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Riportiamo da LIBERO di oggi, 18/06/2010, a pag. 19, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " Ebrei senza patria ma col diritto di voto: sogno irrealizzabile ".
LA SALITA A SION Chi sostiene che tutto si risolverebbe con il ritorno in massa degli ebrei in Terra d’Israele, dice una mezza verità. Teoricamente è possibile, in pratica no, dopo duemila anni di dispersione in tutto il mondo, unnuovo sradicamento presenta, per coloro che continuano a viverne lontano, problemi che richiedono diverse generazioni per poter essere risolti con una alià (la salita a Sion, il ritorno) di massa. Israele ha oggi circa sette milioni di abitanti, dei quali circa sei ebrei, nel resto del mondo il numero è quasi eguale, preponderante negli Stati Uniti con circa cinque milioni. È indubbio che Israele ha un posto particolare in ogni ebreo, poco importa chi è al governo della Knesset, persino le divisioni tra laici e religiosi, così fortida mandareall’aria i governi, si ricompongono quando un pericolo minaccia la sicurezza di tutti, e il sentirsi ebreo, qui o là, ritorna ad essere il collante che tiene unito un popolo. IL PESO DEI NUMERI Ma, ha scritto Elkann, sei milioni sono la metà di dodici, se i cittadini d’Israele fossero il doppio, anche il peso dello Stato raddoppierebbe, chi vive in altri Stati potrebbe continuare a viverci, ma con un diverso senso di responsabilità, «i nostri nemici e detrattori ci rispetterebbero di più, se fossimo tutti uniti nell’idea che Israele e gli ebrei sono una cosa sola», ha dichiarato, aggiungendo che non è indispensabile che tutti debbano andare a vivere in Israele, potrebbero andarci ogni tanto, ma intanto potrebbero esercitare, tra gli altri, anche il diritto di voto, sentendosi così parte integrante della società israeliana. È stato sicuramente per amore di Israele che Elkann ha pensato a questo progetto, quasi un omaggio ai forti sentimenti sionisti di sua madre, al cui ricordo ha dedicato l’ ultimo libro dal titolo “Nonna Carla”, ma l’amore, quando affronta la realtà, rischia grosso. Come si può votare per il governo di uno Stato, quando si vive in un altro ? Gli ebrei della diaspora vivono in Stati nei quali il servizio militare è da tempo non più obbligatorio, e l’ultimo ricordo di una guerra è fermo al 1945. In Israele no, tutti, uomini e donne, fanno il militare, dal ’48 più di ventimila giovani non hanno fatto in tempo a vivere la loro vita perchè sono stati uccisi dagli arabi per difendere la loro patria. Chi vive in un paese dove la guerra la vede solo al cinema, imbraccerà un fucile se Israele chiama ? Da lontano, pur con tutta la dedizione e l’amore possibile, le parole hanno un significato diverso. Ha scritto Amos Oz in quel bellissimo romanzo “Storie di amore e tenebra”: «Noi gli spareremo, se verranno a spararci addosso, non perché sono un popolo di assassini,maper la semplice ragione che anche noi vogliamo vivere, e per la altrettanto semplice ragione che non solo loro, ma anche noi vogliamo una patria». SACROSANTO ORGOGLIO Il dialogo è una gran bella cosa, ma se qualcuno minaccia di ucciderti, non hai scelta, devi difenderti, ed allora devi conoscere bene quelli ai quali dovrai delegare il tuo futuro e quello dei tuoi figli. Accetterà Israele di farsi guidare politicamente da un 50% che vive al di fuori dei suoi confini ? La proposta è però provocatoriamente interessante, come l’ha definita anche Bernard- Henri Lévy, pur senza condivderla, questo voler sentire più forte il legame con Israele, potrebbe contribuire a rendere meno ambiguo il rapporto degli ebrei della diaspora con lo Stato ebraico. Invece di cercare spesso elementi che ne specifichino le differenze, allontanando anche il solo sospetto che si tratti di una patria comune, il “siamo tutti israeliani” di Elkann può riportare a galla quel sacrosanto orgoglio che tutti hanno provato quando David Ben Gurion, nell’or - mai lontano 14 maggio 1948, proclamò la nascita dello Stato di Israele. |
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