zona ne hanno contate una dozzina, dieci americane e un paio israeliane, prima che le motovedette egiziane li allontanassero: e se Il Cairo ha smentito tutto, hanno provveduto da Gerusalemme a smentire la smentita. «La copertura navale è il primo passo», dicono i militari israeliani: anche per questo, ai cantieri tedeschi della Blohm & Voss è arrivata l’ordinazione urgente di due navi da guerra, 300 milioni l’una.

Il credito di Obama è finito da un pezzo, sul fronte anti-Iran. Né i sauditi, né gl’israeliani credono più alle sanzioni economiche. I primi l’hanno detto per due volte e con rara chiarezza. I secondi lo fanno capire in ogni modo: Michael Oren, ambasciatore a Washington, s’è lasciato scappare qualche sera fa che «fra Israele e Obama ormai c’è una frattura tettonica» e il dialogo è impossibile. Netanyahu fa da sé. Prossima mossa: silurare il capo del Mossad, Meir Degan, bruciato due volte in pochi mesi, prima con l’assassinio a Dubai del capo di Hamas e poi con la strage dei pacifisti sulla Flotilla. Degan era una superspia, intoccabile: l’avevano definito (su Newsweek) «il peggior nemico dell’Iran». Ma per la peggiore guerra possibile, se ci sarà, errori non sono più ammessi. Nemmeno a uno come Degan.

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