Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/06/2010, a pag. 19, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Siria, in cella l'avvocato dei dissidenti ".
Bashar al Assad
A maggio, quando gli è stato simbolicamente assegnato «in contumacia» il premio internazionale Martin Ennals, sorta di Nobel per i diritti umani intitolato al primo segretario di Amnesty International, Muhanad al-Hassani aveva già trascorso oltre dieci mesi nel carcere di Adra, 20 chilometri a Nord-Est di Damasco, in attesa d’essere processato con l’accusa di vilipendio dello Stato. Mercoledì è arrivato il giudizio lapidario della corte: tre anni di reclusione per «indebolimento del sentimento nazionale», una formula utilizzata spesso per etichettare chi sfida frontalmente il regime siriano.Quarantaquattro anni, cofondatore della Syrian Organization for Human Rights (Sohr), l’avvocato più inviso al governo di Assad difende dal 2005 i principali dissidenti politici del Paese, compresi i 12 rappresentanti della famosa Dichiarazione di Damasco, la road map verso la democratizzazione e le riforme pacifiche sottoscritta nel 2005 da intellettuali, accademici e giornalisti siriani. Due anni fa la famigerata Sssc, la Corte suprema per la sicurezza di Stato, aveva arrestato «quella sporca dozzina» di attivisti capitanati dalla presidente Fida al-Hourani, rilasciata la settimana scorsa, spingendo il loro legale, Muhanad al-Hassani, sotto la luce impietosa dei polizieschi riflettori presidenziali.
«I criminali comuni vengono trattati con clemenza, Mohannad no», commenta il suo avvocato Abdallah Khalil. Secondo la Sohr insieme al proprio leader sarebbero stati condannati alla superpena di 12 anni altri 5 attivisti (Mahmoud Azizi, Yahia Hindawi, Rabii Duba, Abdelmalek Hammuda, Omar Osman) rei di aver costituito «un’associazione segreta con il proposito di sovvertire il carattere sociale e politico del Paese». Un’attività che comunque sembra avere un certo seguito nel Paese. Quando la Corte ha pronunciato il verdetto contro al-Hassani il pubblico si è alzato in piedi, si è rivolto verso il condannato, dentro la gabbia con altri imputati in attesa del giudizio, e gli ha tributato un lungo applauso di solidarietà. Molti erano ex detenuti politici che avevano passato lunghi anni in prigione per aver indebolito, come lui, «il sentimento nazionale».
Al-Hassani era in prigione la 28 luglio del 2007, per le sue attività a sostegno dei dissidenti. L’arresto era arrivato al culmine di una campagna estiva che doveva stroncare il debole germoglio del dissenso in Siria, criminalizzando i difensori dei diritti umani. Al-Hassani e gli altri vennero portati nella famigerata prigione di Adra, in condizioni dure, aspre, senza cure mediche adeguate. Standard da stato totalitario che si sono replicati paro paro nel processo, giudicato dalla Syrian Organization for Human Rights «privo delle condizioni minime e di qualsiasi criterio che fanno un processo giusto». L’organizzazione ha chiesto l’immediato rilascio di al-Hassani, una mossa tesa più all’opinione pubblica mondiale che al potere grigio e sordo della dinastia Hassad. La mobilitazione dei gruppi internazionali che difendono i diritti umani è già cominciata. I 20 mila franchi svizzeri del premio Martin Ennals, che vengono riconosciuto ogni anno «a chi difende con coraggio i diritti umani», serviranno a continuare la battagli in patria. Ma quello che conta è la rottura del silenzio. Per Amnesty al-Hassani è un «prigioniero politico» colpevole solo di aver mostrato il disprezzo della Siria per i diritti umani. E per difendere quelli degli altri ha perso i suoi.
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