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La Repubblica Rassegna Stampa
13.06.2010 Iran, anniversario della rivolta: di chi è la colpa del fallimento ?
L'analisi monca di Renzo Guolo

Testata: La Repubblica
Data: 13 giugno 2010
Pagina: 25
Autore: Renzo Guolo
Titolo: «Teheran un anno dopo»

Non aggiungono nulla di nuovo le analisi accademiche di Renzo Guolo. Più interessante è invece quanto viene omesso o sottaciuto.
Su REPUBBLICA di oggi, 13/06/2010, a pag. 25, con il titolo "Teheran un anno dopo", Guolo ignora completamente il mutato atteggiamento della politica americana dopo l'arrivo al potere di Barack Obama. Il quale ha, sì, preso una misura forte nei confronti dell'Iran, che però è consistita nel taglio degli aiuti econonomici a tutte le organizzazioni, in America e in Iran, che si oppongono al regime degli ayatollah.
Presentare poi le sanzioni di Obama come un fattore importante del cambiamento di regime è un errore grossolano, perché non tiene conto della loro totale inutilità.
Se la protesta di ieri è sostanzialmente fallita, la responsabilità è tutta occidentale. Ma questo Guolo si guarda bene dallo scriverlo.
Ecco l'articolo:


Renzo Guolo

Un anno dopo l´ordine del terrore regna a Teheran. Nell´anniversario del colpo di stato nelle urne, niente manifestazioni di massa come quelle seguite al 12 giugno. A scendere in piazza solo studenti, presto attaccati dalle milizie.
La durissima repressione del regime, centinaia di morti e cinquemila oppositori gettati nelle carceri, ha in questi mesi indebolito l´opposizione, divisa tra pulsioni a un eroico ma impari scontro risolutivo e tatticismi imputabili, più che a una realistica valutazione dei rapporti di forza, al suo essere parte di "sistema" e parte estranea al "sistema". Lo si è visto anche in questa prima ricorrenza della vittoria rubata, con Moussavi e Karoubi, leader visibili ma non certo indiscussi, che invitavano l´Onda a non cadere nella trappola dello scontro preparata da Pasdaran e Basij. Le milizie erano decise a stroncare nel sangue la protesta; mirando, in tal modo, anche a ribaltare il compromesso stabilitosi, nell´eterno gioco delle fazioni e tra leader storici di regime, tra Khamenei e il regista occulto della transizione mancata, Rafsanjani. Il lungo silenzio del potente leader dell´Assemblea degli Esperti, giunto dopo le sue pesanti accuse contro il nocciolo duro del regime e dopo il tentativo di schierare contro lo stesso Khamenei l´alto clero di Qom, ostile a una Guida alla quale non ha mai riconosciuto piena legittimità a occupare il gradino più alto della ierocrazia sciita, è il frutto avvelenato di quel compromesso tra guardinghi nemici. Nella tempesta della repressione, Rafsanjani ha ottenuto dalla Guida la garanzia che non verrà toccato, né lo saranno la sua famiglia e i suoi cospicui interessi economici; indenni, se non supereranno certi limiti, rimarranno anche i leader dell´opposizione che egli ha sponsorizzato. In cambio il leader dei pragmatici ha adottato un basso profilo, facendo venire meno all´Onda quella sponda politica interna al sistema che avrebbe potuto aprire crepe insanabili; restando, così, in attesa di tempi più propizi o di una soluzione "biopolitica" della crisi di regime. Nel momento in cui Khamenei venisse a mancare, Rafsanjani sbarrerebbe la strada, o personalmente o attraverso una leadership collettiva prevista dall´ordinamento se non emerge una successione carismatica, ai progetti dell´entourage della Guida, in particolare del figlio Mojtaba. Un equilibrio ambiguo e fragile, che molti vogliono far collare: a partire dal sempre più influente "partito dei militari". Una partita in cui la posta in gioco è lo scioglimento, o il permanere, di quel vero e proprio ossimoro politico costituito dalla Repubblica Islamica. Con i turbanti ultraconservatori legati a Khamenei convinti che le istituzioni repubblicane siano un debito pagato erroneamente da Khomeini al pluralismo iniziale dello schieramento rivoluzionario; con i radicali in elmetto ostili al fazionalismo che sostituisce il multipartitismo, percepito come minaccia all´eredità ideologica della Rivoluzione.
Un nodo che, nonostante la repressione del dopo 12 giugno e la tentazione delle milizie di tagliarlo gordianamente con la spada, non è ancora del tutto sciolto. Situazione che fa ripiegare i leader dell´opposizione su posizioni che l´ala più impaziente del movimento giudica di deleterio attendismo. Divisioni che rivelano un movimento senza leader ma anche leader senza movimento. In questo impotente anniversario, non certo scandito da febbrili giorni senza giorno e notti senza notte come nel tragico giugno di Neda, non è un caso che le voci più forti siano state quelle, critiche, contro Moussavi e Karoubi, che dopo la decisione delle autorità di vietare le manifestazioni hanno invitato l´Onda a non andare in piazza. Una rivolta, sintetizzata dallo slogan «Un popolo oppresso non chiede il permesso di manifestare!», presto dilagato sul web. Fratture superabili, se si intravedesse una strategia di cui, però, non c´è traccia. Un limite vero. Tanto più nel momento in cui, sia pure cercando di non offrire spazi al mai sopito, trasversale, nazionalismo iraniano, Obama opera una revisione della politica della mano tesa verso Teheran, visibile già nell´inasprimento delle sanzioni sul nucleare, manifestando appoggio all´opposizione.
Movimento, quello dell´Onda, che si infrange contro il duplice scoglio della sua irrisolta natura e della forza altrui; mentre il "partito dei militari" cerca di rendere irreversibile l´alleanza con un Khamenei che non può più fare a meno del suo sostegno pretoriano e mobilitando il paese contro il provvidenziale "Nemico esterno".

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