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La Stampa Rassegna Stampa
28.06.2010 La difesa dal terrorismo viene prima di tutto
Obama pronto a 'spegnere' internet in caso di attacchi. Cronache e commenti di Vittorio Emanuele Parsi, Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 28 giugno 2010
Pagina: 1
Autore: Vittorio Emanuele Parsi - Francesco Semprini
Titolo: «Barack potrà spegenere internet - Obama potrà spegnere Internet - E' una legge assurda, impossibile applicarla»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/06/2010, a pag. 1-31, il commento di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo "Barack potrà spegenere internet", a pag. 9, la cronaca di Francesco Semprini dal titolo " Obama potrà spegnere Internet " e la sua intervista a Michael Wolff, veterano del giornalismo americano, esperto di «hi-tech» per il magazine specializzato «Wired», dal titolo " E' una legge assurda, impossibile applicarla  ".

La libertà d'espressione e la libertà di stampa sono due diritti da tutelare, ma la priorità rimane la sicurezza di uno Stato e la sua difesa dagli attacchi terroristici.
Ecco gli articoli:

Vittorio Emanuele Parsi : " Barack potrà spegenere internet "


Vittorio Emanuele Parsi

Nel caso di un attacco cibernetico che rischi di mettere in crisi la sicurezza (economica) nazionale, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, potrà «chiudere» la rete per un periodo di tre mesi senza dovere ottenere un’autorizzazione preventiva da parte del Congresso.
Questo è il testo approvato in Commissione del Senato, che con ogni probabilità passerà anche lo scrutinio dell’aula. Si tratta di un atto dalla forte valenza simbolica.
Neppure in seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre si era arrivati a prevedere che l’Esecutivo potesse «confiscare» il web ai suoi cittadini per un tempo così lungo con un semplice ordine presidenziale. Il periodo di 90 giorni richiama immediatamente un altro caso particolarmente delicato in cui l’esercizio dei poteri presidenziali conosce una forte discrezionalità. Si tratta della disposizione che prevede che il Presidente possa impiegare truppe americane in operazioni di guerra per 90 giorni senza dover passare da una formale autorizzazione del Congresso. E’ alla luce di una simile discrezionalità che è iniziato il coinvolgimento degli Usa in gran parte dei conflitti del secondo dopoguerra. Oggi che la rete potrebbe rappresentare il campo di battaglia del futuro, per molti aspetti altrettanto se non più pericoloso di quelli più consueti e tradizionali, gli Usa corrono ai ripari e mettono la difesa nazionale nelle condizioni di poter agire tempestivamente.
Che la minaccia cibernetica sia tutt’altro che un’ipotesi fantascientifica è attestato da una quantità di esperienze recenti e dall’evoluzione della stessa dottrina strategica della Nato. Negli anni passati la Lituania, membro dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica, fu sottoposta a un vero e proprio assalto cibernetico da parte russa. A loro volta, i servizi cinesi sono stati accusati dal governo britannico (tra gli altri) di aver tentato ripetutamente di violare siti della difesa e di imprese industriali collegate alla sicurezza nazionale. Lo stesso concetto strategico dell’Alleanza, in corso di revisione, prevede un incremento dell’attenzione dedicata alle contromisure in caso di attacchi cibernetici contro l’organizzazione e gli Stati membri.
D’altronde, però, è facile osservare che per la stessa natura world wide della rete, una chiusura dei provider americani produrrebbe conseguenze ben oltre i confini degli Stati Uniti. Eppure, ancora una volta, come accade con regolarità bipartisan dalla fine della Guerra Fredda (con l’eccezione dell’amministrazione del primo Bush), le implicazioni multilaterali delle soluzioni adottate unilateralmente vengono tenute in ben scarsa considerazione sulle rive del Potomac. Era così con George W. Bush e i suoi consiglieri neocon, e lo schema sembra riprodursi con Barack Obama e le sue teste d’uovo liberal.
Ma non è solo questo a destare inquietudine. È evidente che l’impatto di un simile provvedimento sulle libertà civili dei cittadini americani sarebbe molto superiore a quello che regola in maniera analoga l’invio di truppe combattenti all’estero. Da un lato resta da vedere come reagiranno l’opinione pubblica e le organizzazioni libertarie. Cosa avrebbero detto se la stessa norma fosse stata emanata durante l’amministrazione Bush? Dall’altro, occorre considerare schiettamente che tutto ciò segnala un ulteriore allontanamento tra gli Stati Uniti e l’Europa riguardo la scelta di quale sia il punto di equilibrio ottimale tra la tutela delle libertà individuali e dei diritti civili e la difesa della sicurezza collettiva. E, paradossalmente, avvicina gli Usa alla Cina, contro le cui politiche censorie della rete (ovviamente sempre adottate nel nome della sicurezza nazionale) si era pubblicamente e rumorosamente spesa la segretaria di Stato Hillary Clinton non molti mesi fa. È davvero paradossale che, in un’epoca segnata dall’evidente progressiva deoccidentalizzazione del mondo, un passo ulteriore in questa pericolosa direzione debba arrivare dagli Stati Uniti, creatori e massimi beneficiari del concetto politico di Occidente.

Francesco Semprini - " Obama potrà spegnere Internet "


Barack Obama

La Casa Bianca è pronta a ordinare il black-out forzato di Internet in caso di emergenza. È quanto prevede un provvedimento di legge approvato dalla Commissione per la Sicurezza nazionale e gli Affari governativi del Senato americano che conferisce al Presidente il potere di bloccare i circuiti della rete nel caso si presenti il rischio di «un cyber-attacco in grado di causare danni elevati e perdite di vite umane».
Il provvedimento prende il nome di «Protecting Cyberspace as a National Asset Act» (Pcnaa), ma è anche conosciuto come «Internet Kill Switch» (ovvero l’interruttore che uccide Internet) e coinvolge un certo numero di aziende del settore individuate dagli esperti del governo americano. In sostanza una serie di provider di servizio a banda larga, motori di ricerca e società produttrici di software, dovranno «immediatamente adeguarsi a ogni misura di sicurezza e di emergenza decisa dal dipartimento dell’Homeland Security», spiega la legge secondo cui ogni violazione sarà punita con multe e provvedimenti cautelativi.
L’idea da cui nasce il «Kill Switch» non è del tutto nuova. Una bozza di legge proposta in Senato lo scorso agosto già prevedeva il conferimento alla Casa Bianca del potere di «dichiarare lo stato di emergenza in materia di cyber-sicurezza», mentre un altro proposto nei mesi passati dal senatore democratico Jay Rockefeller e da quello repubblicano Olympia Snowe consentiva più semplicemente di chiudere alcuni siti Internet o network in caso di necessità. «Si tratta di un’autorità che permette al governo federale di tutelare reti virtuali, asset strategici e garantire la sicurezza del nostro Paese e della nostra gente», spiega il senatore Joe Lieberman, presidente della commissione per l’Homeland Security e tra i primi sostenitori del Pcnaa.
Ogni società operativa nei settori Internet, telefonia, o sistemi informativi degli Stati Uniti, iscritta nella lista strategica del governo sarà soggetta al controllo e sottoposta al comando del nuovo Centro nazionale di cyber-sicurezza e comunicazioni (Nccc) creato dall’Homeland Security per cui sono previsti pieni poteri. L’unica eccezione riguarda le intercettazione telefoniche, motivo di grande polemica durante la presidenza di George W. Bush a causa dei programmi segreti voluti dalla precedente amministrazione per la raccolta di informazioni senza la autorizzazione delle autorità giudiziarie. Su questo punto il provvedimento prevede che la Nccc non possa ordinare agli operatori di «condurre attività di sorveglianza» senza una chiara e precisa richiesta del giudice.
Alla Nccc viene invece conferito il potere di monitorare «lo stato di sicurezza» dei siti Internet privati, dei provider di banda larga e di altri componenti Internet. L’agenzia «deve sorvegliare sulla sicurezza» della porzione di Web all’interno del territorio degli Stati Uniti e inoltre di quelle che, sebbene siano fuori dal territorio nazionale, «possano causare danni significativi se danneggiate», spiega Lieberman.
Le misure di sicurezza richieste dal governo prevedono meccanismi di controllo degli hardware, linguaggio criptato o codificato, e tecniche di sorveglianza che abbiano ottenuto previa approvazione del direttore dell’agenzia. Quest’ultimo in caso di violazione può emettere un’ingiunzione e procedere con sanzioni. Per rendere alle aziende meno pesante e oneroso il provvedimento è stata introdotta l’immunità da qualsiasi causa civile. In sostanza se una società telefonica provoca danno ai propri clienti, o un provider interrompe le comunicazioni su richiesta delle autorità federali, non ne dovranno rispondere dinanzi al giudice civile. Allo stesso modo non sono previsti risarcimenti economici nel caso di danni causati in seguito a situazioni di cyber-emergenza. E’ stato tuttavia ridotto il tempo massimo per cui il Presidente può mantenere il controllo su Internet: il Presidente chiedere l’autorizzazione al Congresso per prolungare il black-out forzato della rete oltre i 120 giorni.

Francesco Semprini - " E' una legge assurda, impossibile applicarla "


Michael Wolff

Il Protecting Cyberspace National Asset Act è un provvedimento di legge assurd,o pensato da persone che non hanno nulla a che fare con la tecnologia, perché è impraticabile e lontano da ogni criterio tecnologico». Non usa mezzi termini Michael Wolff, veterano del giornalismo americano, esperto di «hi-tech» per il magazine specializzato «Wired».
Che cosa ne pensa dell’Internet Kill Switch?
«Solo a sentire il nome rabbrividisco. Lo trovo un provvedimento di legge assurdo, fatto da persone che non sanno nulla di tecnologia e basato su principi irrealizzabili».
Vuol dire che a Capitol Hill hanno preso un abbaglio?
«È sponsorizzato dal senatore Joseph Lieberman, che certamente non sa di Internet e di sistemi informatici, e che ha una serie di strane ossessioni in termini di sicurezza nazionale. Sono sicuro che certi politici non sanno nemmeno lontanamente capire le implicazioni che una legge del genere potrebbe avere».
Che cosa intende dire?
«Le persone che hanno messo a punto questo provvedimento non hanno la capacità tecnica di capire la differenza fra teoria e pratica, ovvero se questa legge è realizzabile o no».
Nella realtà esistono dei rischi tali da imporre un black-out della Rete?
«Non riesco proprio a immaginare quali possano essere. Circostanze del genere sono un soggetto interessante per qualche fiction di fantascienza».
Quanto potrebbe costare un provvedimento del genere?
«Non è possibile fare una stima, perché attuare una legge così significa impiegare una quantità indefinita di risorse. Poi occorrerà pensare alle conseguenze».
Quanti operatori potrebbe coinvolgere?
«Troppi. Pensiamo solo ai provider di banda larga, ai produttori di software, agli operatori del comparto Internet e alle migliaia di canali della rete Web. Il rischio poi è che non ci sia nessun potere reale di controllo di questi canali. È un provvedimento frutto della fantasia di Washington, non certo del pragmatismo del mondo della tecnologia».
Non rischia di essere anche una limitazione di libertà?
«Dal punto di vista legale potrebbero esserci delle contraddizioni, specie con alcuni contenuti della Costituzione. Ma ancor prima della legge, il problema è la fattibilità tecnica».
Che cosa succederà a questo provvedimento?
«Morirà a Capitol Hill. Non credo proprio che passerà, perché basta un dibattito un po’ più ampio e la consulenza di qualche esperto per far capire ai signori di Washington che si tratta di un’utopia».
E se dovesse passare, che conseguenze avrebbe?
«Il problema è che nessuno ha calcolato le potenziali conseguenze dell’applicazione di questa legge».
Il problema riguarderebbe solo gli Stati Uniti?
«È assurdo pensare ai sistemi informatici, a Internet e a tutto ciò che riguarda le tecnologie della comunicazione come a qualcosa che riguarda solo un Paese o una regione geografica».
Quindi sono tutti a rischio?
«Certamente. Basta pensare a Internet. Non per niente si chiama World Wide Web, e un black-out di quella che a Washington definiscono porzione statunitense avrebbe effetti nel resto del mondo».

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