Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra Tami Shem Tov
Traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi
Piemme Euro 18,00
Il valore straordinario della “memoria del bene” che mostra le possibilità di rigenerazione morale e offre alle vittime la speranza e la forza per continuare a vivere rappresenta la più importante eredità etica per le nuove generazioni, affinché il male possa essere combattuto ogni volta che si ripropone nella storia.
Ed è proprio “la memoria del bene” il tema dominante del primo libro pubblicato in Italia della scrittrice israeliana Tami Shem Tov, basato su una storia vera di sopravvivenza alla Shoah.
“Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra” affronta l’argomento dell’Olocausto senza mai menzionare l’orrore dei campi di sterminio, il dolore e le torture, offrendo anzi al lettore un messaggio positivo.
Quello di Tami Shem Tov è un racconto delicato, una piccola storia che sta dentro alla Grande Storia e che narra di un miracoloso lieto fine proprio come accadde, nella realtà, a Jacqueline una bambina ebrea di dieci anni sfuggita alla Shoah grazie alla rete della Resistenza e al coraggio di tre famiglie cristiane – i Domisse, i Cooymans e i Kohly - che a rischio della propria vita la tennero nascosta nella loro casa sotto falsa identità.
Nell’Olanda occupata del 1943 sono in vigore le leggi razziali che impediscono, con grande costernazione della piccola Jacqueline, “ai cani e agli ebrei” di accedere nei negozi, nei parchi pubblici e di salire sui treni.
Con l’approssimarsi della tragedia Jaap Van Der Hoeden, il capofamiglia, veterinario e uomo di scienza dotato di talento artistico, decide di lasciare Utrecht e insieme alla moglie Lien, gravemente ammalata, di nascondere i figli presso famiglie della Resistenza disposte a correre un simile rischio.
La piccola Jacqueline non solo dovrà abbandonare la sua città, la scuola e le amiche ma anche il suo nome: a lei e alla sorella Rachel i genitori spiegano che è necessario separarsi e che da allora dovranno fare “il gioco dei nomi”. Jacqueline diventa Lieneke e non dovrà mai rivelare a nessuno la sua vera identità. Mentre la sorella Hannie si nasconde in un convento, Rachel è ospite nella fattoria dello zio Everett e il fratello Bart diventa membro della Resistenza (“…forse trafugava informazioni o lettere”).
Dopo alcune settimane trascorse presso l’abitazione dei coniugi Domisse, “un medico e la sua consorte vecchi amici di famiglia”, nascosti in soffitta, Jaap e le figlie si devono separare perché la permanenza in quel luogo sta diventando troppo pericolosa.
Ricordandosi di un dottore che era stato all’università per un aggiornamento e gli aveva offerto il suo aiuto, Jaap trasferisce le figlie nel paesino di St. Oedenrode presso la famiglia Cooymans che le accoglie con un calore e un affetto che paiono ancor più preziosi in quei tempi bui.
Spacciandosi per cugine arrivate da Rotterdam, Lieneke e Fransije (il nuovo nome di Rachel) condividono la quotidianità dei ragazzi Cooymans, gli studi, la passeggiata quotidiana per irrobustire il corpo e le merende fino a quando Lieneke, che si è fatta apprezzare nella Chiesa del villaggio per la sua splendida voce, deve trasferirsi nuovamente, ma questa volta senza l’amata sorellina Rachel.
Papà Jaap che ha trovato rifugio in una fattoria, “lavorando nei campi, coltivando verdure a aiutando il padrone a curare gli animali”, accompagna Lieneke nel villaggio remoto di Den Ham dove vivrà in incognito presso la famiglia Kohly.
Da quel momento la piccola Lieneke trascorre il tempo coadiuvando il dottore e sua moglie Vonnette a preparare le medicine nel retro della farmacia; nonostante le premure e l’affetto che le riservano i coniugi Kohly, lontana dai suoi cari, si sente spesso sola e triste.
L’unico raggio di luce che illumina la sua esistenza in quel villaggio sperduto sono le lettere che il papà, divenuto “zio Jaap”, le scrive ogni mese, missive con disegni di fiori e animali, ricordi della loro vita felice a Utrecht che le riempiono il cuore e che lei legge più volte al riparo da tutti gli sguardi, memorizzandole perché dopo deve consegnarle a “zio Kohly” affinché le distrugga: nessuno le deve trovare, conservarle potrebbe mettere in pericolo la loro vita. Chi nasconde un ebreo viene immediatamente e pubblicamente passato per le armi.
Dopo aver imparato a memoria quelle lettere dolci e affettuose che la aiutano a sopportare la paura, la fame e la mancanza della sua famiglia, Lieneke mormora un tenero e consolatorio augurio: “Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra”.
E così accade veramente. Al termine della guerra la famiglia, scampata all’Olocausto, si trasferisce in Israele. I primi tempi nella nuova terra non sono facili: la nostalgia del suo paese, la mancanza della mamma morta in Olanda durante la guerra perché rimasta senza medicine per la sua malattia, la difficoltà di comunicare in una lingua straniera pesano come macigni nel cuore di Jacqueline.
Solo l’amicizia per il giovane Sasson che diventerà suo marito e l’esperienza nel kibbutz Degania le restituiranno quell’entusiasmo e quell’ottimismo che hanno sempre rappresentato la nota dominante del suo carattere gioioso.
Jacqueline Van Der Hoeden, che oggi si chiama Nili Goren e abita a Haifa, ha accolto con gioia la proposta di Tami Shem Tov di scrivere un romanzo sulla sua storia durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver visionato le carte relative alla vicenda, una raccolta di lettere del padre alla figlia conservata al museo del kibbutz Lohamei Hageta’ot, Tami si è recata più volte in Olanda per conoscere la famiglia e gli amici dell’anziana signora, prima di stendere la prima bozza del libro che ha commosso profondamente Nili: …”tutti i miei sentimenti di bambina erano di colpo riemersi grazie a quel libro”.
L’autrice che è nata a Kiryat Ono nel 1969 e ha lavorato per anni come giornalista scrive adesso a tempo pieno promuovendo attività didattiche presso le scuole.
Con il romanzo “Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra”, una storia struggente e delicata che enfatizza l’eroismo, la solidarietà e la bontà dell’animo umano anche in un periodo drammatico come quello del regime nazista, ha ricevuto il Premio Yad Vashem nel 2007 e il Ze’ev Prize nel 2008.
Utilizzando un registro linguistico adolescenziale che rende il libro adatto anche ad un pubblico giovanile, Tami Shem Tov ci regala un romanzo che delinea in modo magistrale la psicologia dei personaggi, una piccola storia dentro la Grande Storia e soprattutto un inno all’amore paterno e agli affetti familiari.
Giorgia Greco