Abu Mazen da Obama: un viaggio inutile La cronaca e l'intervista di Maurizio Molinari. Francesca Paci intervista Hafez Barghouti
Testata: La Stampa Data: 12 giugno 2010 Pagina: 19 Autore: Maurizio Molinari, Francesca Paci Titolo: «Abu Mazen: i due Stati sono un sogno-Il negoziatore Usa: Per una vera pace mancano leader forti-La voce di Fatah: Se salta la trattativa Israele sparisce»
Sulla STAMPA di oggi, 12/06/2010, a pag. 19, i servizi di Maurizio Molinari sulla visita di Abu Mazen a Washington, con un'intervista al politologo statunitense Aaron David Miller, vicino alle posizioni democratiche Carter-Clinton. Segue un'intervista di Francesca Paci a Hafez Barghouti, direttore del quotidiano Al Hayat Al Jadida di Ramallah, dal curioso titolo "La voce di Fatah: Se salta la trattativa Israele sparisce". Ci deve essere un errore di sostituzione, sfuggito a chi lo ha composto, al posto di Israele avrebbe dovuto esserci la parola Fatah. Ecco gli articoli:
Maurizio Molinari: "Abu Mazen: i due Stati sono un sogno"
Abu Mazen
«Le speranze per una soluzione della crisi in Medio Oriente basata sui due Stati stanno svanendo». E’ il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen ad alzare il velo su quanto sta maturando sul terreno in Medio Oriente, a dispetto degli sforzi diplomatici. L’occasione è una tavola rotonda alla Brookings Institution di Washington, il centro studi più vicino alla politica estera dell’amministrazione, all’indomani dell’incontro con Barack Obama nello Studio Ovale. Se nelle dichiarazioni fatte alla Casa Bianca Abu Mazen era rimastro nel quadro negoziale basato sugli accordi di Oslo del 1993, l’ambiente informale gli consente di parlare con maggiore libertà e dunque porta il ragionamento in ben altre direzione: «Il concetto della nascita di uno Stato palestinese a fianco di Israele in pace e sicurezza temo si stia iniziando ad erodere» e «il mondo incomincia a dubitare della possibilità di raggiungere questa soluzione». Nei mesi passati era stato il governo israeliano a far trapelare dubbi sulla fattibilità del progetto dei due Stati attorno al quale Bill Clinton siglò nel giardino delle rose della Casa Bianca l’intesa fra Yizhak Rabin e Yasser Arafat il 13 settembre 1993 ma ora è Abu Mazen che dice: «Da un po’ di tempo ascoltiamo slogan nella Cisgiordania che invocano la soluzione di “Un solo Stato” anche se né noi, né gli israeliani non la vogliamo». Alla base di queste «opinioni sempre più diffuse - ha spiegato - ci sono le difficoltà di raggiungere intese con Israele sulle due questioni iniziali, confini e sicurezza» senza contare che sullo sfondo restano le «significative divergenze» sullo status di Gerusalemme, il ritorno dei rifugiati palestinesi del 1948 e la suddivisione delle risorse naturali, a cominciare dell’acqua. «Ne abbiamo parlato a lungo anche con Ehud Olmert quando era premier senza riuscire ad accordarci e poi il governo di Kadima è caduto» ha sottolineato, facendo trapelare un evidente scetticismo. L’intervento di Abu Mazen ha colto di sorpresa molti dei presenti - incluso Martin Indyk, ex ambasciatore Usa in Israele ascoltato consigliere del presidente Obama - che si aspettavano un discorso incentrato sull’agenda dei «negoziati indiretti» con Israele e sulla possibilità che Washington presenti in autunno un proprio piano di pace. «Le speranze di arrivare ad una conclusione del conflitto sulla base della soluzione dei due Stati stanno svanendo» ha invece continuato a insistere il successore di Arafat, definendo la situazione «estremamente difficile» perché «è impossibile non ascoltare la voce di chi ritiene che questa strada non sia più percorribile». Senza contare che un altro fronte di instabilità è la situazione a Gaza dove «i leader di Hamas sotto l’influenza dell’Iran esercitano una sorta di veto su ogni possibile riconciliazione politica auspicata dai capi di Hamas che vivono invece dentro la Striscia». Mostrandosi preoccupato per le tensioni fra palestinesi, Abu Mazen si è soffermato anche su un altro aspetto del problema: «E’ vero che dentro Fatah ci sono persone contrarie all’operato del primo ministro Salam Fayad, del quale Hamas non vuole neanche sentir pronunciare il nome ma a me tutto ciò non interessa e continuo ad avere completa fiducia». La franchezza dell’esposizione dei problemi solleva ora l’interrogativo su quali potranno essere le prossime mosse della Casa Bianca.
"Il negoziatore Usa: Per una vera pace mancano leader forti"
Aaron David Miller
Alla soluzione dei due Stati mancano i leader per realizzarla». Parola di Aaron David Miller, il negoziatore sul Medio Oriente che ha affiancato tutti i Segretari di Stato dal 1978 al 2003 nelle maggiori trattative, dalla Camp David di Jimmy Carter a quella di Bill Clinton, che hanno fatto emergere proprio la soluzione dei due Stati come unica possibile al conflitto israelopalestinese. Perché il presidente palestinese Abu Mazen afferma che questa soluzione si sta «erodendo»? «Esprime ciò che pensa un crescente numero di palestinesi in ragione di due fenomeni convergenti: la spaccatura del movimento nazionale palestinese fra Fatah e Hamas, l’assenza di volontà da parte di Israele a fare le rinunce necessarie». Partiamo dalla spaccatura fra Fatah e Hamas. L’amministrazione Usa ha detto di volersi impegnare su Gaza, può superare lo stallo? «Obama ha ragione nel sottolineare l’urgenza di migliorare le condizioni umanitarie a Gaza ma il paradosso è che riuscendoci rafforzerà Hamas, non Abu Mazen, e di conseguenza aumenterà la divisione fra palestinesi rendendo più difficile i due Stati». Dove nasce la non volontà d’Israele alle rinunce territoriali? «Da un governo contrario a concessioni significative. E da una maggioranza di israeliani intimoriti dall’idea di avere nella West Bank una seconda Gaza, da dove pioveranno missili». Insomma, chi è rimasto a credereai due Stati? «Questa soluzione oramai è solo un articolo di fede per chi continua a crederci ma è impossibile da realizzare per una ragione di base: l’assenza fra israeliani e palestinesi di leader intenzionati a compiere i pesanti sacrifici necessari». Quali le alternative? «Non ve ne sono». C’è chi ipotizza scenari alternativi, come il coinvolgimento della Giordania... «Re Abdallah non ha l’autorità del padre né la forza politica per tornare a occuparsi della West Bank. Ciò che potrebbe avvenire invece è una scelta di Israele di ritirarsi da gran parte della West Bank come fece Sharon da Gaza». Potrebbe funzionare? «No, l’unilateralismo in Medio Oriente è un boomerang. Quando Israele ha lasciato il Sud Libano nel 2000 sono arrivati gli Hezbollah e a Gaza nel 2005 è arrivata Hamas. La soluzione dei due Stati è l’unica poiché l’unilateralismo non funziona». Allora perché Abu Mazen dice che i palestinesi potrebbero scegliere «uno Stato unico»? «Sta minacciando Israele, facendo valere la demografia che avvantaggia i palestinesi. Ma non servirà». Da quanto lei dice il negoziato è in un vicolo cieco... «Esatto». Quali sono le opzioni per l’iniziativa di Obama? «Il negoziato ha quattro cesti: Gerusalemme, rifugiati, confini e sicurezza. Obama vuole cominciare con l’accordo sui confini ma gli sta venendo a mancare il quadro di riferimento. La sua iniziativa è nell’impasse»
Francesca Paci: "La voce di Fatah: Se salta la trattativa Israele sparisce"
Hafez Barghouti
Non è stato lo sguardo deluso del presidente palestinese Abu Mazen quello che il quotidiano al Hayat al Jadidah, organo ufficiale di Fatah, ha pubblicato in prima pagina accanto al resoconto della visita alla Casa Bianca. Il direttore Hafez Barghouti ammette che il processo di pace dorme un sonno senza sogni ma insiste nel leggere positivamente l’incontro di Washington. La prospettiva due stati per due popoli ha visto giorni migliori. Cosa riporta a casa Abu Mazen dall’America? Obama ha confermato d’essere contrario alla moltiplicazione degli insediamenti ebraici e non è arretrato dalla posizione favorevole alla nascita d’uno stato palestinese assunta già da Bush negli ultimi tempi. Certo, per ora non c’è negoziato. Ma ripartirà. Non c’è altra soluzione soprattutto per Israele, che ormai sa di non potersi prendere tutta la Palestina a meno di trasformarsi in un regime tipo apartheid in cui nel giro di 5 anni gli arabi saranno tanti quanti gli ebrei e nel giro di 10 li avranno superati. Non le sembra che l’elezione del premier Netanyahu e il consolidamento di Hamas a Gaza abbiano messo Abu Mazen in seria difficoltà? Abu Mazen crede ancora nella possibilità di creare due stati. Se la comunità internazionale lo volesse basterebbe un anno. Gli Stati Uniti sono concentrati a impedire il programma nucleare iraniano, poi sarà il nostro turno. La palude è temporanea, per questo la destra religiosa israeliana fa la voce grossa cercando di sfruttare il momento, la pacchia finirà. Israele è già assai più isolato che nel passato, dovunque vadano i suoi politici vengono accolti dalle proteste. E Hamas? Lo stallo negoziale gioca a suo favore. Hamas sta sfruttando il blocco di Gaza per ottenere un riconoscimento in alternativa a Fatah e all’Olp, per questo tiene in ostaggio un milione e mezzo di palestinesi. I leader di Hamas sono i responsabili del blocco, imposto quando hanno cacciato Fatah: non offrono niente alla gente, non aprono scuole, si comportano come una forza d’occupazione, come Israele quando era a Gaza E’ possibile una riconciliazione tra Fatah e Hamas? No. Perché non la vogliono la Siria, l’Iran e la fratellanza musulmana e perché Hamas teme la vendetta dei palestinesi. La palude conviene a Hamas quanto a Israele, sembrano alleati, infatti al momento non ci sono negoziati e non c’è resistenza. Hamas ha smesso da un pezzo di far la guerra a Israele, è dall’assedio della Muqata del 2003 che non conduce un’operazione in Cisgiordania. A Israele basterebbero 12 ore per riprendersi Gaza ma preferisce lasciarci Hamas. E Hamas, guadagnando tempo conta di fare come Fatah 30 anni fa e ritagliarsi un posto al tavolo delle trattative, magari via Ankara, ma non ci riuscirà. Che futuro immagina per che confida in Abu Mazen? L’Olp cerca la sponda americana, l’Onu, la comunità internazionale. Se nessuno favorirà la nascita dello stato palestinese avremo il pieno diritto di resistere con qualsiasi mezzo, anche alleandoci con il diavolo.
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