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La Stampa Rassegna Stampa
14.06.2010 Le reazioni alla proposta di Alain Elkann
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 14 giugno 2010
Pagina: 16
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Cittadini di Israele tutti gli ebrei? Utile provocazione»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/06/2010, a pag. 16, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Cittadini di Israele tutti gli ebrei? Utile provocazione ".


Riccardo Pacifici, Alain Elkann

A leggere oggi l’appello di Alain Elkann, il presidente della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici ha l’impressione che si compia un ciclo. «Non solo sottoscrivo la proposta d’estendere la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei al punto che ne parlerò al Congresso nazionale il 5 dicembre, ma mi ricorda piacevolmente la strada percorsa da quando nel ’93 fondai il gruppo “Per Israele” per emancipare la vecchia leadership dalla paura di pronunciarsi su Israele», spiega. Sebbene l’idea sia «di complicata fattibilità», lo convince per due ragioni: «Da una parte scioglierebbe il nodo della doppia lealtà di noi ebrei che potremmo così essere fedeli a Israele e all’Italia, di cui siamo fieri. Dall’altra ci consentirebbe d’intervenire, con il diritto di voto e il dovere di pagare le tasse, nella vita d’Israele, nelle cui sorti la diaspora è quotidianamente coinvolta».
La provocazione intellettuale di Elkann accende il dibattito nel mondo ebraico, italiano e non solo. Da Israele Aharon Appelfeld, memoria storica e letteraria della Shoah, accoglie con favore la «bella intuizione d’assimilare le identità». A Parigi, il filosofo Bernard-Henri Lévy, che ha rilanciato la proposta sulla rivista online «La règle du jeu», riconosce al suo autore «il merito d’aver messo a fuoco il problema». Qualcuno deve pur gridare che l’imperatore è nudo: «Ho pubblicato l’appello perché, sebbene controverso, è bello, coraggioso e sintomatico dei tempi difficili che vivono gli ebrei d’Europa. Personalmente non sono d’accordo, credo che ci siano altri mezzi per esprimere i propri legami con Israele, ma rivela un malessere reale».
La comunità italiana annuisce: davanti all’abitudine diffusa di criticare con Israele l’intero popolo ebraico, chissà che non valga davvero la pena unificare le cose. Mentre però Pacifici ipotizza che accanto ai deputati arabi «non proprio nazionalisti» della Knesset sieda qualcuno della diaspora, altri si fermano un passo indietro. «Premessa la sacrosanta difesa d’Israele, sono perplesso perché diventare israeliani significherebbe interferire in questioni interne sulle quali, da fuori, sono impreparato» ammette il presidente della comunità di Milano Roberto Jarach. Un parere condiviso dal leader dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che apprezza «il pungolo» di Elkann ma ne obietta la realizzabilità «anche rispetto al diritto degli israeliani d’essere artefici della realtà in cui sono immersi». Molto meglio cominciare dall’abc, aggiunge il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: «Colgo nell’appello l’antica passione ebraica di collezionare passaporti contro la paura genetica che qualche porta si chiuda, ma suggerirei d’imparare prima la lingua ebraica».
Le provocazioni favoriscono il confronto, sostiene Tobia Zevi, fondatore dell’associazione di cultura ebraica Hans Jonas: «La comunità ebraica italiana ha una storia millenaria e una vicinanza sentimentale a Israele, ma non bisogna mescolare i ruoli: la diaspora serve a Israele in modo dialettico e l’esperienza degli ebrei italiani è tanto più utile in una società che diventa multietnica». Anche perché, nota lo storico David Bidussa, «è riduttivo confondere la politica di un paese con la cultura che produce per chi è dentro e per chi è fuori». Troppo facile? «Nel caso d’Israele non si giudica mai la responsabilità di uno stato sovrano ma gli ebrei» chiosa Sarah Kaminski, israeliana trapiantata a Torino, dove insegna letteratura ebraica. Per questo, «grazie Elkann».

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