Cari amici, i giornali di oggi titolano tutti qualcosa come "Israele allenta il blocco di Gaza, ma a Hamas non basta". Naturalmente è solo Israele a bloccare Hamas, anche l'Egitto fa la sua parte perché considera pericoloso il movimento islamista. Per esempio l'altro giorno ha bloccato un convoglio di soccorsi algerino, ma nessun giornale italiano ne ha proprio parlato. (http://www.raymondcook.net/blog/index.php/2010/06/14/gaza-aid-blocked-by-egypt/). E anche l'Autorità Palestinese, sotto le sparate propagandistiche, è favorevole a ogni azione che limiti l'avanzata di Hamas. Ma naturalmente l'Egitto non conta perché è arabo e l'AP è sempre lodevole, "a prescindere". Hamas poi non sarà mai soddisfatta fino a che potrà conquistare all'Islam, armi alla mano, tutto il territorio fra il fiume e il mare. Figuratevi se dice che va bene. La sua insoddisfazione si comprende, le servono cannoni e bombe, di materassi, giocattoli e cioccolata non sa che farsene.
Ma la polemica non è su questo, di armi non si parla. Semmai di "aiuti a una popolazione allo stremo", di "crisi umanitaria": lo dicono gli arabi, naturalmente, per cui ogni cosa che danneggi Israele è non solo giusta ma anche vera; lo dicono i politici di Eurabia e le Ong che vivono dei soldi che passano loro i governi europei e la stampa che beve tutte queste cose. Nella speranza di riportare le cose alla loro dimensione concreta, vi do un paio di dati sulla "crisi umanitaria" di Gaza, così per rifletterci. Nei giorni dal 2 all'8 maggio, dunque ben prima della sceneggiata della flottiglia, sono entrati a Gaza dai valichi israeliani i seguenti materiali:
1.535.777 litri di nafta per la centrale elettrica, 293.796 litri di carburante diesel per macchine e camion 917 tonnellate di gas da cucina, 76 camion de frutta e verdura, 91 camion di farina, 33 camion di carne e pesce, 39 camion di latte e latticini, 112 camion di mangimi animali, 26 camion di prodotti per l'igiene, 48 camion di indumenti e calzature, 30 camion di zucchero, 7 camion di medicine e materiali medici, 1 camion di latte in polvere e cibo per neonati. Inoltre 370 pazienti e accompagnatori sono entrati in israele per ricevere cure mediche, 93 altri palestinesi sono entrati in Israele per altri motivi, 191 membri di ONG sono passati in una direzione e 192 nell'altra. (http://www.leblogdrzz.over-blog.com/article-gaza-blocus-vous-avez-dit-blocus-50293623.html) Certo, mancano le armi, ma non è male come "blocco", "assedio", "punizione collettiva", no?
E qual è il risultato di questa crudele politica di fame e isolamento? Lo si ricava da qualche dato pubblicato da un articolo del Wall Steet Journal del 14 giugno scorso. La mortalità infantile è un buon test del livello sanitario di un paese: in Israele, dice l'autorevole giornale economico, è del 4,17 per mille nati: un livello analogo a quello dei principali paesi occidentali. In Sudan la proporzione è 78,1 per mille, venti volte tanto. E a Gaza? La proporzione è molto più alta che in Israele, bisogna ammettere, del 17,71 per mille. Ma aspettate ad indignarvi, perché il dato rientra perfettamente nella media della regione. In Turchia, per esempio, che vuol diventare la superpotenza del Medio Oriente, il tasso di mortalità infantile è del 24,84 per mille. Sì, se doveste nascere di nuovo sarebbe più sicuro farlo a Gaza che in Turchia. Lo stesso accade per la speranza di vita generica, un indicatore che riassume tutti i problemi sanitari e gli altri ostacoli alla sopravvivenza. Nonostante guerre e terrorismo a Gaza un neonato può aspettarsi di vivere in media 73,68 anni, una mezza dozzina meno che in Italia. In Turchia 72,23 anni: nella aspirante superpotenza regionale si sopravvive significativamente di meno che nella povera, isolata, assediata, punita Gaza. Anche in questo caso una scelta razionale non vi porterebbe a scegliere di nascere in un villaggio dell'Anatolia o in un edificio popolare di Ankara ma nella "prigione a cielo aperto" di Gaza. Forse varrebbe la pena di pensarci: organizziamo una flottiglia medica per Istanbul?