Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/06/2010, a pag. 38, l'articolo di Mario Baudino dal titolo " Ebrei di tutto il mondo fatevi cittadini di Israele " con le dichiarazioni di Alain Elkann.
Alain Elkann
Appartenere a una stessa nazione, e avere lo stesso passaporto. Questo, per gli ebrei di tutto il mondo, è possibile; e proprio questa è la prospettiva che Alain Elkann indica come ormai irrinunciabile in un lungo articolo pubblicato su La règle du jeu, il sito on line dell’omonima rivista del filosofo francese Bernard-Henri Lévy, che raccoglie nel suo comitato editoriale scrittori e intellettuali di tutto il mondo, da E. L. Doctorow a Jonathan Safran Foer, da Claudio Magris a Mario Vargas Llosa. Non è una provocazione, anche se è certo che si tratta di una presa di posizione destinata a far discutere, in un momento in cui il governo israeliano è oggetto di aspre critiche e di indignazoni anche strumentali, e lo spettro dell’antisemitismo torna come sempre a riaffacciarsi minaccioso.
Quella di Elkann è una sollecitazione forte, che guarda all’orizzonte politico e culturale ma parte dall’esperienza personale, e dalle contraddizioni di cui è cosciente lo stesso autore. «Scrivo queste parole - spiega - perché sono stanco di essere diverso». In che modo? «Io vivo tra Italia e Francia, trascorro molto tempo negli Usa e in altri Paesi, ho un passaporto italiano e uno francese, sono consigliere di importanti politici italiani», prosegue l’articolo. Inoltre, aggiunge Elkann, faccio il giornalista in Italia, e sono uno scrittore italiano. Sembra una situazione in cui il problema della cittadinanza non avrebbe motivo di porsi. Eppure «un ebreo non può continuare a esistere senza sentire, pensare e sapere che Israele è di nuovo la patria degli ebrei».
Non è questione da poco, e non è neppure, secondo Elkann, un problema personale, ma una responsabilità collettiva. Se un ebreo «vive in Italia e ha il passaporto italiano non è certo in esilio, è qui per scelta. Può però diventare cittadino israeliano in qualsiasi momento, e questo può contribuire a cambiare il destino del popolo ebreo dopo 2 mila anni di esilio forzato». Quel che è successo negli ultimi 62 anni, a partire dalla fondazione dello Stato di Israele, muta radicalmente, secondo Elkann, la prospettiva della diaspora: ora gli ebrei hanno la loro patria, e se lo desiderano possono avere la doppia cittadinanza, battersi per il loro Stato, diventare elettori. Questo non significa che debbano lasciare le loro case e stabilirsi là: ma solo che potrebbero per un periodo di tempo fare questa esperienza.
In secondo luogo, la doppia cittadinanza non avrebbe il senso di un’adesione alle attuali politiche israeliane, che è criticata anche tra gli ebrei della diaspora, soprattutto gli intellettuali, ma anzi conferirebbe maggiore incisività a queste critiche, grazie al diritto di voto. È un’utopia? Elkann ritiene che sia una possibilità assai reale, e forse sta in questo la carica di provocazione maggiore del suo intervento. Gli ebrei, cittadini dei Paesi in cui vivono e lavorano, e nello stesso tempo cittadini israeliani, smetterebbero di essere minoranza, diventando appunto cittadini fra cittadini di quel Paese che è loro e che «è minacciato da molte nazioni ostili, con molti detrattori e alcuni amici».
Non è una proposta radicale, un prendere o lasciare: Elkann non si spinge infatti a sostenere che tutti gli ebrei debbano vivere in Israele; chiede però che intanto diventino a tutti gli effetti membri di quella società che è la loro. «I nostri nemici e detrattori ci rispetterebbero di più, se fossimo tutti uniti nell’idea che Israele e gli ebrei sono una cosa sola». Non è uno scenario per domani: «Non credo che questa trasformazione - aggiunge - possa avere luogo immediatamente, ma che sia un passo necessario per scoraggiare i detrattori e i nemici di Israele». Quel che scrivo è sicuramente impopolare, ammette. Ma se mai dovesse realizzarsi il suo auspicio, sarebbe un evento planetario.
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