Riportiamo dall'ESPRESSO n°25 del 18/06/2010, a pag. 52, l'articolo di Ferebeh Ghazi dal titolo " Vi racconto mia figlia Neda ", a pag. 54, l'articolo di Roberto Di Caro dal titolo " Ma il regime continua a uccidere ".
Ecco i due articoli:
Ferebeh Ghazi : " Vi racconto mia figlia Neda "
Neda Soltan
Un anno fa, il 20 giugno 2009, durante una manifestazione di piazza per contestare l'esito truccato delle elezioni presidenziali vinte da Mahmoud Ahmadinejad e per sostenere il leader dell'opposizione Mir Hossein Moussavi, nella via Kargar di Teheran, morì una ragazza, Neda Agha Soltan, 27 anni, ex studente di filosofia teologica, che voleva diventare una cantante. Si dice che Barack Obama pianse nella sala Ovale dopo aver visto su YouTube le immagini di Neda stesa sull'asfalto con gli occhi aperti. "Time" ha definito l'episodio "la morte in diretta più vista della storia dell'umanità". Quelle immagini sono diventate il simbolo della resistenza iraniana. A un anno dalla morte di Neda, sua madre Hajar Rostami Motlaq, cinquantenne, ha accettato per la prima volta di parlare della figlia e del suo profondo dolore.
Signora Rostami, è vero che lei per mesi si è rifiutata di vedere i filmati della morte di sua figlia?
"Avevo parlato di quei momenti diverse volte con il signor Panahi (il professore di musica che accompagnava Neda alla manifestazione, ndr). Panahi mi raccontò che avevano deciso di rientrare e si avviavano verso l'automobile, quando sentì uno sparo. Si girò e vide Neda per terra che diceva "signor Panahi, brucio". Queste sono state le ultime parole pronunciate da mia figlia. Ho trovato il coraggio di guardare il filmato solo otto mesi dopo. Da allora ogni volta che lo vedo temo di impazzire. Gli occhi aperti di Neda mi fanno impazzire. Quegli occhi aperti, il sangue che le esce dalla bocca, e le sue ultime parole hanno distrutto per sempre la mia esistenza".
Lei continua a ripetere che gli occhi di Neda rimarranno aperti fino a quando tutto ciò per cui si batteva non diventerà realtà. Che cosa voleva, che cosa sognava Neda?
"Neda cercava la libertà. Come donna, lottava per le libertà sociali e la dignità umana. Neda sosteneva che le donne e gli uomini erano uguali e si chiedeva perché in Iran le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini. Neda non riusciva ad accettare l'hijab obbligatorio. Neda si era iscritta alla facoltà di teologia e filosofia, e dopo tre semestri aveva scelto di abbandonare gli studi perché nella sua facoltà era obbligatorio indossare il chador. Mia figlia diceva sempre: "Che vita è quella dove uno, ogni volta che deve uscire, deve preoccuparsi di come vestirsi per non avere problemi? Perché ogni volta che uno va ad una festa deve convivere con il timore delle irruzioni della polizia?" Neda credeva nella parità tra i sessi e nella libertà, e proprio per questo aveva partecipato a tutte le manifestazioni organizzate prima e dopo il voto dell'anno scorso".
Si dice che sua figlia non avesse votato quel famoso 12 giugno delle elezioni contestate.
"È vero, ma non perché fosse favorevole al boicottaggio delle elezioni. Nel giorno del voto si era recata in tre seggi, ma in nessuno aveva trovato un rappresentante del candidato Mir Hossein Moussavi. Aveva protestato invano contro questa scorrettezza, e alla fine aveva deciso di non votare".
Subito dopo l'omicidio, lei ha presentato denuncia alla magistratura.
"Ho presentato denuncia perché voglio guardare in faccia l'assassino di Neda e chiedergli: "Perché l'hai colpita? Come l'hai colpita? Oggi come ti senti? Che cosa hai guadagnato dalla morte di mia figlia?". È un mio diritto, come cittadina di questo Paese, sapere chi ha impartito l'ordine di uccidere mia figlia e chi lo ha eseguito. Dopo un anno agli atti c'è solo il certificato di morte del medico legale che stabilisce: "Neda Agha Soltan è morta in seguito ad una ferita da arma da fuoco"".
È vero che ha subito delle pressioni per ritirare la denuncia?
"Non hanno mai avuto il coraggio di chiedermelo direttamente. Ho sempre detto, e ripeto, che non voglio né risarcimenti in denaro e nemmeno l'applicazione del "ghasas" (la legge del taglione in vigore nella Repubblica Islamica per cui la parte civile può chiedere la pena di morte per l'assassino di un proprio caro, ndr). Il signor Shahriari, giudice del Tribunale Penale di Teheran, mi ha consigliato di far richiesta di risarcimento. La mia risposta è stata che non un soldo entrerà in casa mia per la morte di Neda finché io sarò viva. Sono intenzionata a portare avanti l'azione legale fino all'ultimo giorno della mia vita. Se non sarà possibile ottenere giustizia in Iran, mi rivolgerò alle Nazioni Unite. Qualcuno dovrà dirmi chi ha ucciso mia figlia. Voglio guardare in faccia l'assassino di Neda. Mia figlia non aveva commesso nessun reato, manifestava solo per i suoi diritti riconosciuti dalla legge".
È vero che non le hanno consegnato nemmeno gli abiti che Neda indossava nel giorno in cui fu uccisa?
"Più volte mi sono rivolta ai responsabili dell'ospedale Shariati per riavere gli abiti di Neda, e solo mesi dopo mi hanno detto che erano stati bruciati. Di tutto quello che indossava Neda il 20 giugno si è salvato solo il suo foulard insanguinato, che è stato preso da un giovane, e spero che almeno un giorno quel giovane mi ridia il foulard, l'unico ricordo che mi rimane di Neda".
Può raccontarci dell'ultima volta che ha visto sua figlia?
"La sera prima Neda ebbe un incubo e si svegliò in piena notte dicendo che aveva sognato di essere in un campo di battaglia. Il pomeriggio di quel sabato maledetto, mentre si preparava per andare alla manifestazione, le chiesi di rimanere a casa. Il giorno prima avevano sparato sui manifestanti e temevo per la sua vita. Mi rispose che tutti quelli che andavano alla manifestazione avevano un padre e una madre. Anche suo fratello Mohammad e sua sorella Hoda cercarono di convincerla a non andare, ma lei, testarda com'era, uscì per l'ultima volta dalla porta della nostra casa. Prima di morire, Neda mi chiamò due volte. La prima volta le chiesi cosa succedeva. Mi rispose: "Certo non distribuiscono baci e carezze". Nell'ultima chiamata mi disse che si erano rifugiati in un laboratorio di analisi perché fuori l'aria era irrespirabile per quanti lacrimogeni avevano sparato".
Quando ha saputo che Neda era stata uccisa?
"Un quarto d'ora dopo l'ultima telefonata, mi chiamò il signor Panahi: mi disse che Neda era stata ferita a una gamba e trasferita all'ospedale Shariati. Mentre entravo in ospedale vidi un giovane uscire con il foulard insanguinato di Neda, subito dopo la faccia impietrita di mio figlio Mohammad, e i fiumi di lacrime di mia figlia Hoda".
Quando vi è stato consegnato il corpo senza vita vi erano segni di un'autopsia?
"Nessuna autopsia, avevano solo estratto la pallottola, per non lasciare nessuna prova".
Poi non siete riusciti a trovare nessuna moschea disposta a celebrare i funerali.
"Quando abbiamo seppellito il corpo di Neda, il cimitero era praticamente occupato dalle forze speciali. Ci siamo rivolti a due moschee, ma la risposta è stata la stessa: il ministero dell'Intelligence ha proibito i funerali dei morti per la protesta. Una settimana dopo abbiamo trovato una moschea disposta ad ospitarci, ma siamo stati costretti a cancellare la cerimonia per evitare scontri tra i partecipanti e le forze di sicurezza".
È vero che più volte è stata distrutta la tomba di Neda?
"Tre mesi dopo la morte di Neda ricevetti la chiamata di un amico che diceva di non recarmi al cimitero, come faccio tutte le settimane, perché avevano distrutto la pietra tombale provvisoria. Da allora per altre tre volte hanno distrutto la tomba. L'ultima volta ho deciso di non riparare la pietra tombale, perché sono convinta che il nome di Neda sia scolpito nel cuore della gente".
Com'è la sua vita, e quella della sua famiglia, senza Neda?
"Io, come il padre di Neda, suo fratello e sua sorella, non riusciamo ad accettare che Neda non ci sia più. Mi manca Neda, mi manca la sua voce e mi manca il suo sorriso. Neda aveva un bellissimo sorriso. Ogni mezzogiorno guardo la porta e aspetto che Neda entri e mi chieda: "Mamma cosa c'è oggi a pranzo?"".
Signora Rostami, so che è stato molto doloroso per lei ricordare sua figlia, ma che cosa prova, un anno dopo?
"Sento di dover ringraziare tutti i miei concittadini che si recano ogni giorno sulla tomba di Neda, pur sapendo che sono fotografati e schedati. Vorrei ringraziare tutti gli iraniani all'estero che hanno fatto di mia figlia un simbolo internazionale. Vorrei ringraziare tutti quegli artisti che hanno immortalato Neda con le loro opere. Vorrei ringraziare il sindaco di Milano che ha piantato un albero in ricordo di mia figlia. Vorrei ringraziare tutti quei cantanti che hanno reso immortale il nome di Neda. Di tutti i versi di queste canzoni, due mi hanno colpito. Una dice: "La libertà chiede sangue e Neda ha innaffiato l'albero della libertà". L'altro recita: "Neda non temere, Neda rimani con noi". Per me è un grande onore, anche se un onore accompagnato da un più grande dolore, che il nome di Neda sia oggi sinonimo di libertà".
Roberto Di Caro : " Ma il regime continua a uccidere "
La vita di una persona diventa evanescente, quando una morte violenta la trasforma in un simbolo. Ma Neda era una persona reale, una donna di 27 anni sposata e divorziata che stava per sposarsi di nuovo; che aveva lasciato la facoltà di teologia perché non sopportava più l'obbligo di indossare il chador; e che quel giorno, il 20 giugno di un anno fa, in piazza a protestare era andata per scelta e convinzione. È di questa Neda che parla qui sua madre, Hajar Rostami Motlaq.
Per la domenica in cui cadrà l'anniversario, la signora ha chiesto agli iraniani di portare un fiore sulla Khiaban Kargar, la via dei lavoratori, nel punto dove Neda venne assassinata da un membro dei basiji, le squadracce del regime. Era prevista una manifestazione dell'Onda Verde: ne avevano fatto richiesta ufficiale gli otto partiti che sostenevano Mir-Hossein Moussavi e Mehdi Kharroubi, i candidati cancellati dai brogli. La legge iraniana prevede si debbano dichiarare in anticipo gli slogan che saranno scanditi. Non ci saranno slogan, sarà una manifestazione silenziosa, hanno scritto i richiedenti sull'apposito modulo. La risposta è stata che non poteva essere autorizzata perché la legge non prevede il caso di manifestazioni silenziose.
L'episodio, quell'ipocrita e sprezzante motivazione del diniego e l'irrisione che ostenta, dà la misura di che cosa sia oggi il regime di Mahmoud Ahmadinejad: un regime poliziesco che in un anno ha fatto 50 morti per le strade (dati del governo, 70 secondo la Lega iraniana per i diritti umani), ha condannato a morte 15 giovani per le proteste, 7 li ha già impiccati, altri ancora figurano come delinquenti comuni nella lista delle 115 esecuzioni capitali effettuate solo da gennaio a oggi. Da 400 a 800 sono ancora i detenuti per le manifestazioni dell'Onda Verde. Chiuso, dopo tre morti "sospette", il centro di detenzione di Kahrizak dei servizi segreti dei Pasdaran, l'esercito rivoluzionario, torture, stupri e violenze su uomini e donne sono continuati in altre carceri, le segnalazioni si moltiplicano. Tutti i giornali non allineati sono stati chiusi e centinaia di siti Internet oscurati, 170 giornalisti sono stati arrestati, 37 sono tuttora detenuti, un centinaio hanno lasciato il Paese.
In quale contesto tutto ciò avviene è presto detto. La crisi economica e la corruzione governativa hanno fatto chiudere per bancarotta un numero impressionante di imprese. Scioperi e proteste sindacali si segnalano alla metropolitana di Teheran, alla grande acciaieria di Isfahan, nella raffineria di Abadan, a Shiraz e altrove. Il malcontento serpeggia tra gli stessi vertici dei Pasdaran, i maggiori beneficiari delle privatizzazioni e i veri detentori della macchina repressiva. L'Onda Verde, è vero, non ha una leadership credibile e determinata: Moussavi e Kharroubi sono probabilmente ancora troppo legati alla mitologia khomeinista per poterlo diventare davvero. Ma è definitivamente crollata la facciata di una Repubblica islamica in grado di bilanciare riformisti e conservatori: la Guida Suprema Ali Khamenei non è più un arbitro per nessuno, ma solo il garante di un potere che
non conosceva tanta ferocia dai tempi in cui, nella guerra degli otto anni con l'Iraq, a migliaia si mandavano i bambini a morire sui campi minati per spianare
la strada ai difensori della Grande Rivoluzione Islamica.
Per inviare la propria opinione all'Espresso, cliccare sull'e-mail sottostante